Io Citto Tu Citta

 

 

“I SEGRETI NASCOSTI SULLE TERRE DEL RE PORSENNA”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io Citto Tu Citta     “I SEGRETI NASCOSTI SULLE TERRE DEL RE PORSENNA”

 

PREFAZIONE:

 

GRANDI MENTI  &  piccoli geni:

 

La storia dell'Archeologia è costellata di scoperte la cui "paternità" resta anonima, e non mancano neppure anzi pullulano esempi di importanti grandi scoperte, fatte da “dilettanti" non accademici che, spinti dalla pura passione, sono riusciti a risolvere complicatissime sciarade: basti ricordare l'italiano Giovanni Battista Belzoni saltimbanco degli inizi dell' '800, il cui nome resta impresso all'interno della piramide di Chefren.

Intuitivi si nasce, curiosità , passione, e voglia di scoprire, uniti a tanta esperienza da autodidatti, fanno si che a volte un analfabeta qualsiasi, un normale cittadino che ha STUDIATO “a modo suo”,

possa scoprire importanti strutture nascoste.

L’Italia, “e non solo” deve la maggior parte del suo patrimonio archeologico, a scopritori, rimasti magari ignoti, ed anche a migliaia di “tombaroli” che scoperti, consegnavano il loro ricco bottino alle autorità.

Il ricercatore esperto, non ha diploma, ma esperienza, sa cogliere ogni minimo cambiamento morfologico del terreno; raccoglie e custodisce storie leggende e racconti dei vecchi abitanti delle campagne, sa mettere insieme quello che anno veduto e raccontato gli altri, con quello che vede lui, poi l’intuito, la fantasia, e la passione per le cose nascoste, fanno il resto.

 

La lettura di questo libro è molto semplice, si tratta in pratica di seguire il filo di due (amanti) “Un Citto ed una Citta”, che incontrandosi furtivamente e casualmente in zone Etrusche, ne descrivono dettagliatamente le caratteristiche.

 

Il romanzo è stato arricchito di “Cenni Storici” in modo che anche chi non conosce la storia Etrusca, possa capirne di più, in modo da seguire meglio la lettura del testo.

 

INTRODUZIONE:

 

Abbiamo scritto questo libro con il solo aiuto della nostra esperienza, la nostra dimestichezza con certe zone, e terreni, conoscenze geologiche, morfologiche, storiche, e architettoniche locali, acquisite col passare degli anni.

Ci ha reso il compito molto più facile il fatto che uno di noi, “Stefano Romagnoli”, sia esperto in ricerche storico scientifiche, con circa 30 anni di esperienze accumulate, (essendo nato in queste zone, ed avendo conosciuto la classe Contadina, ha avuto modo quindi di acquisire: “storie; dicerie; racconti e leggende”, e tutto quello che si sono tramandati per centinaia di anni i vecchi Contadini del paese, con i loro racconti, in vegliatura serale, nelle campagne locali), è stato in grado di dare la sostanza informativa, e storico-scientifica a questo libro.


Le cose che descriveremo, in queste “14” ZONE, sono reali, alcune visibili, ed altre invece percepibili solo dall'occhio esperto del saggio ricercatore, quello con (l’intuito per le cose nascoste), al di sopra della norma.

Questa Cittadina Toscana ‑ Sarteano ‑ ci preme molto, ed è da tenere molto in, considerazione, soprattutto per il fatto che, non le sono mai state date le dovute attenzioni storiche, (e non è per forma di campanilismo che noi si cerca di raccontarle) sia perché Sarteano è un paese antico, ed anche per il fatto che è situato tra la bassa regione Toscana, la regione Umbra, ed il Lazio, è da considerarsi senza ombra di dubbio una zona Archeologica di elevata importanza.

La cittadina di Sarteano ha il privilegio (oltre a quello della sua posizione geografica favorevole e panoramica), di essere un grande altopiano, con molta campagna coltivabile e fertile.

Confina sia con il comune di Chiusi che con CHIANCIANO, e racchiude i  luoghi, che andremo a scoprire insieme in questo nostro lavoro di ricerca e di elaborazione scientifica, al fine di riportare indietro nel tempo questo Paese, e raccontarlo proprio come era all’epoca Etrusca.

Tutto è cominciato così:

Trovandosi dopo una giornata di lavoro, la sera al bar, una volta dopo l'altra, un discorso dopo l'altro, abbiamo cercato di raccontare la storia di SARTEANO, ai tempi in cui era, a parer nostro, una grande NECROPOLI ETRUSCA (di rilevante importanza), ma fino ad oggi poco considerata sotto il profilo archeologico, ciò in parte dovuto alla vicina Chiusi, (che ha sempre cercato di accentrare tutte le attenzioni archeologiche su di essa), sminuendo tutto quello che non era parte concreta della sua città.

Abbiamo fatto tutto questo con l'aiuto di alcune cartine topografiche, raccogliendo vecchie storie e leggende, raccontate dalla gente del posto, cercando di rendere il più possibile dettagliata la nostra ricostruzione e descrizione dei “tesori nascosti sulle terre del Re Porsenna”.

Sperando che quando avrete letto i dati tecnici di ogni zona, vorrete verificarli di persona, per poter così ammirare dal vivo le tante bellezze storiche e archeologiche, ma sperando che non vi mettiate assolutamente a fare gli scavatori clandesti­ni, perché dobbiamo ricordarci che tutti i tesori d'arte e archeologia, fanno parte, oltre che del nostro patrimonio artistico Nazionale, anche di noi stessi, perciò sono già nostri, e della nostra Nazione, quindi cerchiamo di non auto derubarci...

Si avverte inoltre che alcune frasi, situazioni o citazioni potrebbero essere frutto della fantasia di chi ce le ha raccontate, ma grazie all'aiuto delle carte, dei nostri studi dettagliati sui punti in questione, pensiamo d'aver fatto un la­voro accettabile, e nello stesso tempo,  leggibile da tutti, non volendo essere considerati esperti di archeologia, ma dei semplici cittadini, un po’ più intuitivi e costrittivi di tanti altri.

 

“Alcune parti del libro fanno parte di una ricerca, sistematica fatta al solo scopo di arricchire di cenni Etruschi questo stesso testo.

Le ricerche dei testi classici Etruschi sono state fatte sul materiale disponibile nella rete Internet, in siti e luoghi ove era possibile prendere ed utilizzare certe informazioni allo scopo divulgativo e costruttivo, per l’informazione la Storia e la Scienza.”

 

 

LA PARTE DESCRITTIVA LOCALE DI QUESTO LIBRO E’ STATA FINITA DI SCRIVERE IL GIORNO 18 SETTEMBRE DEL 1995.

IMMEDIATAMENTE DOPO E’ STATO INVIATO L’ESPOSTO PER COMUNICARE A TUTTE LE AUTORIRITA’ COMPETENTI, LE SCOPERTE FORTUITAMENTE AVVENUTE DURANTE LA ELABORAZIONE DEI CONTENUTI DEL LIBRO.

LA SUA COPIA ORIGINALE COMPLETA FU DEPOSITATA ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MOMTEPULCIANO.

DOPO SOPRALLUOGHI ED ACCURATE INDAGINI LA STESSA PROCURA, DECISE DI ARCHIVIARE IL CASO, AFFERMANDO CHE NON ERA STATO COMMESSO NESSUN TIPO DI REATO DA PARTE DI NOI SCRITTORI E (SCOPRITORI):

NE RICERCHE ABUSIVE, NE VIOLAZIONI RIGUARDANTI I CODICI “ALLORA VIGENTI “ DELLA LEGISLATURA DEI BENI CULTURALI

TUTTI I PUNTI DESCRITTI DA QUESTO LIBRO SONO STATI SEGNALATI IN PRESENZA DI UNA COMMISSIONE DI OPRALLUOGO DELLA QUALE FACE PARTE, ANCHE L’ISPETTORE ONORARIO DELLA LOCALE SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA.

IL LIBRO E’ STATO SOLAMENTE IN PARTE, AGGIORNATO, PER

POTER DARE AL MOMENTO DELLA SUA PUBLICAZIONE, UNA PIU AMPIO RISCONTRO TRA I PUNTI CHE INDICAMMO, E QUELLI AD OGGI GIA VENUTI ALLA LUCE NEI MEDESIMI PUNTI.

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“Ad oggi sono già venute alla luce parecchie Tombe Etrusche DI ELEVATA IMPORTANZA, nei punti esatti da noi descritti nel libro, ed anche indicati di persona alla commissione d’inchiesta durante i sopralluoghi, avvenuti nel settembre 1995.”. Segue: TESTIMONI DEI SOPRALLUOGHI:
LE FIRME DEI TESTIMONI AI SOPRALLUOGHI

 

Legenda:

 

Dromos          Canale di larghezza tra gli 80 e i 200 cm, scavato nel tufo o nella pietra, che porta verso la camera centrale, (Tomba) andando leggermente in discesa; ai lati del quale, vi possono essere Nicchie o ad­ dirittura altre Camere, inoltre alcuni di questi Dromos possono essere anche del tipo coperto, con dei Tegoli larghi 10 centimetriin più del Dromos e appoggiati sopra per tutto, o solo in parte del suo tragitto.

 

Tegolo, o Tegoli        Specie di tegole somiglianti a quelle dei nostri tetti, ma di forma più piatta, e dai bordi rialzati, erano usati per coprire. Nicchie, Dromos, e alcuni tipi di Tombe dette a cassettone. All'interno sono di materiale cotto argilloso, e color carbone al centro della sezione, con aggiunta di una parte di materiale metallico sbriciolato nell'impasto.

 

Tappo La pietra, con la quale venivano chiusi gli ingressi alle camere delle Tombe.

 

Frontale         La parete di pietra o tufo che troviamo di fronte, e che va fin su al livello della superficie del terreno, quando camminiamo dentro il Dromos, in direzione della Camera centrale, vediamo il frontale proprio davanti a noi, in fondo al Dromos.

 

Riempiticcio   In gergo significa il materiale che riempie i Dromos, spesso detriti di materiale derivanti dallo scavo di costruzione della Tomba stessa, misti a terra e detriti rossi di coccio, alcune volte nel Riempiticcio vengono ritrovati piccoli Bricchi in miniatura e Lacrimatoi, gettati come voto durante la ricoper­tura dei Dromos.

 

Cippo Pietra di forma rettangolare o cubica, di peso circa "80 ‑ 100" Kg la quale veniva posata sul piano al livello del terreno nel punto dove incominciavano i Dromos, dopo aver riempito gli stessi, praticamente fungeva da Lapide, e nello stesso tempo indicava il punto della sepoltura, in quanto con il passar degli anni assestandosi il terreno e con la crescita dell'erba, non avreb­bero più dato modo di poter individuare il punto preciso del­la sepoltura.

 

Spillone          Attrezzo per la ricerca dei Dromos, (spesso usato dagli scavatori clandestini) composto da un manico e da un'asta di solito di acciaio, con una buona punta sulla sua sommità. Questo strumento conficcato nel terreno in punti distanziati da loro in maniera giusta fornisce all'esperto la profondità precisa del livello del Tufo sotto lo strato di Terra, quando succede che per un metro circa lo Spillone va in profondità più del normale, ma poi ritorna come prima, siamo in sostanza passati perpendicolarmente al canale di un Dromos.

 

Saggi   Scavi effettuati in punti ove si presume trovarsi un Dromos, o comunque un’ipotesi di Tomba, fatti normalmente con una profondità di 1 m, o comunque raschiando la parte di tufo piana sotto lo strato terroso. Alcune volte i Saggi sono del tipo “a canale trasversale” usati quasi esclusivamente per individuare i Dromos riempiti a de­triti e scavati nella pietra o tufo locale.

 

Bucchero Pesante Tipo di vasellame etrusco, costruito in cotto di colore nero, a volte dipinto o con rilievi, di spessore superiore al normale vasellame leggero.

 

Greppo          Muro in pietre a secco, o anche di sola terra, o tufo, che divide un piano Campo da un altro, di solito si trovano in terreni colli­nosi, dove vengono usati per meglio sfruttare le terre dove al­trimenti la pendenza non lo permetterebbe.

 

Homus Rovus            Umano di elevata altezza che abitava la zona dell'Etruria nel periodo che va dall'anno 6000 a.C. fino al 2600 a.c. suoi re­sti sono stati rinvenuti nella zona di "Belvedere", Cetona (SI); altre testimonianze, Dolmen da noi scoperto in località Poggione, Sarteano (SI).

 

Nicchiaio        Insieme di nicchie, a volte anche più di 40, tutte ben disposte lateralmente ad un Dromos di circa 60 centimetrie di poca profondi­tà rispetto agli altri, un esempio simile lo si può vedere in Solaia bassa, Sarteano (SI).

 

Pendolo          Strumento usato da rabdomanti e ricercatori , di solito attaccato ad una catenella, lo strumento si tiene in mano camminando, e si dovrebbe muovere portando il suo possessore in direzione del materiale ricercato, il testimone da pendoli è un  materiale in piccoli pezzi che va posto all'interno del pendolo, per fare la ricerca mirata. Se all'interno di un pendolo il rabdomante inserisce un pezzetto d'oro, la ma­teria che troverà nei terreni usandolo, sarà prevalentemente appunto oro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UNO SCHEMA APPROSSIMATIVO DELLA ZONA DENOMINATA “ETRURIA”

 

Copia della cartina ufficiale, cioè quella inviata allegata all’esposto per denunciare le scoperte archeologiche, servì solo come riferimento per i sopralluoghi approfonditi.

 

 

 

 

CENNI STORICI:         Cronologia Etrusca:

 

Secolo X a.C. Fasi finali della civiltà del bronzo.

 

Secolo IX a.C. Fasi iniziali della civiltà del ferro; cultura «villanoviana» nei territori dell’Etruria «propria» e sua espansione verso l’Emilia-Romagna e il Salernitano. Formazione delle comunità di villaggi. Secolo VIII a.C. Navigazione degli Etruschi nel Tirreno meridionale. Inizio della colonizzazione greca nella penisola italiana. 775 ca. Stanziamento dei Greci a Pitecusa, nell’isola d’Iscbia. 753 Fondazione di Roma, secondo la tradizione varroniana. 750-725 Fondazione di Cuma. Inizio della colonizzazione greca in Sicilia. Sviluppo del «villanoviano in Etruria - differenziazioni sociali - fondazione del centri pre-urbani. 710-705 ca. Fondazione di Sibari, di Crotone e di Taranto. Inizio della cultura «orientalizzante». Adozione dell’alfabeto greco e introduzione della scrittura in Etruria (e nel Lazio). Secolo VII a.C. Primo iscrizioni etrusche rinvenute a Tarquinia e a Cere. Pieno sviluppo della cultura «orientalizzante». 650 ca. Demarato di Corinto si stabilisce a Tarquinia. Influenze corinzie in Etruria. Fase evolutiva dell’orientalizzazione. Inizio della civiltà urbana. Fioritura di Cere. Thalassocrazia ed espansione commerciale delle città costiere dell’Etruria meridionale. 616 Inizio della monarchia etrusca a Roma: regno di Tarquinio Prisco (fino al 578). Secolo VI a.C. Espansione etrusca nella pianura Padana. 580 ca. Gli Etruschi sconfitti dai coloni greci nel mare di Lipari. 578 Inizio a Roma del regno di Servio Tullio (fino al 534). 565 ca. I Greci di Focea fondano Alalie in Corsica. 540 ca. Coalizione cerite-cartaginese contro i Focei: battaglia del Mare Sardo. Controllo etrusco della Corsica. 534 Inizio a Roma del regno di Tarquinio il Superbo (fino al 5l0). Fondazione di Marzabotto e di Felsina. 525 Spedizione fallita degli Etruschi (con Umbri e Dauni) contro Cuma. 510 Distruzione di Sibari ad opera di Crotone. Fioritura di Capua etrusca. 509 Cacciata di Tarquinio il Superbo e fine della monarchia etrusca a Roma. Espansione di Chiusi nel Lazio: il re Porsenna a Roma. 505 ca. L’esercito di Porsenna sconfitto presso Ariccia do Aristodemo di Cuma e dai Latini. Gli Etruschi sconfitti dai Galli al Ticino. Secolo V a.C. Thefarie Velianas signore di Cere. Guerra tra Veio e Roma; strage dei Fabii al Cremera. 474 Gli Etruschi sconfitti nelle acque di Cuma dai Siracusani; fine della thalassocrazia e crisi delle città etrusche meridionali; sviluppo delle città dell’Etruria interna e settentrionale; fioritura dell’Etruria padana e adriatica. 454-453 Incursioni della flotta siracusana nel Tirreno settentrionale. Inizio della pressione sannitica sulla Campania. 428 Guerra tra Veio e Roma. 426 La città latina di Fidenae, alleata di Veio, conquistata dai Romani. 423 Capua occupata dai Sanniti. Fine del dominio etrusco in Campania. 414-413 Un contingente etrusco (forse di Tarquinia) partecipa all’assedio navale ateniese di Siracusa. 406 Inizio dell’assedio di Veio da parte dei Romani. Secolo IV a.C. 396 Veio conquistata e distrutta dai Romani: il suo territorio incorporato nello stato romano. 390-386 Scorrerie dei Galli nell’Italia centrale: Roma saccheggiata e incendiata. 384 Incursione della flotta siracusana nel Tirreno e saccheggio del santuario di Pyrgi. I Siracusani nell’Adriatico settentrionale. 382 Fondazione delle colonie romano-latine di Nepi e Sutri. Ascesa di Tarquinia e sua egemonia sulla Lega etrusca. 358 Tarquinia (con Cere e Faleri) muove guerra a Roma. Detronizzazione del re di Cere. 353 Pace separata tra Cere e Roma. 351 Fine della guerra e tregua quarantennale fra Tarquinia e Roma. Rivolta «servile» ad Arezzo domata con l’intervento di Tarquinia. Marzabotto e Felsina occupate dai Galli. Spedizioni dei Galli nell’Italia centrale. 314 Navi etrusche in Sicilia in aiuto di Agatocle di Siracusa contro i Cartaginesi. 311 Gli Etruschi in guerra contro Roma. I Romani penetrano nell’Etruria centrale e interna. 307 Gli Etruschi costretti alla pace con Roma. 302 Roselle assediata e occupata dai Romani. Intervento di Roma ad Arezzo in appoggio alla famiglia dei Cilnii. Rivolte «servili» a Volterra e a Roselle. Completa decadenza di Spina. Secolo III a.C. 296 Gli Etruschi nella coalizione «italica» contro Roma. 295 I coalizzati sconfitti dai Romani a Sentino. Vittorie romane sugli Etruschi. 284 Rivolta «servile» ad Arezzo. 282 Gli Etruschi definitivamente sconfitti dai Romani al lago Vadimone. 280 Vulci eVo1sini si arrendono a Roma. Le città etrusche costrette ad allearsi con Roma: l’Etruria federata. Prefettura romana a Statonia. 273 Colonie romane a Cosa e a Pyrgi. 265 Rivolta «servile» a Volsinii. 264 Volsinii conquistata e distrutta dai Romani. Saccheggio del santuario della Lega. Volsinii ricostruita sulle rive del lago di Bolsena. Colonie di Roma a Castrum Novum, Alsium e Fregene. 241 Faleri conquistata e distrutta dai Romani. Trasferimento della città in altra sede. 225 L’Etruria investita da un incursione di Galli distrutti dai Romani a Talamone. Costruzione della via Clodia. 222 Spedizioni romane contro i Galli, dalle basi etrusche. Costruzione della via Flaminia. 217 Annibale, in Etruria, sconfigge i Romani al Trasimeno. 209 I Romani rinforzano i presidi militari in Etruria. 205 Le città etrusche contribuiscono alla spedizione africana di Scipione contro Cartagine. Secolo II a.C. 196 Rivolta di schiavi in Etruria. 189 Fondazione della colonia romana di Bononia. 186 Repressione del culto «sovversivo» di Dioniso. 183-180 Fondazione di colonie di Roma a Saturnia, Gradisca e Pisa. 177 Fondazione di colonie di Roma a Luni e a Lucca. Costruzione della via Cassia. Progressiva emancipazione di elementi servili nell’Etruria settentrionale. 135 Viaggio del tribuno Tiberio Gracco attraverso l’Etruria. 133-121 Fallimento dei tentativi di riforme sociali dei Gracchi. 130 L’etrusco Marco Perperna eletto console a Roma.

Secolo I a. C. 91 Marcia su Roma degli Etruschi contro le proposte di legge riformatrici del tribuno Livio Druso. Secessione e guerra degli alleati italici contro Roma. 90 Interventi militari romani a Fiesole, Arezzo, Chiusi e Volsinii. 89 Gli Etruschi ricevono la cittadinanza romana. Le città etrusche diventano «municipi» dell’Italia romana. 87 Gli Etruschi parteggiano per Mario. 82 Repressioni di Silla contro Fiesole, Arezzo e Volterra e deduzione di colonie di veterani romani. 78 Effimere rivolte «popolari» a Fiesole e in altre città. 63 Catilina si rifugia in Etruria e arruola truppe a Fiesole e ad Arezzo. 49 Gli Etruschi neutrali nella guerra civile tra Pompeo e Cesare. 40 Perugia, occupata dai seguaci di Antonio, conquistata e saccheggiata dalle truppe di Ottaviano. 27 L’etrusco Mecenate tra i consiglieri e i ministri di Augusto. 7 L’Etruria diventa la regione VII dell’Italia romana.

 

 

Capitolo 1

 

Era la fine del mese di Giugno, stavo scendendo da Nord con la mia vecchia auto, per andare a prendere servizio in un albergo di Chianciano Terme, essendo ormai un cameriere di professione, il mio mestiere mi permette di girare il mondo, così avevo deciso di passare quest'anno a Chianciano Terme. La macchina scorreva veloce sull'autostrada del Sole, ma di sole non ce ne era, perché il tempo minacciava pioggia così tanto che arrivato al casello Autostradale, per pagare il pedaggio ho dovuto accendere i fari come se fosse notte profonda, ma era solo tarda mattina. Subito dopo pagato il pedaggio e uscito dalla Autostrada, mi sono immesso sulla normale che porta a Chianciano Terme, la visuale della strada che paesaggisticamente m'aveva colpito, in realtà era una bella donna, che bella sarebbe dire poco, perché sembrava una statua, coi capelli lunghi, un volto da ingenua e nello stesso tempo da donna vissuta. Non potevo definire la sua età, e non capivo se aveva un vestito o era nuda, se era alta, o bassa, giovane o vecchia. Mentre la sua calda voce mi domandava; “Scusa, vai a Chianciano Terme?”, mi dai un passaggio grazie. Mi sembrava impossibile che stessi portando una Fata così  a Chianciano Terme . La macchina sembrava sicura di saper dove andare, il motore cantava come un usignolo, tra curve e dossi, tra la campagna ben curata ed il cielo che scaricava tutta la sua pioggia, dentro l‘abitacolo della mia auto non c’era il solito puzzo del tabacco delle mie sigarette, ma c’era un dolce profumo di freschezza da farmi girare la testa. Era lei, bella, misteriosa seduta accanto a me. Scambiammo qualche parola durante quei pochi chilometri di strada, che per me sono sembrati solo pochi metri, tanto ero stato colpito da quella bellezza, la quale con la sua presenza anche quando stava zitta mi sembrava che parlasse comunque, e quando parlava, il suo perfetto Italiano, senza accenti e senza dialetti mi facesse capire che era una donna colta, preparata e ben curata come la campagna che stavamo percorrendo. Quando mi ha domandato: “Chi sei, cosa fai, da dove vieni, dove vai”, io come un bambino timido e impaurito, con la gola chiusa dall’emozione di trovarmi al fianco di lei, non potetti risponderle che poche frasi balbettando. I discorsi del nostro breve colloquio si limitarono a commentare la situazione del tempo, ma sembrava un dialogo di uno studente quando presenta la sua tesi, o di un oratore quando ha un comizio, ma il breve viaggio è finito, lei è arrivata. Fermando la macchina sulla piazza di fronte alla fonte delle Terme di Chianciano, il motore si spense, lei se ne andò, ed io rimasi in piedi accanto alla macchina. Il tempo non minacciava più’ pioggia, anzi spuntava il sole, alcune macchine, bus, e persone andavano per i fatti loro, io immobile appoggiato alla mia macchina, pensieroso e confuso non ero più tanto sicuro di me, mi sentivo più solo che mai, adesso che lei era  sparita nel nulla, chissà in quale posto ora si trovava. Era stato un miraggio, o una donna, una dea, o un fantasma? Risalii in macchina e m'avviai lentamente verso l’Albergo. Il giorno dopo iniziando il lavoro con il solito tramtram che c’è in tutti gli alberghi del mondo, c’era qualcosa che mi logorava dentro, forse un presagio? La signora della camera 207 mi ha fatto degli elogi per il mio lavoro, accompagnati da una lauta mancia, i signori "Augusta", della camera 401 mi hanno chiesto di voler mangiare Vegetariano, il portiere di notte, di nome Franco è una degna persona, un vero professionista, ma ha il vizio del gioco, cosi che gioca per tutta la settimana alle corse dei cavalli. La capo guardarobiera di nome Luisa , pur essendo vicina agli anni “anta” , si crede ancora una miss, e cerca di portarsi a letto i camerieri più giovani , e poi c’è lo chef di cucina che ha l'hobby di gustare tutti i tipi di vino . Così è il personale di tutti gli alberghi del mondo, ma è la più bella famiglia, che tra pregi e difetti, mi ha dato e permesso di fare tante cose e di vedere il mondo, a differenza di qualche altro mestiere che non m'avrebbe potuto dare nulla. Alcuni giorni e poi ho preso la decisione, di prendere un appartamento, con l’aiuto di un mio amico , il quale lavorando in un altro albergo aveva saputo di un piccolo buco che avrebbero dato in affitto per poche lire . I giorni erano lenti e pesanti, il lavoro andava bene, la salute ottima, le finanze non avevano problemi. Una sera come tante altre passate al solito bar, questo mio collega mi saluta e mi dice: “Citto allora vuoi venire a vedere quest'appartamento?” , guarda che è un affare. Senza riflettere, senza sapere cosa facevo , e se mi fosse piaciuto , senza averne avuto bisogno ,visto che avevo la mia camera in albergo e per giunta gratuita , decisi di prenderlo comunque. Il mio amico di nome Luigi, è del paese di Chianciano, dico paese perché è in realtà un vecchio castello di varie epoche ed ha tutta una storia da raccontare. Le terme sono il continuo di questo paese, che prende il nome di Città perché da fuori le mura fin su, a mezza collina sulla quale è sita Chianciano Terme, questo continuo è a forma di braccio destro che sembra avvolgere un lago, il lago della Città di Chiusi. Dalla parte interna di questo braccio s'estende la zona alberghiera sanitaria, e Termale di Chianciano al quale s'aggiunge il nome Terme. Questo paese è composto da circa 200 Alberghi che tutti insieme formano una Città. Luigi mentre m'accompagnava a vedere l’appartamento, mi raccontava di alcuni usi e costumi di questa zona, per esempio mi diceva che per chiamare una ragazza, basta che tu la chiami Citta, oppure se stai chiamando un ragazzo basta che tu lo chiami Citto. L’appartamento era molto brutto, e trasferitomi nella casa nuova da me subito arredata con gusto, invitati amici e colleghi a visitarla, e trovai anche una bella Citta bruna con gli occhi neri, la quale cercò di dividere con me ogni tanto queste quattro mura. Una mattina uscendo da casa mi sono soffermato al bivio che congiunge la via dove abito alla strada della Cattedrale, e la porta al Sole, che ha il nome di Garibaldi, e guarda caso, io abito in via Borgo Beni, la quale s'immette da una porta, ove di fronte vi è la Chiesa cattolica di nome Madonna delle Rose. Per tanto io che vivo con il timore che mi possa succedere qualcosa, a causa del presagio che mi perseguita, ho cercato di capire perché a me è capitato di trovarmi in questo periodo della mia vita, a cercar di capire queste vie, in altre parole: Borgo Beni, Garibaldi Madonna delle Rose. Borgo può definirsi anche località o paese d'epoca passata ; Beni ,posso pensare che mi preannunci una grossa fortuna ; Garibaldi è stato un grande capo d'esercito militare italiano, e penso che la fortuna me la porterà un grande come lui di qualche Borgo d'epoca remota. Il nome Rose invece potrebbe significare “ Donna bellissima “. Accendo una sigaretta e m'appoggio al muro di fronte a me, alzo lo sguardo e vedo un Vecchio Borgo, che poi ho scoperto essere Sarteano, bellissimo e circondato da  campagne ordinate e ben curate, che sembrano celare chissà quali segreti. In alto alzando gli occhi vediamo che Sarteano ci sembra protetto dal Monte Cetona, con sopra la sua Croce enorme, che sembra ci voglia dire a noi che lo guardiamo: ”Non toccate Sarteano, e non pensate che la strada di Sarteano vi porti da tante parti, oppure per la strada di Via Inferi ”.Sera dopo sera e mattina dopo mattina mi vedevo le albe, i tramonti, ma sempre dal punto preciso di quel muro e sempre lo stesso paesaggio. Come tutte le sere mi incontravo al solito bar con i soliti amici e colleghi , la solita partita a scacchi , le solite chiacchierate, le solite battute , ma quella sera mi accadde una cosa strana , la signora di nome Anna , proprietaria e barista mentre stava servendomi il solito caffè ,mi domandò una cosa alquanto insolita: “Scusami Citto se mi permetto di farti una domanda “, ma devo parlarti da solo, io mi distaccai dal gruppo d'amici , ed arrivati in un angolo del bar in disparte lei mi disse : “Vedi quella coppia di Citti che sono seduti all’ultimo tavolo e mangiano il gelato ? Lei venendo al bancone del bar mi ha chiesto informazioni su di te, ed io avendo amicizia sia con te sia con loro, e credendo di non fare alcun male ho risposto a tutte le domande che mi faceva lei su di te”, questo è successo alcuni giorni fa, ma questa sera mi ha chiesto se sei d’accordo, vorrebbe che tu andassi al telefono, che lei poi con la scusa di recarsi alla toilette ti vuole raggiungerà e ti vuol parlare, io subito senza riflettere, ho risposto di si. Il bar che io frequento è piccolo,  semplice e ben curato, entrandoci troviamo sulla destra il banco bar, e poi come gli altri ha la toilette ed a metà corridoio il telefono. Al segnale della Barista Anna sono andato al telefono, subito dopo entra la Citta e  dice: ”Senti Citto, sono alcuni giorni che ti sto osservando, e dopo aver chiesto di te, mi sono permessa di darti quest'appuntamento, un po’ insolito da parte mia, ma credo che potrai capirmi, io sto con il mio fidanzato, e per conoscerti   ho dovuto escogitare questo sistema ”. Io non sapevo cosa dire e cosa rispondere. Ci siamo scambiati i numeri di telefono, abbiamo preso gli accordi per l’orario in cui ci saremmo sentiti il giorno dopo, pochi attimi e poi ci siamo lasciati tornando uno dopo l’altra ai nostri posti. L’indomani quando mi hanno chiamato al telefono sono subito corso a rispondere . Ciao Citto sei tu, senti se sei libero questa sera ci possiamo trovare al solito bar da soli, io mi sono limitato a rispondere : “ Va bene”. Continuando a fare il mio lavoro non ho dato peso all’appuntamento della sera, ma quando sono arrivato al solito bar, lei era li, aveva ordinato e pagato le nostra consumazioni, come si fa con i vecchi amici. Ciao le dissi, e tanto che aspetti, e lei mi rispose: "E quasi un mese che aspettavo questo momento". Parlammo di cose senza profondo significato e poi mi disse: ” Vedi io sono una Citta giovane, e abito in un paese vicino Chianciano Terme, di nome Sarteano, vivendo in un piccolo paese ho la possibilità di fare solamente due scelte; o la Citta di facili costumi, o la Citta di paese, in altre parole nei paesi ci conosciamo tutti e sono ormai fidanzata ufficialmente, voglio bene al mio Citto, e le nostre famiglie sono al corrente del nostro fidanzamento, cosi anche tutto il paese ma,  sapendo che tu venivi da fuori e poi te ne andrai, e che hai girato il mondo”, ho pensato che tu avessi  sicuramente tante esperienze, e visto che sei un Citto che fa i fatti suoi, e sei molto riservato, per giunta un bello che mi piace; ho creduto che m'avresti potuto capire, e nei limiti del possibile, avremmo poi potuto trovarci interessanti a vicenda. La sera era calda, calma e silenziosa, l’orologio segnava la 23, come d’accordo ero li sulla porta del mio appartamento ad aspettare. Lei è arrivata, puntuale, e sul selciato di questo stretto Borgo antico i suoi passi suonano lenti e cadenzati, con un ritmo sempre uguale, né lento, né veloce, ma preciso come il ticchettio di un orologio. Mi è apparsa di fronte, ed anche se l’avevo vista arrivare fin qui dall'inizio della via Borgo dei Beni, con la mente ero assente, nei miei timpani sentivo ancora quella cadenza precisa dei suoi passi. Ciao Citto, ciao Citta, finalmente, soli le dico, ma lei senza farmi finire di parlare mi da un bacio, cosi all’improvviso e rapido da farmi rimanere bloccato e rigido, come una pietra. La Citta entrando mi dice: “Senti Citto, niente domande, ma rispettiamo gli accordi”, bene, le dico così almeno non conosco il tuo nome, la tua attività, ma so solo che vieni da quel vecchio Borgo che è il paese di Sarteano, e che sei fidanzata. Nella mia camera da letto iniziammo a spogliarci in silenzio, lentamente guardandoci negli occhi l’uno contro l’altra senza battere ciglio, e mentre si spogliava, finalmente la potevo ammirare. Naturalmente mi ponevo tante domande, ma le risposte me le aveva date già lei, era stata chiara, voleva avere delle esperienze. Lei era li davanti a me e io non potevo che ammirarla e stare al gioco. Alta circa un metro e sessantotto, peso circa sessanta chili, con delle gambe diritte e ben fatte che s'appoggiavano su quelle scarpette nere a mezzi tacchi, chiuse in punta e con due laccetti che finivano in una fibbia laterale; un vestitino giusto, tutto aderente, che quando camminava sembrava salisse su tutto il corpo, ma era solo una mia impressione, tutto di colore blu, senza cintura e né bottoni. Nel togliersi il vestito, con le mani aderenti ai fianchi, sembrava  si volesse accarezzare, ma in effetti stava facendo per me uno spogliarello, degno della più brava spogliarellista, con grazia e gusto vedevo che era tutta impegnata a spogliarsi, e pensai a quante prove doveva aver fatto da sola davanti allo specchio? Adesso ha finalmente davanti a se un pubblico che la sta ammirando impaziente. Il vestito è volato in aria, per poi cadere chissà in quale parte della camera, se lo è tolto facendolo salire dal basso verso l’alto sul suo corpo, spinto in su dalle sue stesse mani,  mani ben curate, con uno smalto sulle unghie di colore rosso, che intonava molto bene con il vestito, ma molto meno con la sua pelle, la quale appariva d'un bianco chiaro con delle sfumature, che specialmente sul viso, tendevano al rosa, insomma un tipo di pelle che hanno solo alcune donne di campagna. Il suo corpo nudo e ben modellato si muoveva davanti a me proponendomi la vista dei sui seni coperti a malapena.  Ho allungato la mano destra rimanendo immobile, e con il dito indice tirando l’elastico nel punto dove passava per il fianco sinistro, come per incanto il filo sottile che reggeva il mini slip si strappò. Mentre io riportavo la mia mano al suo posto, essendo già nudo aspettavo che lei finisse quello che sembrava uno di quegli spogliarelli passati alla storia. Le mie braccia consenti dietro la schiena, con la punta delle dita fecero saltare il gancio che teneva chiuso il reggiseno, cosi potei ammirare tutta la sua bellezza. Poi lei si è chinata per slacciare le fibbie delle scarpe, ora finalmente era tutta nuda, non vedevo più il suo volto colorito da ragazza seria di campagna, che per una volta si era truccata come una ragazza di strada, con quegli occhioni neri sempre ridenti, e quei capelli neri, lunghi. Con movimenti lenti s'avvicinò a me e stringendo il suo corpo contro il mio, mi fece sentire tutto il suo calore . Ero sdraiato sul letto accanto a lei, e nella camera si sentiva solo il rumore dei nostri respiri, lei allungando una mano spense l’unica luce soffusa della stanza. Se ne andò molto presto quella mattina mentre si allontanava ancheggiando soddisfatta, giù per il Borgo , mentre le prime luci del mattino stavano vincendo sul buio delle tenebre . Questa volta aveva un colore diverso, più bello e più profumato , era l'alba ed io mi sentivo per la prima volta felice, perché una cosa simile non mi era mai capitata. I miei giorni seguenti furono di un silenzio totale, mi sembrava che tutto quello che era successo quella sera fosse stato cancellato. Lei non aveva più chiamato ed io incominciavo a perdere la serenità . Cosa mi succede? Sarò forse innamorato? Mi ripetevo di non pensarci perché poteva essere pericoloso alla mia età. Io la pensavo in continuazione , non sarebbe potuto finire tutto così. Dopo aver pensato allungo presi una decisione, e un pomeriggio, salito sulla mia vecchia auto m'incamminai per la prima volta, per la strada piena di curve che porta a Sarteano, alla ricerca di quella Citta.  Non m'era mai successo di partire alla ricerca di una Citta che non era la mia ragazza, ma che aveva condiviso con me soltanto la sua prima esperienza trasgressiva. Arrivato a Sarteano, parcheggiai la macchina e mentre stavo chiudendo lo sportello, mi sono sentito chiamare: “Ciao Citto come stai, ti posso offrire un caffè? Il cuore mi salì in gola, mi girai di scatto ma non era lei. Sorpresa delle sorprese era la donna dell'autostop, che accompagnai fino a Chianciano, e poi svanì nel nulla. Era bella, come l’avevo sempre ricordata, vada per un caffè dissi, e mentre stavamo parlando del più e del meno, dentro la mia testa avevo una confusione terribile, tanto che non riuscivo a seguirla nei suoi discorsi. Intanto lei mi diceva:" Sai mi sembri una persona della quale ci si può fidare, se vuoi possiamo essere amici, voglio confidarmi con te e svelarti un mio segreto". La mia testa stava scoppiando , la mia mente correva veloce , e mi domandavo : “ Perché sono venuto in questa zona , perché ho questo pregiudizio”, ma lei continuava a parlare : “Non so cosa ne penserai tu , ma io sono in realtà la moglie di un grande RE ETRUSCO , non potevo più stare li nella tomba di un RE con il quale è finita una civiltà “ . Sono venuta per scoprire cosa mi tormenta e fa in modo che il mio sonno eterno non sia tranquillo. Mi  alzai e andai di corsa nel bagno del locale in cui eravamo. Non ci stavo capendo più nulla, mi ripeto ancora: “Perché sono venuto in questa zona?”, ma che cosa mi sta capitando, prima incontro una Citta che va cercando esperienze, poi ritrovo questa bella donna che mi parla di reincarnazioni, forse sono pazzo o lo sto diventando, mi domandai guardandomi davanti allo specchio. Ritornai poi al tavolo, e lei mi stava aspettando. Vedi Citto mi dice, io leggo dentro i tuoi occhi la sofferenza e l'incredulità , lei prendendo da dentro la sua borsa dei fogli scritti, mi pregò di leggerli, parlano di Sarteano……………………..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “1”

 

 

Località SARTEANO

 

In collina, a 573 metri sul livello del mare, si trova SARTEANO, il suo nome deriva dal personaggio etrusco “SARTIANUM”, che si pensa avesse fon­dato il paese, o meglio avesse iniziato le prime costruzioni architettoniche, là dove oggi si trova il “paese vecchio”.

Famoso per il suo campeggio, (il secondo in Europa come grandezza) che s'estende a sud del Paese per alcuni chilometri, con ben tre piscine, acqua di sorgente a 27 gradi permanentemente costanti, ristoranti, concerti all'aperto, ecc. Nella parte storica del paese ci sono costruzioni a testimonianza delle an­tiche dominazioni cavalleresche, come per esempio Palazzo Piccolomini, Pa­lazzo Cennini, e tanti altri palazzi più o meno importanti una volta dimora di duchi, marchesi e conti.

Sarteano offre al turista molti luoghi di agriturismo, la fonte delle Canalette, la cui acqua guarisce da sempre le malattie e le infiammazioni degli occhi; le celle di S. Francesco, luogo di passeggiata campestre e pista per biciclette da montagna.

In queste “celle” simili a caverne si ritirò S. Francesco d'Assisi, durante il suo pellegrinaggio, e passò qui diversi anni della sua vita.

SARTEANO, paese d'origine Etrusca, ma anche una città che si sta am­pliando e industrializzando molto in fretta, da poco esiste anche una zona in­dustriale, dove gli imprenditori hanno edificato i loro capannoni.

Sarteano do­mina la valle, dai punti più alti si vedono il lago Trasimeno, quello di Chiusi, e quello di Montepulciano.

In questo paese si svolge in agosto la “Giostra del Saracino”, manifestazione popolare molto antica, apprezzata dai turisti e dai cittadini, che divisi in con­trade (S. Bartolomeo, S. Martino, S. Lorenzo, S.S. Trinità ecc.), partecipano con gioia ed impegno alla giostra, cercando di centrare su di un cavallo in corsa, un anello con una lancia tenuta dalla la mano destra.

Il castello è in alto al centro del paese, ormai non più visitabile per intero, perché al­cune sue parti sono pericolanti, questi domina dall'alto tutta la cittadina, ai suoi piedi le mura che circondano gran parte di SARTEANO vecchia.

Le porte d'ingresso al paese sono ancora lì, come una volta, mancano solo i mastodontici portoni di legno che in tempi antichi venivano chiusi per prote­zione.

Sulla parte ovest di Sarteano ci sono molti boschi e pinete, fino a salire al Monte Cetona, (885 metri sul livello del mare) con in cima la sua croce visi­bile da molto lontano. Paese noto per i soprannomi dati agli abitanti, c'è una specie di record del soprannome, infatti, 90 abitanti su 100 ne posseggono uno, ad esempio: Lollo, Pancio, Bobò, Peppe, Pepo, Tiritunne, Mondezza, Quoque, e centinaia di tanti altri.

La piazza centrale mostra al centro un monumento, ai caduti, ed alla sua sinistra le "Logge", con all’interno i ricordi e la lista dei caduti in guerra, dalle loggie si accede al Teatro comunale, non è enorme, ma molto ben fatto ed accogliente, ed ultimamente anche perfettamente funzionante.

Die­tro al monumento il barbiere ed i negozi antichi, insomma una cittadina simile a Pienza, Monticchiello, Cetona ecc.

Un tempo paese di contadini in campagna, e di padroni nelle ville in paese, adesso invece la situazione si è invertita, i ricchi stanno nei vecchi casolari di campagna mentre i poveri nelle case del paese.

 

VISTA DI SARTEANO

 

Un posto tranquillo, salutare e ottimo per odia lo stress quotidiano delle città, o per chi ha da spendere per comperarsi un bel casolare, ristruttu­rarlo ed abitarci in santa pace.

Poco distante, “Chianciano Terme”, che offre invece una buona e funzionante sta­zione termale specializzata nella cura del fegato. In quanto a locazioni archeologiche, anche Chianciano ne offre alcune, ben note agli abitanti locali ma forse meno ai turisti, i quali a nostro parere dovrebbero essere spronati a vedere certi posti, magari con passeggiate organizzate dagli alberghi stessi, o addirittura dal Comune, o dall'Ente per il Turismo.

Una zona abbastanza bella di Chianciano è la "Pedata", necropoli scavata per metà, che offre la vista d'alcune tombe a camera, scavate completamente nel tufo.

Poco più in alto lungo la "camionabile" (Chianciano), strada nella quale vengono deviati i mezzi pesanti per evitare che si intoppino nel caos del centro, salendo verso l'alto, si possono vedere dei resti di insediamenti etruschi, segnalati con tanto di indicazioni e cartelli, come ad esempio “Poggio Bacherina”.

A dieci chilometri da Sarteano c'è Chiusi, anticamente la città dimora del Re Porsenna, Lucumone e Re degli Etruschi, e sovrano dell'Etruria intera. A Chiusi si possono ammirare alcune tombe decorate con dipinti, nel centro storico c'è il Museo del Duomo, dove risiedono molti reperti sia locali che provenienti dai paesi circostanti. Le necropoli a Chiusi sono di gran lunga inferiori a quelle di Sarteano, d'altronde secondo le nostre teorie questa città era la zona "Logistica", mentre quella "Operativa" era più spostata verso Sarteano, e di conseguenza, anche quella delle necropoli comuni.

Ma torniamo a Sarteano, nelle periferie che circondano il paese,  vi sono in varie zone resti di epoca etrusca, in prossimità del cimitero di Sarteano, ad esempio, scendendo verso nord, si può percorrere in discesa per circa un chilometro e mezzo un pezzo di "Via Inferi" o (cupa), si tratta di una strada etrusca scavata nella roccia molto profonda, che scende in direzione della cartiera di Sarteano.

Questa zona è meglio denominata 'Bocca la Ciana" famosa a molti ragazzi per le sue numerose caverne naturali, adatte per esplorazioni di carattere "Speleologico". In questo sito, nel 1966 durante i lavori di scavo di una fognatura, nel viale centrale del cimitero alla profondità di circa 2 metri, fu rinvenuta una tomba in parte già manomessa.

La tomba era d'età "Arcaica", al suo interno furono rinvenuti un boccale di bucchero e altri frammenti vari, ed un cippo di travertino, sicuramente appartenente alla stessa tomba.

Andando avanti invece, ad est, dopo il cimitero c'è un'altra località particolare denominata “il Gorone", da "Gora", o meglio grande massa d'acqua contenuta in un recipiente artificiale, questo "Gorone" serviva ad alimentare le macchine della cartiera sottostante, l'acqua viene infatti ancor oggi incanalata attraverso delle condutture e portata fin giù alla cartiera, dove per la pressione acquistata lungo il pendio, viene utilizzata per alimentare una piccola centrale idroelettrica. Nella località della cartiera nel marzo del 1952 fu segnalato, ma mai accertato, il rinvenimento di una tomba etrusca con all'interno una maschera d'oro, le voci giunsero alle autorità del paese, ma non si riuscì a saperne di più.

Questo posto che va da "Bocca la Ciana", al "Gorone" è una piana, particolarmente visibile da molti paesi dei dintorni.

Lungo questo strano pianoro, si vedono qua e là alcune pietre di forma quadrata e rettangolare, di chiara epoca etrusca, forse servite a quei tempi per qualche costruzione in pietra adesso non più visibile, o forse servite da basamento di sostegno per qualche struttura. Si pensa così perché è chiaro che avendo costruito in questo punto qualcosa di abbastanza alto, lo si sarebbe visto per così dire da mezzo mondo, a causa della posizione stessa.

C'è da notare che alla fine del campo, sia verso nord che verso est si vedono tracce di muri a secco forse di sostegno, o di circondario per delimitare i confini di proprietà, muri interessanti, ma solo dal punto di vista storico.

Un altro fatto molto strano è che in questo pianoro non vi sono tracce di scavi o tombe etrusche, né recenti né remote, come se il sottosuolo fosse così solido, da non aver permesso agli Etruschi di costruire qui le loro tombe.

Che sia stato questo pianoro enorme, la base ove poggiava un tempo il famoso “Mausoleo” eretto in onore del “Re Porsenna”? Noi siamo convinti che il posto giusto sia questo.

Spostiamoci per un momento a nord di Sarteano, lungo la strada che porta a Chianciano, fatti circa tre chilometri dal paese, svoltando a destra per una via sterrata si può arrivare in località "Santa Apollinare", un allevamento di cavalli dei più estesi nella zona.

Dando uno sguardo in giro, fra le stalle e il casolare del custode, c'è un pendio scosceso di formazione tufacea, scendendo lungo questo pendio si no­tano bene due o tre tombe aperte, facenti parte di una serie "a schiera", a prima vista sembrerebbero isolate, ma guardando bene sia a destra che a sinistra, c’è lo spazio giusto, e quindi ce ne sono almeno altre quattro (inviolate), ai lati di quelle già aperte.

Abbiamo raccolto anche su questa zona dei racconti locali, uno dei quali dice: "Stavamo facendo un fossato per far scorrere l'acqua piovana più in basso, impedendo così che quando piove molto si allaghi il terreno su cui pa­scolano le mandrie dei cavalli.

Ad un certo punto, a circa 600 metri a ovest del casolare, picconando nel terreno venne fuori una specie di tegola, tanto grande da non somigliare per niente alle nostre, infatti, notammo poi che ce ne erano altre, messe ben dispo­ste, come a celare una specie di fossa rettangolare, della profondità di circa 80 cm. e larga 70, la cui lunghezza era di circa due metri e mezzo".

Noi avevamo già capito dal racconto, che in quel posto esistevano anche delle tombe di tipo "a cassettone con copertura a Tegolo", sicuramente d'epoca Etrusca.

Effettivamente ancora oggi si vede bene il fossato e qualche cenno di mate­riale di mattone rosso, e qualche pezzo di Tegolo, vari detriti rossastri classici dei posti dove esistevano tombe di questo tipo, in conclusione possiamo affermare che, anche qui ci sarebbe molto da lavorare, essendovi sicuramente un 40% di Tombe ancora inviolate, naturalmente non è una zona di facile accesso da parte dei ricercatori in quanto proprietà privata, e quindi per compiere delle ulteriori indagini ci vorrebbe un permesso da parte della So­printendenza Archeologica locale e del padrone del terreno.

Ad ovest del paese c'è la strada che porta a "Castiglioncello sul Trinoro", fatta tutta la dritta, verso la periferia del paese, prima della curva a destra che c'immette all'inizio delle salite, guardando in alto si vede un casolare, "Pog­gio Le Forche". Questa è una buona zona archeologica, nel 1915 intorno al casolare, specialmente nella parte che guarda il paese furono rinvenute parec­chie nicchie a parete, diversi ziri, ed anche qualche tomba, ricca di reperti. Sempre secondo i racconti, (discutibili) in una di queste tombe fu rinvenu­to un cavallo alato, d'oro, del peso di 50 Kg.

Poco distante, a circa 300 metri, salendo verso Castiglioncello c'è un punto denominato "La Caccetta", il nome deriva da un casotto in mattoni dove i cacciatori si potevano appostare per la caccia da fermo.

Attorno a questo piccolo fabbricato si intravedono in vari punti, resti di tombe profanate, molte delle quali sono state poi ricoperte in maniera parzia­le, quasi sicuramente si tratta di tombe di epoca etrusca, questi resti testimo­niano che anche in questa zona dominante il sud‑est da un'altura non indiffe­rente, gli Etruschi avevano scelto i luoghi per le loro sepolture.

La vegetazione è molto folta, e le troppe piante innestate parecchi anni or sono, fanno sì che l'individuazione di altre tombe non profanate sia molto dif­ficile, abbiamo comunque calcolato che ce ne siano almeno una ventina da in­dividuarsi nell'arco di spazio che va dalla Caccetta, fino alla località "Cavet­ta", (una vecchia cava di tufo dentro il bosco).

Sarteano adesso vi apparirà meno velato, almeno per quanto riguarda il paese e la sua periferia, adesso però addentriamoci nella scoperta di cose mol­to più ricche di mistero e di tesori nascosti.

 

 

CENNI STORICI:        I Personaggi Etruschi

 

Riportiamo brevemente la storia di alcuni personaggi caratteristici della storia etrusca. Come già ricordato nel capitolo precedente, è importante tenere presente che le notizie storiche pervenuteci sono state filtrate dal mondo culturale filo romano (tranne nel caso della vicenda del mitico Mastarna e dei Vibenna), per cui è lecito supporre che per alcuni tratti le vicende riportate si siano arricchite di leggenda, al fine di esaltare la cultura romana che aveva sconfitto quella etrusca. Cicerone Marco Tullio Fabia (gens) Furio Camillo Marco Mastarna ed i Vibenna Mecenate Caio Cilno Ocresia Porsenna Ravnthu Servio Tullio Spurinna (gens) Tanaquilla Tarquinio Lucio Prisco Tarquinio Lucio il Superbo Tullia Velia Virgilio Publius Maro Vulca MARCO TULLIO CICERONE

 

Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C. in territorio di Arpino, da famiglia equestre nella villa paterna alla confluenza del Liri col Fibreno e sempre si considerò un puro Arpinate, quasi continuatore del grande conterraneo Mario. Nell’orazione Pro Plancio esprime vivo l’attaccamento viscerale alla sua terra di origine quando ricorda quale affetto leghi gli Arpinati fra di loro e con quale partecipazione questi seguano le sue vicende politiche. Lì, sui monti dei Volsci, aggiunge, è la forza d’Italia, perché ha conservato gli antichi costumi, senza malevolenze, senza finzioni e conclude: “La nostra patria è rozza e montuosa ma semplice e fedele”. E nel momento del suo esilio indica alla moglie Terenzia, quale rifugio sicuro, la villa di Arpino e al suo unico figlio egli darà la toga virile non in Roma, ma nel foro dell’antica città volsca. Cicerone ben presto fu inviato a Roma dove studiò Retorica e Diritto, ma anche Filosofia e Lettere e completò la sua preparazione ad Atene e a Rodi. Il suo cursus honorum iniziò nel 76 a.C. con una rapida e inarrestabile ascesa: fu questore nella Sicilia orientale, poi edile curule, pretore nel 66 a.C. e console nel 63. La sua oratoria robusta ed euritmica gli aveva aperto la strada alle affermazioni politiche. Nel periodo turbolento che viveva la Repubblica dei suoi tempi, Cicerone fu personaggio controverso: ora acclamato pater patriae dopo aver sventato la congiura di Catilina, ora esiliato per la vendetta di Clodio. In bilico fra il vecchio ed il nuovo fu incerto nello schierarsi, ma se la sua fede politica sembra mutare, sempre costante fu la sua fedeltà ai valori morali e alla Repubblica. Nella lotta fra Cesare e Pompeo si schiera con Pompeo, ma dopo Farsalo si riavvicina a Cesare. Le Idi di Marzo lo trovano dalla parte dei tirranicidi e con le Filippiche si scaglia contro Antonio. Quando questi si accorda con Ottavio, Cicerone capisce che la sua ora è suonata. E allora tutto, indecisione, incertezza, opportunismo, fu riscattato dalla sua morte affrontata consapevolmente, anzi cercata, e alte suonano le parole della seconda Filippica: “Ed ora per me, o Senatori, la morte rappresenta un desiderio ... Una sola cosa desidero: di lasciare libero morendo il popolo romano. Niente di più bello può essermi concesso dagli dei immortali”. Infatti raggiunto a Formia dai sicari di Antonio, gli fu troncata la testa che egli aveva sporto dalla lettiga. Era il 7 dicembre del 43 a.C. Le Verrine, le Catilinarie, le Filippiche furono i momenti più alti della sua oratoria; il De legibus, il De Officiis, il De Republica, le Tuscolanae sono l’espressione del Cicerone pensatore, studioso, interprete dell’anima latina. Le Epistolae, infine, sono il documento che ci rivela l’umanità, l’inquietudine, i dubbi e le angosce dell’uomo Cicerone. FABIA (Gens) La gens Fabia possedeva dei territori nella zona a ridosso di Veio e presto la lotta per il predominio territoriale divenne inevitabile. Nel 478 a.C. la famiglia dei Fabii, aveva chiesto e ottenuto l’autorizzazione al Senato, per combattere una sorta di guerra privata contro la la rivale etrusca. 306 membri della prestigiosa famiglia romana, accompagnati da una guarnigione di 4000 uomini, probabilmente loro clienti, si accamparono a poca distanza da Veio, sulle rive del fiume Cremeria, un piccolo affluente del Tevere. Da lì conducevano una guerra fatta di piccoli scontri, incursioni e razzie di bestiame. Il 13 febbraio del 477 a.C., caddero in un’imboscata preparata dai veienti: 305 componenti della famiglia dei Fabii, caddero sotto i colpi dei nemici. Solo un giovane si salvò e garantì in questo modo la discendenza dalla famiglia che rimase comunque una delle gens più importanti dell’antica Roma. FURIO CAMILLO Marco Generale e uomo politico romano (fine del V sec. a.C.- 365 a.C.). Censore nel 403, sei volte tribuno militare con potestà consolare tra gli anni 401 e 381, dittatore nel 396 a.C., si segnalò nella guerra contro gli Etruschi, conquistando Veio già assediata da dieci anni e raddoppiando il dominio territoriale di Roma. Tre anni dopo aver concluso la pace con i Falisci, in seguito a una condanna, andò in esilio ad Ardea (391). Secondo una tradizione poco verosimile, sarebbe tornato nel 390, dopo la presa di Roma da parte dei Galli, interrompendo le trattative di riscatto con la famosa frase « Non con l’oro ma con il ferro si salva la patria » e avrebbe ricacciato gli invasori. Attese, quindi, alla ricostruzione di Roma e diresse, nel 389 a.C., le guerre contro gli Equi, gli Ernici e i Volsci; inoltre aumentò l’effettivo dell’esercito romano, introducendo lo stipendio per i nullatenenti, e circondò il Campidoglio di potenti fortificazioni. Grande personalità ebbe il soprannome di Secondo Fondatore di Roma e la leggenda ne abbellì la figura e le gesta. MASTARNA ed i VIBENNA

 

RAVNTHU Ravnthu appartenne a due delle più grandi famiglie tarquiniesi: per nascita a quella dei Thefrinai e per matrimonio a quella ancora più prestigiosa e storica degli Spurinna. Quando morì fu deposta con gli Spurinna nella regale Tomba dell’Orco, dove ancora s’intravede dipinta in una nicchia, sullo sfondo di un paesaggio agreste. Indossa una tunica bianca ed è distesa con meravigliosa scioltezza in banchetto, accanto al marito Velthur il Grande, l ‘eroe che al comando di due eserciti etruschi partecipò come alleato di Atene all’assedio di Siracusa. Le sue quinquereme combatterono magnificamente nella battaglia di Lisimelia, ma quella fu l’ultima azione militare di vasta portata in cui, nel meridione, apparvero le forze navali di Tarquinia. Perché, come era stato scritto inesorabilmente, il tempo concesso dagli Dei alla nazione etrusca stava per concludersi e nel silenzio del cielo sereno era già risuonato lo squillo terrificante della tromba sacra che ne annunciava la fine. Roma invadeva le terre, atterrava le rocche, devastava i porti, ma Tarquinia resisteva e contrattaccava. Ogni volta, a difendere la libertà della città santa al nomen etrusco c’era uno Spurinna, strettamente legato per vincoli di parentela alla matriarca Ravnthu. Prima scese in campo suo figlio Velthur il giovane, poi suo nipote Avle, che i romani chiamavano Aulus. Avle Spurinna spodestò dal trono Orgolnius, re di Cere, liberò Arezzo dalla rivolta degli schiavi, tolse ai Latini nove città fortificate. Poi carico di orgoglio, di rancore e di sete di libertà, affrontò Roma in campo aperto. Tanta era l’ira di entrambe le parti che nessuna iniziò lo scontro con i giavellotti, gli archi e le altre armi da getto. La battaglia fu subito aperta con la spada, corpo a corpo, e la già inaudita violenza iniziale si accrebbe durante la lotta. I tarquiniesi vinsero e il prezzo che imposero ai vinti fu durissimo: con un implacabile cerimoniale che si protrasse per giorni e giorni, in un mare di sangue che inondò il Foro di Tarquinia, trecentosette prigionieri romani furono giustiziati davanti all’Ara della Regina. Nella seconda battaglia per la libertà, le truppe etrusche inferiori per numero furono sconfitte. Questa volta fu Roma a non avere pietà. I tarquiniesi vinti furono passati per le armi la sera stessa, sul luogo dello scontro. Trecentocinquantotto tra i più nobili furono invece trascinati nell’Urbe. Qui, in un crescendo di orrore che superò quello dell’eccidio dell’Ara della Regina, furono pubblicamente massacrati. I ricchi oliveti, i vigneti, i campi della città vinta furono bruciati e gli impianti idraulici insabbiati. Tarquinia non morì subito, anzi conobbe altri anni di effimero splendore. Poi, pian piano, uscì dalla storia. Mezzo millennio più tardi, però, un cittadino della Roma Imperiale, che nonostante l’oblìo dei molti secoli trascorsi voleva onorare il ricordo dei suoi antenati etruschi, fece incidere in una epigrafe, gli “Elogia Tarquiniensia”, le lodi degli Spurinna e il racconto delle loro grandi gesta. Tra i nomi degli eroi, con grandissima dignità e rispetto, volle immortalare anche quello di Ravnthu, la donna che orgogliosamente fu al centro della loro gente e della loro storia. L’epigrafe degli Elogia è conservata nel Museo Nazionale Archeologico di Tarquinia. SERVIO TULLIO Secondo la tradizione sesto re di Roma, che avrebbe regnato dal 578 al 535 a.C. Nato, in base alla leggenda, a palazzo reale da una prigioniera di guerra Ocresia, e dal lare domestico e allevato con ogni cura, dopo che un prodigio aveva preannuncato la sua futura grandezza, con l’aiuto della regina Tanaquilla succedette senza difflcoltà a Tarquinio Prisco, di cui aveva sposato la figlia. Il suo nome è associato a due fatti: la costituzione serviana e il tempio di Diana sull’Aventino. Non pare invece che si possano attribuire a lui le cosiddette mura serviane, almeno nello stato in cui sono conservate. Il carattere distintivo del suo regno fu il tentativo di fondere nativi ed etruschi. Servio venne educato a Roma nel palazzo reale. Sposò una figlia di Tarquinio. Nel 579 Tarquinio fu ucciso ad opera di persone legate all’ambiente dei figli di Anco Marcio, quarto re di Roma. Tanaquilla, dapprima nascose al popolo la morte di Tarquinio, e poi riuscì a far nominare Servio re di Roma. L’imperatore Claudio, autore di un storia dell’Etruria, parlando in senato a favore della concessione della cittadinanza romana agli abitanti della Gallia Comata, per sottolineare la tradizione romana di apertura all’accoglienza degli stranieri, narrò un storia diversa. Secondo Claudio, Servio Tullio, con il nome di Mastarna (vedi paragrafo), avrebbe avuto un ruolo importante nella storia di Vulci, città etrusca. Amico di Celio e Aulo Vibenna, signori di Vulci, avrebbe combattuto al loro fianco senza fortuna. Con i resti dell’esercito si sarebbe posto al servizio di Tarquinio, che per ricompensa gli avrebbe permesso di abitare con i suoi compagni sulla collina a cui diede il nome di Celio, in onore del suo capo. Questa versione potrebbe nascondere un fatto più grave: un esercito, proveniente da Vulci, avrebbe occupato Roma e ne avrebbe cacciato i Tarquini, che sarebbero rientrati alla morte di Servio Tullio, comandante dell’esercito invasore. Mastarna è un nome latino etruschizzato, deriva da magister e significhebbe qualcosa di analogo a “il condottiero”. Il termine servus, non di origine indoeuropea e forse etrusco, significava straniero senza diritti, apolide. In sostanza il sesto re di Roma sarebbe stato conosciuto con un nome etrusco a Roma ed uno latino in Etruria. La costruzione sull’Aventino del tempio dedicato a Diana, l’Artemide greca, fu un atto di politica internazionale. Il tempio di Artemide ad Efeso era considerato il simbolo della federazione delle città della Ionia in Asia Minore. Il culto di Diana e l’idea di federazione dovevano essere assai vivi nel mediterraneo occidentale dopo la rifondazione, avvenuta nel 540 a.C., della colonia greca di Marsiglia. La statua di Diana venne posta nel tempio romano esattamente come Artemide nel tempio di Marsiglia. Il tempio sull’Aventino, costruito intorno al 540 a.C., mirava a riunire politicamente e religiosamente Roma, il Lazio e l’Etruria meridionale, a somiglianza del sistema federale etrusco dei Dodici Popoli. Il tempio venne costruito fuori della città, su di un colle scarsamente abitato. Solo nel 465 l’Aventino diverrà zona residenziale con una legge ascritta al tribuno della plebe L. Icilio. La posizione esterna venne prescelta probabilmente per poter attirare il maggior numero di persone, poveri, immigranti, schiavi, ecc. La fondazione del tempio veniva festeggiata il 13 agosto. Servio Tullio eresse i templi gemelli di Mater Matuta e della dea Fortuna nel Foro Boario, il mercato in riva al Tevere. Mater Matuta è una divinità italica, con tempio principale a Satrico, città a sud di Roma. La dea della Fortuna, tradizionale divinità latina, era simboleggiata da una statua velata, come quelle degli dei etruschi del Fato. La fondazione dei templi gemelli veniva festeggiata l’11 giugno. Il tempio di Fors Fortuna venne costruito sull’altra sponda del Tevere, fuori della cinta cittadina e alle celebrazioni potevano partecipare gli schiavi. Servio Tullio divise la popolazione romana in base al territorio, indipendentemente da criteri etnici o di nascita. La cittadinanza venne a dipendere dal luogo di residenza. In tal modo molti immigrati, mercanti, agricoltori etruschi o di altra provenienza poterono divenire cittadini romani, fedeli a Roma prima che alla famiglia o al gruppo etnico. Vennero definite 4 tribù urbane: Suburana (il Celio), Palatina, Esquilina, Collina. Il numero delle tribù extra-urbane, inizialmente 16, arrivò in seguito a 31. L’appartenenza ad una circoscrizione territoriale (tribus), basata sul domicilio, consentì lo sviluppo di un catasto per valutare i beni fondiari ed assegnare i cittadini ad una classe e fissare il tributum relativo. Il popolo romano fu diviso in cinque classi di cittadini/soldati in base al censo. Ogni classe forniva all’esercito un certo numero di centurie, gruppi di cento uomini. Nella prima classe, la più ricca, si reclutavano 18 centurie di cavalieri e 80 di fanti, Nella seconda, terza e quarta 20 centurie e nella quinta 30. Un sistema di tassazione proporzionale al reddito. Erano esentati dal servizio militare e dalle spese connesse i cittadini con un reddito molto basso (i capite censi). Le centurie all’interno di ogni classe si distinguevano in quelle formate da seniores, la riserva dei cittadini al di sopra di 46 anni, e quelle formate da iuniores, i combattenti effettivi. Le centurie di iuniores e di seniores erano in numero pari. La prima classe era armata con elmo, scudo tondo, corazza e schinieri, lancia, giavellotto e spada. La seconda classe era armata come la prima, ma senza corazza. Portava uno scudo più piccolo e allungato. La terza classe aveva elmo e armi offensive. La quarta classe aveva lancia e giavellotto. La quinta classe aveva delle fionde. I diritti politici erano proporzionali ai servizi che i cittadini fornivano all’esercito. Ogni centuria, in quanto unità di combattimento era una unità di voto. I capite censi formavano una sola centuria. Due centurie erano riservate al genio (carpentieri e fabbri) e votavano con la prima classe. Due centurie erano riservate ai musici e votavano con la quarta classe. In totale si avevano 193 centurie, con maggioranza assoluta della prima classe (80+18). Il sistema eliminava i privilegi della nascita o della etnia, e nel contempo evitava gli inconvenienti della tirannia del numero. I Comizi Centuriati costituirono l’assemblea dei soldati e si riunirono all’esterno dei sacri confini della città. Questa assemblea divenne l’entità dominante dopo la caduta della monarchia, sia dal punto di vista legislativo che elettorale. Sarebbe stato infine ucciso dal genero, Tarquinio il Superbo, d’accordo con la moglie Tullia, la quale non esitò poi a passare con il cocchio sul suo corpo nel vicus che dal fatto prese il nome di sceleratus. SPURINNA (Gens) A Tarquinia, nel IV sec. a.C., la famiglia più potente ed egemone è quella degli Spurinna (Larth, Velthur, Aulus). I vasti interessi di questa famiglia realizza un’ alleanza con la grande potenza ateniese e trascina appresso numerose città etrusche (si potrebbe pensare ad una alleanza stipulata o consacrata al Fanum Voltumnae). In questa alleanza, nel bene e nel male, il popolo etrusco è rappresentato da Velthur Spurinna praetor di Tarquinia e figlio di Larth Spurinna. La carica di praetor è la massima magistratura politico-militare, ma non religiosa, della città stato (simile forse al consul romanus), sembra che Velthur l’abbia ricoperta per ben tre volte. A lui viene affidato il comando della spedizione di soccorso ad Atene impegnata nell’assedio della odiata rivale Siracusa nel 414-413 a.C.. Lo scontro definitivo tra Tarquinia, ancora potente e alla testa della lega delle città etrusche, e Roma, data al 358-351 a.C. e si conclude con una tregua di 40 anni allo scadere della quale, dopo un nuovo scontro armato conclusosi nel 308 a.C., la tregua viene rinnovata per un uguale periodo. Di queste vicende conosciamo la versione romana tramandataci da Tito Livio, ora integrata con la versione etrusca fornita da alcuni frammenti degli elogia relativi alle gesta di Aulo Spurinna, figlio o nipote del capostipite Velthur. Gli Spurinna ritornano alla ribalta con Giulio Cesare. Il generale romano aveva al suo seguito un indovino discendente della famiglia tarquiniese che gli aveva consigliato di non recarsi in Senato la mattina del tragico eccidio. TANAQUILLA Nella splendida Tarquinia del VII secolo a.C., Tanaquilla era la donna che più assomigliava alla città. Nobile, ricchissima, ambiziosa, era ammantata di una sacralità speciale, poiché nessuna come lei era esperta nelle dottrine tagetiche. Sapeva leggere i segni attraverso i quali si manifestavano gli Dei e, come toccata dal divino, aveva il dono di interpretarli in modo da stornare da essi tutto quello che si opponesse alla propria volontà e allontanare ogni significato che ostacolasse i suoi progetti, trasformando così il suo fascino divinatorio in potere personale al quale tutti finivano per piegarsi. Sposò Luchmon, figlio di una Tarquiniese e del greco Demarato che, fuggito da Corinto con un seguito di ceramisti eccellenti e di pittori squisiti, si era stabilito a Tarquinia, inondandola di bellezza e di ricchezza. Ma a Luchmon, proprio perché figlio di uno straniero sia pure così eminente, non era permesso dalle rigorose tradizioni etrusche di percorrere la carriera politica fino ai massimi livelli. L’esclusione dai giochi del potere sembrò intollerabile a Tanaquilla, che convinse il suo uomo a trasferirsi a Roma, città ancora giovane e in cerca di una propria identità dove tutto poteva accadere a chi era intelligente, intraprendente e ricco. Fu lei, che orgogliosa e impavida sapeva guidare i veloci carri da corsa degli etruschi, a prendere personalmente le redini del pilentum a quattro ruote carico di vasi dipinti e di preziosità di ogni genere con il quale, lasciando Tarquinia insieme al suo compagno, affrontò un destino che avrebbe cambiato la storia. Sul Gianicolo, il primo colle di Roma che si incontra giungendo dall’ Etruria, accadde un evento prodigioso: un’aquila piombando dal cielo ad ali spiegate, ghermì il cappello di Luchmon e dopo aver volato con alti stridi, glielo ripose in capo, come se solo per questo fosse venuta. Infine si rialzò in volo e sparì nel cielo altissimo. Luchmon ritenne infausto il presagio e ne rimase sopraffatto. Tanaquilla, invece abbracciò con riverenza il marito e vaticinò la gloria che lo attendeva: l’aquila scesa da altezze così grandi era il messaggero dei Numi e aveva tolto e rimesso il berretto etrusco sulla sua testa per significare che con lui stava entrando in città un vero capo che, voluto dagli dei, avrebbe reso Roma più grande e più potente. Infatti Luchmon che era saggio e generoso ma che soprattutto sapeva combattere a cavallo e a piedi più coraggiosamente degli altri, divenne re con il nome di Lucio (Luchmon) Tarquinio (proveniente da Tarquinia) Prisco, il primo dei re etruschi. In quel tempo, Roma non era una vera città: sui colli tiberini esistevano soltanto sparuti gruppi di villaggi e nei luoghi pianeggianti regnava ancora la palude. Tarquinio la drenò, trasformò il terreno prosciugato in mercato, il futuro Foro Romano e di qui fece partire un reticolo di strade lastricate tra le quali la Via Sacra. Poi costruì gli edifici che sarebbero rimasti per sempre il nucleo monumentale dell’Urbe e gettò le fondamenta del tempio di Giove Capitolino. Infine, trasmise ai romani tutti i cerimoniali e i simboli che a Tarquinia significavano l’ autorità: i littori con i fasci di verghe e la scure, le porpore ricamate, le corone d’oro, i troni e gli scettri d’avorio sormontati dall’aquila e l’ uso di trionfare sul carro aureo a quattro cavalli. Musici, danzatori, atleti, artisti tarquiniesi invasero la città e riuscirono ad incantarla. Da allora Roma incominciò a rincorrere un sogno: diventare nel tempo raffinata come Tarquinia e superarla in grandezza e splendore. Poi, negarne con crudeltà la dipendenza e cancellarne per sempre il nome dalla storia.

 

TARQUINIO Lucio PRISCO Secondo la tradizione quinto re di Roma, che avrebbe regnato dal 616 al 578 a.C. Figlio di Demarato, un esule corinzio stabilitosi a Tarquinia, insieme con la moglie Tanaquilla si sarebbe trasferito a Roma, dove, mutato il nome Lucumone in Lucio Tarquinio e accattivatosi il favore di Anco Marcio, alla sua morte sarebbe riuscito a farsi eleggere re lasciando in disparte i giovani figli del sovrano, che circa 38 anni dopo lo avrebbero fatto uccidere nel tentativo di riconquistare il trono. La tradizione gli attribuì la nomina di cento nuovi senatori, I’istituzione dei duoviri sacris 1aciundis e dei ludi magni (romani), I’introduzione a Roma di usi e costumi tipicamenie etruschi (in particolare le insegne regali, quali lo scettro, la toga purpurea, la sella curalis, i fasci littori, e il rito del trionfo) I’intrapresa di importanti opere pubbliche (Cloaca massima, circo Massimo, tempio di Giove sul Campidoglio, ecc.) e vittoriose campagne contro Sabini e Latini. Figura di indubbia storicità, al di là dei particolari leggendari e sebbene sia da alcuni storici considerato tutt’uno con Tarquinio il Superbo, è generalmente identificato con il Cnere Tarchunies Rumach raffigurato nelle pitture della tomba Francois di Vulci, che rispecchiano una tradizione diversa (etrusca) da quella ufficiale romana. TARQUINIO Lucio il SUPERBO Secondo la tradizione settimo e ultimo re di Roma, che avrebbe regnato dal 535 al 509 a.C. Figlio o nipote del precedente, si sarebbe impadronito del trono dopo aver fatto uccidere Servio Tullio, di cui aveva sposato la figlia Tullia. Astuto e senza scrupoli, per ampliare il proprio dominio si servì più che delle armi, come contro i Volsci, di spregiudicati stratagemmi, come quelli escogitati per impadronirsi di Gabi (l’uccisione dei più influenti cittadini cui avrebbe alluso, tagliando i papaveri di un campo) e per assicurarsi la supremazia nell’ambito della Lega latina. Ma con i suoi metodi tirannici e oppressivi (scarsa considerazione per il senato, arbitraria amministrazione della giustizia, mantenimento di una guardia del corpo, imposizione di corvées) avrebbe suscitato sia tra i patrizi sia tra la plebe gravi malcontenti, sfociati infine in aperta ribellione per la violenza usata da suo figlio Sesto alla nobile Lucrezia. Cacciato quindi da Roma con tutta la famiglia, avrebbe poi tentato invano di ritornarvi, con l’aiuto di Porsenna e dei Latini. La tradizione gli attribuisce inoltre il compimento della Cloaca massima e del tempio di Giove sul Campidoglio. Considerato da alcuni studiosi moderni personaggio storico, è da altri ritenuto un semplice sdoppiamento di Tarquinio Prisco. TULLIA Tullia, figlia del sesto re di Roma, era una vera etrusca. Per sangue, perché nipote di Tanaquilla e di Tarquinio Prisco; per diritto, perché sposò il più superbo dei Tarquinii; per temperamento, perché ambiziosa e determinata. Era così sfrenatamente assetata di potere che viene ricordata come uno dei personaggi più torvi e crudeli della complessa saga che determinò, nel bene e nel male, la vita di Roma ai tempi della monarchia. In una cupa atmosfera di complotti di palazzo, uccise il suo primo marito che riteneva inadeguato a soddisfare le sue ambizioni. Poi eliminò sua sorella che aveva sposato il nobile Tarquinio, detto il Superbo, un giovane di grande fascino, di eccezionale intelligenza e di illimitata spregiudicatezza. Con Tarquinio e per Tarquinio, di cui diventò consorte e complice, Tullia continuò ad ordire sempre nuove congiure, rivolgendosi infine contro il proprio padre, Servio Tullio, il re colpevole di aver emanato una Costituzione che limitava la signoria unica ed assoluta tanto cara alle nobili famiglie etrusche trasferite a Roma. Aveva imposto anche ai patrizi i tributi da pagare secondo il censo, perché riteneva “conveniente e vantaggioso per la comunità che chi possieda molto, dia molto, chi poco, dia poco”. Per questo la Factio Tarquinia, cioè la fazione degli aristocratici tarquiniesi che vedevano imbrigliata la loro egemonia su Roma, ribolliva e Tullia, impaziente di prendere il potere, ne inaspriva gli animi con furiosa perseveranza. Finalmente il regicidio si compì, nel Vicolo Ciprio, dove Tarquinio il Superbo sferrò spietatamente l’attacco da cui il vecchio Servio Tullio non uscì vivo. Tullia, fremente, non poté attendere chiusa nel suo palazzo l’esito della congiura, perciò, scansato l’auriga, si recò sul luogo del massacro guidando personalmente il suo veloce carro etrusco. Con questo, come invasata, calpestò più e più volte, il corpo del padre. Poi, grondante di sangue paterno, prima ancora che qualcun altro parlasse, gridò che Roma ora aveva un altro re. Finalmente un grande re, suo marito Tarquinio. Lucio Tarquinio, detto il Superbo, fu davvero grande: sotto di lui Roma divenne una potenza militare imbattibile e schiere di commercianti, ingegneri, idraulici, agronomi e di artisti, interi collegi di musici e danzatori scesero dall’ Etruria e vi portarono arte, progresso e benessere. La stella di Tarquinia che, madre di Roma, irradiava civiltà raffinatezza e bellezza, non brillò mai così fulgida come in quel magico tempo. Ma presto il regno si trasformò in aperta tirannide: il Superbo, che già disprezzava la plebe, riempì la città di spie e di provocatori per perseguitare chiunque si opponesse al suo arbitrio, non solo i romani ma anche i nobili etruschi che gli avevano dato il potere, persino alcuni Tarquinii suoi familiari. Proprio da questi fu cacciato per sempre da Roma. Nella vicenda che portò alla repentina caduta della monarchia etrusca che sembrava incrollabile, giganteggiò ancora una volta una donna. Si chiamava Lucrezia. VELIA E’ nota in tutto il mondo come la Fanciulla Velca. Il suo squisito ritratto è considerato uno dei capolavori dell’arte antica ed è il frammento più “classico” di tutta la pittura funeraria etrusca. Si chiamava Velia, Velia Spurinna. Era nipote di Velthur il Grande, che aveva comandato due eserciti etruschi all’assedio di Siracusa e di Ravnthu Thefrinai: era sorella di Avle, l’eroe Tarquiniese che affrontò Roma in campo aperto e la vinse. Sposò Arnth Velcha, appartenente ad un’aristocratica famiglia di magistrati di rango così alto che avevano il diritto di essere scortati dai littori con i fasci di verghe e l’ascia bipenne che, prima a Tarquinia e poi a Roma, furono il simbolo del massimo potere. Dei Velcha conosciamo anche l’aspetto perché molti di essi furono dipinti nelle pareti della loro grande Tomba degli Scudi, che prende il nome dalle armi raffigurate in uno dei suoi affreschi. Qui tra gli altri, appaiono anche i genitori di Arnth che, adagiati sul letto conviviale davanti ad una tavola imbandita, si scambiano l’uovo dell’eterna fertilità mentre una giovane ancella muove per loro un ventaglio di foglie e di piume. Arnth e suo fratello Vel, avvolti in caldi mantelli, stanno invece in piedi vicino ad una porta. Velia, sposando, assunse dai Velcha il nome con il quale è nota in tutto il mondo. Eppure portava in sè così impresse la grazia e la dignità degli Spurinna che questi, straziati dalla sua morte forse precoce, la vollero dipinta nella loro Tomba dell’Orco. Ora, basta scendere i ripidi scalini di questo regale sepolcro, fare pochi passi e cercare con gli occhi: improvvisamente la fanciulla ci appare in un piccolo affresco sospeso in un mare grigio e indistinto di colori consunti dai millenni. Si presenta di profilo, quel suo famoso profilo netto come una scultura che, reso con grande realismo ma stemperato nella dolcezza dei particolari, ancora suscita stupore e costituisce l’immagine più nota dell’ iconografia etrusca. La ragazza veste una morbida tunica e un mantello bordato di rosso. Indossa gli ornamenti preziosissimi ma semplici degni del suo rango: orecchini a grappolo, collane di ambra, la corona di foglie d’ alloro dorato sulla chioma. I capelli castani sono in parte trattenuti alla nuca da una elegante reticella, in parte ricadono in morbidi boccoli ai lati del volto. Che è assorto. Il naso è dritto, di linea greca. Le labbra sono piene e sensuali ed evocano perduti contatti d’amore. Perciò si piegano in un sorriso doloroso quasi che il richiamare le gioie della vita appena trascorsa procuri ancora alla ragazza innamorata un rimpianto insostenibile. Gli occhi invece guardano lontano e sembrano già aver trovato nei misteri della morte i motivi per accettare senza dolore tutti i distacchi. Come un’ ombra paurosa sta dietro di lei una creatura dalle ali gigantesche. Ha i capelli pieni di serpi, le orecchie di animale e lo sguardo che lampeggia rosso sull’orribile naso a becco d’avvoltoio. È Charun, il traghettatore delle anime nel loro ultimo oscuro viaggio nell’Ade, che brandisce il pesante martello con il quale spegneva la vita dei mortali. Ma questa volta il Demone Etrusco ha perduto, perché la fanciulla dei Velcha ancora oggi, nonostante i millenni, continua ad incantare e a sedurre, sospesa tra la vita che non vuole andarsene e la morte che ancora non vince. VIRGILIO Publius Maro Publius Virgilius Maro nacque a Pietole [allora: Andes, vicino Mantova] nel 70-, suo padre era un agiato proprietario terriero, fece i primi studi a Mantova e Cremona, poi a 15 anni a Milano e infine a Roma. Seguì i corsi del retore Epidius ma li abbandonò: era goffo e timido, parlava con lentezza e non sapeva affrontare il pubblico. Andò a Napoli, alla scuola del filosofo epicureo Syro: si interessò di astronomia botanica zoologia medicina matematica. Scrisse i primi versi, nel gusto del conterraneo Catullus. Compose a 28 anni le Bucoliche. In questo periodo, durante la distribuzione di terre italiche ai veterani di Filippi, perse temporaneamente i poderi (ne parla dolorosamente nei canti pastorali), poi restituitigli per interessamento di Asinius Pollio che governava la Cisalpina, e di Alfenus Varo. Abitò però sempre tra Napoli e Roma: qui aveva una casa presso i giardini di Maecenas, sull’Esquilino. Nel 39\37 entrò nel circolo di Maecenate. Sempre discreto e timoroso, quando di rado veniva a Roma a trovare i suoi amici poeti Cornelius Gallus, Horatius, Varius, Tucca ecc., tutti del circolo di Maecenas, era già additato dalla gente, famoso per le “Bucoliche” spesso cantate in teatro da attori di professione. In Campania nel 37\30 compose le “Georgiche”, poi si dedicò tutto all’Eneide. Diversamente da quanto, secondo la tradizione, era solito fare (cioè alzarsi presto la mattina, buttar giù molti versi, e poi sillabarseli interiormente durante il giorno) fece prima una stesura in prosa, divise la trama in dodici libri, poi si mise a comporli uno per uno seguendo il suo estro e non la successione dei fatti. Nel 24 ne lesse tre canti alla corte davanti all’imperatore Augusto e a sua moglie Ottavia. Dopo 11 anni di lavoro, a opera compiuta, non era ancora soddisfatto: molti versi provvisori, discordanze tra un libro e l’altro, voleva visitare i luoghi teatro d’azione della prima parte. A 56 anni partì per Atene: qui, dopo una giornata a Megara sotto il sole infuocato, si ammalò. Incontrò ad Atene l’imperatore proveniente dall’oriente, si imbarcò con lui per mare, sbarcò a Brindisi. Si dice che sul letto di morte volesse avere il manoscritto per distruggerlo, ma non fu accontentato. Spirò qualche giorno dopo, nel settembre 19. La sua salma fu trasportata a Napoli e sepolta sulla strada di Pozzuoli. VULCA Nell’ambito del rinnovamento dei santuari veienti nel tardo VI sec. va senz’altro collegato il nome dell’unico artista etrusco tramandatoci dalle fonti, Vulca di Vulci, al quale la tradizione romana assegna origini veienti e la creazione della statua acroteriale del tempio di Giove Capitolino a Roma, all’epoca di Tarquinio il Superbo. La coincidenza tra questi dati delle fonti e l’emergere a Veio, nell’ultimo decennio del VI sec. a.C., di una scuola di maestri coroplasti (cioè scultori in terracotta) autori di grandi statue acroteriali (cioè destinate ad ornare i vertici dei frontoni dei templi) per il Santuario di Portonaccio (ma un’antefissa è nota anche dal Santuario di Porta Caere) è tale da autorizzarci a ritenere autentica la tradizione romana, e ad attribuire a Vulca e alla sua scuola la paternità del celebre Apollo di Veio e delle altre sculture decoranti il tetto del tempio di Portonaccio.

 

MECENATE Caio Cilno Caio Cilno Mecenate, nato ad Arezzo nel 69 a.C. e discendente da una schiatta regale etrusca, divenne il personaggio più famoso della corte augustea. La famiglia dei Cilni risaliva al IV secolo a.C. Militare, nella prima parte della sua vita, e politi­co, Mecenate fu testimone della trasformazione definitiva di Roma e del passaggio dalla Repubblica all’ Impero. Eletto “vicario” da Ottaviano per la grande fiducia che era riuscito ad ispirare, seppe accontentarsi del titolo di “eques”, proprio degli appartenenti all’ordine equestre, classe sociale definita da Orazio “la più eletta del popolo per squisitezza di gusto” (Sat. 1,10,76). Ritiratosi dalla vita politica, visse delle ricchezze familiari che gli provenivano da certe fabbriche di vasi che fiorirono in Arezzo dal 30 a.C. in poi. Nella vita privata si dedicò solo ai piaceri dello spirito scrivendo, conversando e “banchettando” alla maniera etrusca. Seppe, con oculatezza rara, scegliersi gli amici. Nel suo ruolo di “scopritore di talenti” Mecenate si era creato una cerchia di amici di notevole sensibilità: Virgilio, Properzio, Gallo, Orazio, Marziale. Con intuito e riservatezza tipicamente etruschi, tra questi ne preferì due che hanno dato fama al suo nome: Virgilio e Orazio. Virgilio, privato dei campi in riva al Mincio dalle riforme di Augusto e con la speranza che gli sarebbero restituiti, il Poeta arrivò a Roma. Asinio Pollione, governatore delle terre sul Mincio, lo presentò a Mecenate. Virgilio già autore delle Bucoliche dove si esaltava la vita pastorale, piacque all’”etrusco” che intercedette presso Augusto. Ma il centurione Arrio, divenuto nel frattempo proprietario di quei campi, minacciò di “accoppare” il Poeta. Mecenate allora, come risarcimento dell’esproprio subito, assicurò a Virgilio un podere in Campania. Nel “fundus” napoletano, solitario e lontano dal viavai cittadino, il Poeta poté astrarsi, meditare e riscoprire la stessa pace dei campi mantovani. E nacquero le Georgiche che trattano della bellezza dei campi. Le umili origini di Orazio sono note a tutti. Figlio di un liberto e nato in un piccolo centro sulla via Appia, Venusia o Venosa, vicino a Potenza, in Basilicata. Per i sacrifici del padre, Orazio ebbe un’educazione letteraria degna di un nobile. La povertà e la cattiva sorte lo perseguitarono a tal punto che dovette accontentarsi di un mo­desto ufficio di scrivano quando Virgilio lo presentò a Mecenate. Il lungimirante etrusco trovò essenziale, al vivere, il buon senso e 1’avversione ad ogni gesto irrazionale del Poeta. In seguito si stabilì tra i due uomini una stretta amicizia che proseguì fino alla morte avvenuta per entrambi nello stesso anno: l’ 8 d.C.. Mecenate aveva donato al fedele amico una villa in Sabina. Qui Orazio si ritirava nei suoi ozi meditativi spesso raggiunto dallo stesso Mecenate. Le Satire e le Odi, tra le opere di Orazio, sono le più significative per il nostro argomento. Il ricco e raffinato etrusco non disdegnava sedere alla parca mensa dell’amico a mangiare olive e bere il vino modesto che la terra sabina - corrispondente, oggi, in parte alla provincia di Rieti e in parte al territorio di Roma - offriva. Nel descrivere la villa di Mecenate, Orazio ammirava le ghirlande composte di fronde verdi, miste a frutta e fiori, che pendevano dalle pareti dei triclinii. OCRESIA Ocresia era un’ancella che Tanaquilla aveva scelto tra molte fanciulle tarquiniesi per portarla con sè a Roma. Oppure, come dicono alcuni, una semplice serva; o, come affermano altri, una schiava condotta come bottino di guerra nella reggia romana, dopo la morte in battaglia di suo marito, il re di Cornicolum, dal quale aspettava un figlio. Comunque siano andate le cose, Ocresia entrò presto nel potente cerchio magico e divinatorio della regina Tanaquilla e diventò così un personaggio chiave nella tormentata storia della monarchia etrusca nell’Urbe, perché fu madre del sesto re di Roma. Sulla nascita e la giovinezza di questo re si raccontano fatti straordinari: “Un giorno - apprendiamo da Plinio - apparve tra le fiamme di un focolare della reggia di Tarquinio Prisco un membro virile e Ocresia che lì sedeva ne fu resa incinta. Il figlio che nacque da questo concepimento magico si chiamò Servio Tullio”. L’insolito evento era stato quasi dimenticato col passare del tempo, “quando - è Livio che ora racconta - avvenne un altro fatto mirabile. Tutti videro lunghissime fiamme ardere intorno alla testa di Tullio giovinetto”. Tanaquilla chiamò il re e, avendo accanto Ocresia, profetò: “Il figlio di questa donna e del nume che per lui si manifesta con il fuoco, sarà nei momenti oscuri il salvatore degli etruschi in Roma. E come ora splendono queste fiamme che gli avvolgono il capo, così da lui verrà molta luce alla casa dei Tarquinii”. Il giovane, protetto dai vaticini, fu allevato con tale regalità che Tarquinio Prisco, non conoscendo un romano che reggesse il suo confronto, quando giunse l’ora gli dette in sposa sua figlia. I ritrovamenti archeologici più recenti contrastano nettamente con queste leggende e dimostrano in modo inequivocabile che in realtà Servio Tullio era Mastarna, l’eroe di Vulci che si recò a Roma non per difendere i Tarquinii che riteneva arroganti e tirannici, ma per combatterli a favore del popolo e riorganizzare gli ordinamenti pubblici. A lui si deve, infatti, la Costituzione Serviana che eliminava i privilegi della nobiltà del sangue e assegnava per la prima volta i diritti politici e la possibilità di entrare nelle milizie a tutti i cittadini, anche romani. Ma per le leggende, dure a morire, il suo destino regale nacque, si snodò e si compì nella reggia dei Tarquinii, manovrato dalla ferrea volontà di Tanaquilla. Infatti quando Tarquinio Prisco venne ucciso in una congiura di palazzo sulla quale tutto è lecito ipotizzare, fu lei a tenere nascosto per molto tempo il cadavere del marito e a regnare in sua vece nel chiuso della reggia. Solo quando tutte le fazioni si furono piegate ai suoi disegni e tutte le opposizioni furono sedate nel sangue, Tanaquilla apparve solennemente al popolo per comunicare che il vecchio re era appena morto. Poi annunciò con voce ferma e autorevole che il nuovo re di Roma era Servio Tullio, figlio di Ocresia e del Fuoco, considerato dagli stessi Dei un Tarquinio perché nato prodigiosamente nella loro reggia.

 

 

 

Capitolo 2

 

Incredibile, ma vero, il mio primo viaggio a SARTEANO era stata una vera e propria sorpresa che mi aveva fatto dimenticare in parte il vero motivo per il quale c'ero andato. Dopo alcuni giorni ricevetti una telefonata, era la Citta, che mi dava appuntamento per la sera. La sera stessa, appena salita sulla mia auto, mi indicò una strada da percorrere, e mentre stavo seguendo le sue indicazioni mi disse: “Vedi dobbiamo cercare di non farci vedere insieme, e tu non mi cercare , ma lascia che sia io a farlo , perché so quando è il momento, d'altra parte il rischi è tutto mio". Arrivammo in una località la quale mi disse lei, aveva il nome di “Solaia”, come vedi continuò a dirmi lei noi andremo sempre nei dintorni di Sarteano, ma mai in paese, perché da parte mia è molto pericoloso. La luna era tutta bianca, il profumo che si sentiva in quel posto copriva quello della Città, la notte prometteva bene. Lei mi fece fermare la macchina, per proseguire a piedi. Ci fermammo vicino ad una bella pianta, la quale doveva avere circa seicento anni di vita,   l’erba sottostante era soffice, e le altre piante filtrate dal riflesso della luna facevano effetti d'ombre e di luci, e tutto intorno, più in la i paesi e le case con le loro luci artificiali, facevano da contorno. Scelsi un punto dove la terra e l’erba era profumata e soffice, e incominciai a spogliarmi, mentre lei silenziosa, in piedi davanti a me, mi stava guardando. Dopo  essermi spogliato sdraiandomi su quell'erba soffice ho portato le mie mani dietro la nuca, ed ho assunto una posizione d'attesa. A quel punto la Citta si è avvicinata a me, ed incominciò a fare un altro dei suoi spogliarelli che le piacevano tanto. Il freddo della notte era come sparito, e la mia pelle nuda era piena di calore. Finì per trovarsi nuda su di me, e mi piacevano sempre di più il suo corpo; le sue cosce; la sua bocca ,ad un certo punto lei si fermò, con un filo di voce, sottile e quasi rauca mi disse: “Fermo citto, fai silenzio vedo qualcuno la infondo, sembra un’ombra che si che s'avvicina verso di noi”. Mi alzai lentamente e guardando dove la Citta m'indicava, vedi anch’io quella figura scura nella notte che con passo sicuro s'avvicinava. Noi come due ragazzini nudi, ed impauriti , mano nella mano aspettammo che arrivasse senza batter ciglio. L’ombra, arrivata a pochi metri da noi si fermò , io la riconobbi , era lei :la regina , "Ciao" le dissi , "Ciao" mi rispose "Ti stavo aspettando". La Citta che aveva seguito il nostro saluto , stupita mi fulminò con uno sguardo feroce e mi disse : "M'avresti potuta anche avvisare che questa sarebbe stata una serata speciale". Io m'aspettavo una scenata da parte sua , invece lei rimase  incredula vicino a me seduta in silenzio. Ero io invece a non essere più tanto tranquillo. Perché la presenza di quella donna in quel posto, forse mi seguiva ? E perché la Citta si comportava in quel modo così strano? Stupito di tutto ciò quando la Citta e la Regina ad un certo punto s'abbracciarono e si baciarono come due vecchie amiche; come d’incanto tornò il sereno sui nostri volti. Fra una parola e l’altra (dette sottovoce, per non svegliare la notte), anche la Donna si spogliò dei suoi pochi indumenti. Mentre la brezza della notte cominciava punzecchiare le nostre pelli, io raccontavo alla Citta del mio viaggio a Sarteano, e del racconto che m'aveva fatto la Donna. La donna ci disse: "Guardate Citti che io sono qui perché anche in questa Solaia ho raccolto tante notizie che m'interessavano". Prese poi dalla sua borsa che aveva appoggiato sull’erba, un fascio di fogli scritti, e ce li mostrò. Poi cominciò a leggerli per noi. Noi ascoltandola come due scolari avevamo dimenticato il nostro erotismo , i nostri occhi erano fissi sulle sue labbra , e lei leggeva .... leggeva.................

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “2”

 

TOPOGRAFICA DELLA ZONA (SOLAIA)

 

Località SOLAIA

 

La Solaia, molto vasta con una superficie di circa 30 Km quadrati, si trova ad un'altezza di 782 metri sul livello del mare, ed è in sostanza la zona più grande, di quelle archeologicamente interessanti.

Qui le Tombe sono di varie tipologie: a gruppi di tre, a schiere a zigzag, a schiere lineari, anche di trenta tombe tutte in fila. In genere non si somi­gliano l'una con l'altra, le tipologie sono simili, ma c'era  una certa attitudine alla personalizzazione, sia per quanto riguarda gli ingressi, sia per la forma dei Dromos, e a volte persino i Nicchiai sono di tipologia molto diversa l'un ­l'altro, e la grandezza delle camere all'interno, varia di grandezza e forma quasi sempre.

Pensate che una di queste tombe si presenta con un Dromos lungo 75 metri, ed è profonda (nel punto più vicino al Frontale), più di sei metri.

Naturalmente gli artefici di questo scavo hanno pensato di non svuotare per tutta la sua lunghezza il Dromos dal suo Riempiticcio ma per risparmiare tem­po e fatica, hanno fatto uno scavo perpendicolare, dritto verso il basso, seguendo il frontale, tutto questo per arrivare velocemente alla chiusura d'in­gresso della camera centrale.

Forse non avevano pensato che lungo tutto il tragitto del Dromos, ai lati po­tevano esserci altre tombe e nicchie, a volte più ricche delle camere centrali stesse, in quanto in alcune tipologie di seppellimento, la camera centrale ospi­tava il defunto, con o senza sarcofago, ma le offerte venivano disposte nelle nicchie laterali.

Le nicchie laterali sono importanti anche perché il capofamiglia in genere veniva seppellito per primo, nella Camera centrale, lasciando però la sua ere­dità materiale ai figli, i quali alla loro morte avevano come ornamento non solo gli oggetti propri e le offerte, ma anche una serie di cose ricevute in ere­dità dal capofamiglia.

Poi ci sono le Tombe povere, così dette perché molto piccole, con un Dromos di 50 centimetri, sono molto in superficie e scavate in un materiale più leggero e friabile, nel loro interno non sono stati ritrovati oggetti di rilevante importanza, ma solamente un vasetto al centro della Camera, e poche altre cose.

Queste Tombe‑povere non sono nemmeno orientate come le altre, alcune sono rivolte ad ovest, altre a nord in maniera molto differente dalle altre tipo­logie d'orientamento locali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IMMAGINE DI UNA TOMBA ETRUSCA APERTA IN LOCALITA’ SOLAIA

 

 


STRUMENTO DI NOSTRA REALIZZAZIONE

 

E durante questi studi, che il nostro lavoro ci ha consentito di porta­re a termine fra le altre cose uno strumento inedito, da noi inventato, che ser­ve a stabilire la classe sociale a cui apparteneva il defunto della tomba indivi­duata, in base alla precisa misurazione del punto cardinale indicato dalla dire­zione dei Dromos della stessa.

Vogliamo sperare che questo strumento possa essere d'aiuto agli studiosi di questo settore, noi siamo pronti a dar loro qualche consiglio sul come adope­rarlo, del resto anche abbastanza preciso.

Al centro della Solaia si trovano resti di mura, ad una certa profondità. I racconti parlano di una antica costruzione chiamata “Il Chiesone”, questi resti di fondamen­ta, e residui bassi di pareti laterali, sarebbero appartenuti a questa remota co­struzione ormai non più visibile.

Siamo riusciti a sapere ben poco riguardo a questo Chiesone, poiché la gente non ne parla volentieri, anzi, al sentirlo nominare cambia volutamente argomento.

Comunque, si vedono benissimo i resti che delimitavano un perimetro ret­tangolare e lasciano supporre che in quel punto ci fosse stato un tempo un edificio corrispondente alle descrizioni dei pochi che ci hanno raccontato le storie di questo luogo.

Si racconta inoltre che a profanare la maggior parte delle tombe nella zona della Solaia, siano stati gli uomini alle dipendenze del Marchese Bargagli, operai e braccianti ed abili lavoratori del terreno locale, mandati da lui nei "tempi morti" a scavare in queste zone. Il risultato degli scavi venne poi donato a vari musei della Toscana e del Lazio dallo stesso Bargagli, pro­babilmente ora sono in mostra in qualche museo famoso.

 


LA SCALINATA RUPESTRE IL LOCALITA’ SOLAIA, DA NOI RICOSTRUITA SU CARTA

 

 

 



Questo ingresso o tunnel quadrato è stato scoperto da una frana che fece distaccare parte della parete verticale , subito a destra del secondo terrazzone  a  pochi metri  dalla scalinata centrale.”

 

Gli uomini venivano la mattina presto, nel periodo in cui non avevano man­sioni stagionali da svolgere nei campi e a gruppi di cinque o sei alla volta ini­ziavano a scavare le tombe, armati di pale e picconi.

Non era poi tanto difficile a quei tempi individuare i Dromos, perché al­l'inizio di ognuno c'era un cippo.

Oggi di questi cippi non c'è più traccia, sono stati tolti tutti dalla loro posi­zione originale, e quindi l'individuazione dei Dromos non è più semplice come una volta. A meno di non usare lo spillone, o altri metodi di ricerca, non sarebbe più possibile trovare il punto preciso della locazione dei Dromos.

La parte a nord est che delimita la stessa fine della Solaia, è un precipizio molto profondo, che s'estende per qualche chilometro da sud verso nord-ovest, passando anche per la Faggeta, luogo di passeggiate, molto bello e sug­gestivo. Sull' origine di questo precipizio ci sono delle storie che parlano di una parte di piano, sul ciglio del precipizio, poi scomparso perché un giorno si è distaccato ed è precipitato a valle.

Abbiamo controllato questa profonda scarpata, in alcuni suoi punti scende fin sotto il profondo muro di pietra.

Abbiamo visto i resti di una scala in pietra ancora abbastanza visibile, que­sta sale verso la parete perpendicolare partendo dal vuoto, ciò significa che una parte di questa scalinata scolpita nella pietra, è mancante, e ciò convalida l'ipotesi che sia precipitata con una enorme valanga o sfaldatura, a valle.

Vicino al punto dove c'è la scalinata si vedono dei resti di mura ed anche dei pezzi di muratura a mattoni neri e rossi, si notano ancora le pareti (solo i resti) che facevano parte di costruzioni in pietre e mattoni, murati con cemen­to particolare.

Sulla destra della scalinata c'è un terrazzo in pietra, ai piedi di una caverna, di forma  rettangolare, scavato nella parete dura, sulla sinistra l'altro terrazzo, meno visibile del primo, in quanto ne mancano molte parti.

Tutto fa supporre che questa imponente struttura rupestre, (come ricostruita nel nostro disegno), faccia parte della parte esterna di un Tempio sotterraneo, o comunque qualcosa di grande importanza, l’accesso del quale deve essere stato un tempo sicuramente alla fine della scalinata, che finisce a parete, con l’ultimo scalino scolpito a ridosso della parete verticale rocciosa.

Stando in piedi diritti verso la parete, sull’ultimo scalino, dovremmo avere di fronte a noi (ben chiuso e non visibile) l’ingesso della struttura sotterranea, che sia un Tempio o no, ne dovremmo discutere parecchio.

Si vede molto bene che in questo punto manca una parte di roccia, sicu­ramente questo piano una volta si estendeva verso est per una ventina di metri più in avanti dell'attuale precipizio.

Il precipizio in questo punto è di una profondità di 25/30 metri, guardare in giù fa una certa impressione. Analizzando la zona siamo riusciti a trovare un viottolo (sicuramente una volta strada praticabile), che porta sotto il pre­cipizio.

Portandoci in direzione della scalinata, si vedono enormi massi caduti dal­l'alto e da questo punto si riesce a capire bene anche la loro posizione origi­nale.

 


VISTA DI UN “NICCHIAIO” IN LOCALITA’ SOLAIA

 

Sono delle montagne di pietra divise in più parti e non molto distanti l'una dall'altra, girando attorno ad uno di questi massi, abbiamo scoperto che uno di loro, ad una certa altezza presenta uno scavo nella pietra a forma di nicchia.

Dopo aver analizzato bene la forma e la profondità di tale nicchia scavata nella pietra, si deduce inequivocabilmente che questo masso gigante faceva parte della parete superiore del precipizio, e la nicchia apparteneva ad una delle tombe che abbiamo analizzato nella parte superiore.

Unendo i fatti quindi possiamo dire che le storie raccontate dagli anziani sono molto credibili, e in ogni modo molte delle cose che hanno raccontato coin­cidono con le nostre analisi.

Siamo andati quindi a controllare il punto dove sarebbe esistito, sempre se­condo le voci e le testimonianze raccolte, il famoso Chiesone.

Questa costruzione, sarebbe stata una chiesa enorme con una storia molto particolare. Nell'anno 1911/12 circa, nei pressi di questa chiesa veniva festeg­giata, La Madonna della candelora, la quale festa, tutt'oggi ricorre nel paese di Sarteano in un determinato periodo dell'anno.

La storia dice poi che i partecipanti alla festa s'ubriacarono e incominciaro­no a ballare nudi, al suono della fisarmonica, tutt'intorno e dentro il Chiesone. Si racconta che a mezzanotte Dio volle punirli per aver osato tanto. I parteci­panti che erano andati in gruppo a smaltire la sbornia, si trovarono proprio sul precipizio rivolto ad est, nella zona della scalinata dove esisteva un piccolo insediamento chiamato Solara (da qui il nome SOLAIA). In quel momento, si racconta che per punizione ci fu una specie di terremoto e la parte della Sola­ia che conteneva tutto l'insediamento si staccò precipitando a valle, portando con sé tutta la gente e tutto il resto.

Quindi, (secondo la leggenda), una grossa fetta di terreno precipitò a valle ruotando su se stessa, capovolgendosi, per poi finire al suolo schiacciando tutto quello che si trovava sulla parte superiore.

Si narra poi che durante la notte della candelora, venendo qui a mezzanotte si possa udire, stando in silenzio e concentrandosi, il suono della Fisarmonica, le grida di quella gente, ed i loro canti di tanti anni fa.

 

Per quanto riguarda la parte in basso, sotto il precipizio c'è da notare un'al­tra cosa. Tanti anni fa (nessuno conosce la data precisa) ai piedi di questa pa­rete altissima, all'incirca sotto l'insediamento SOLARA, in direzione della scalinata, è stato trovato attaccato alla parete, al livello del terreno, un cancel­lo alto due metri, e largo tre, tutto di bronzo lavorato da mano etrusca.


SOLAI, IMMAGINE DI UNA ANTICA CAVA DI TRAVERTINO

Un ex abitante del posto ci ha raccontato che persone distinte e ben vestite, fecero portare via questo cancello, lui dice di aver visto dove si trovava il can­cello, prima che fosse portato via, ma adesso che la parete è tutta uguale sa­rebbe impossibile individuarne il punto preciso.

Quello che non si riesce a capire è, perché non ci fosse nulla dietro al can­cello, nemmeno un ingresso o un'entrata, solo pietra dura, e piatta, o almeno così sembra, ma solitamente non si mette un cancello dove non c'è ingresso, quindi, sapendo la posizione esatta, si potrebbe scoprire qualcosa. Ma lascia­mo pure alcuni dubbi su questo fatto, perché altrimenti si rischia di pensare troppo ad una cosa tralasciandone altre, magari più importanti.

Un vecchio signore che 40 anni fa abitava in un casolare dalle parti di So­laia, ci ha raccontato che una notte, durante un sogno, l'immagine di un etru­sco gli apparve dicendo il punto preciso dov'era nascosta la propria tomba.

La descrizione datagli nel sogno così diceva: "Tu vai in questo posto,

 


SOALIA, UNA DELLE MIGLIAIA DI TOMBE DEPREDATE IN ANTICO

 

e troverai, (ma solo se ci andrai da solo), un Dromos, dapprima simile agli altri, ma poi la tomba si dividerà in due camere, tu dovrai aprire quella di sinistra e troverai un tesoro immenso".

Questo signore la stessa notte, andò sul posto, e siccome era un po' pauroso e superstizioso, portò con sé un amico.

Tutto era come nel sogno, trovarono il Dromos di normale fattura, poi do­vettero scegliere, arrivati ai tappi, la camera di sinistra, come aveva detto l'etrusco del sogno. La delusione fu grossa quando, tolto il tappo di pietra che serrava l'ingresso della camera, non trovarono un tesoro, ma solo un muc­chietto di cenere al centro del pavimento e nient'altro.

Ricoprirono tutto per bene e, delusi tornarono ciascuno alla propria abita­zione.

 


IMMAGINE DI TOMBA ETRUSCA – ULTIMI SCAVI

 

L'uomo anziano sognò di nuovo quella notte, e ancora l'etrusco gli parlò dicendogli: "Ti avevo detto d'andare da solo, ma non mi hai voluto ascoltare e quindi non meriti niente".

Poi gli disse di riprovare, ma questa volta da solo, scegliendo la camera dì destra. L'uomo non tornò subito sul posto, e fece passare un po' di tempo, ma quando decise di tornarvi, l'erba era cresciuta e non riuscì a trovare il punto preciso dello scavo.

Raccontando oggi quest'avvenimento, amareggiato dice: "Avevo quasi trovato un tesoro, mi è sfuggito per paura e per superstizione."

Queste storie sono state raccontate per tanti anni, dai vecchi durante le ve­glie, magari davanti ad un focolare acceso mangiando caldarroste, o dopo aver trebbiato nell'aia durante la gran cena finale, o magari durante la scar­tocciatura del granoturco, tra una barzelletta e l'altra.

Storie di tesori, gente che di notte rientrando a casa vedeva per la strada delle galline coi pulcini d'oro, ma non riusciva ad afferrarli, gente che ha avuto apparizioni di etruschi nel bosco della Solaia. e che li descrive in un modo realistico e dettagliato.

Uno dei racconti che ci ha colpito di più è quello di un uomo, che quando era ragazzino giocando nei prati, al di sotto della Solaia, tra il precipizio della Scalinata e Poggio Il Diavolo, per nascondersi dai suoi amici durante i giochi, s'intrufolò in una piccola apertura del terreno, all'interno constatò che era molto più grande di quanto avesse immaginato, dopo aver camminato per parecchi metri sotto terra, si trovò di fronte un lago sotterraneo molto grande, ai bordi del quale vi erano ingressi di caverne che andavano in differenti direzio­ni, formando delle diramazioni a stella.

Naturalmente questa persona adesso anche volendo non si ricorderebbe più il punto preciso di questo eccezionale ritrovamento, perché sono passati trop­pi anni. Noi siamo andati sul posto con lui, ma dopo 40 anni è difficilissimo rintracciare in una così vasta zona, un buco ormai ricoperto o otturato, di cir­ca 80 centimetridi diametro.

Noi siamo certi che in questa zona ci sia ancora tanto da scoprire, e molto più di quello che dice la gente del posto. Non ci arrenderemo certo, perché le nostre ricerche daranno sempre risultati affascinanti.

Vi siete mai chiesti per esempio come avessero fatti gli etruschi a scolpire e scavare i loro Dromos con un orientamento cardinale così preciso, senza ado­perare una bussola? Gli Etruschi non avevano una bussola, ma uno strumento precisissimo che noi, dopo averlo scoperto, e ricostruito, abbiamo chiamato POLARIUM. Dal disegno si capisce abbastanza bene com'era adoperato dagli Etruschi per orientare verso qualsiasi punto cardinale, senza sbagliare di un grado l'orientamento dei loro Dromos.

 

 


IL POLARUM “LA BUSSOLA ETRUSCA

 

Il Polarum o Polarium, non è altro che una vera e propria bussola dell'epo­ca etrusca. Era usato dagli architetti disegnatori e progettisti di strutture architettoniche e funebri.

L'utilizzo di quest'apparecchio era estremamente semplice, e permetteva di stabilire senza calcoli troppo complicati, i principali punti cardinali, poi di seguito anche i rispettivi punti intermedi.

Il Polarium veniva così utilizzato: costruito su di una pietra piatta, della grandezza di circa cm. 50x60 veniva appoggiato sul terreno in un punto piano con la parte più larga rivolta al mezzogiorno.

Su questa pietra veniva praticato un foro, dove poi si inseriva un'asse molto simile a quella di una meridiana.

All'alba, appena compariva sulla pietra l'ombra dell'asta centrale, veniva in­cisa una tacchetta in corrispondenza del segno dell'ombra, si aspettava poi il tramonto, per incidere una seconda tacchetta nel punto preciso in cui si trova­va l'ombra al momento della sua scomparsa.

A questo punto gli etruschi prendevano una cordicella sottile, poi la taglia­vano alla lunghezza che coincideva con la prima tacchetta della mattina, e la seconda della sera, ed il gioco era fatto, sarebbe bastato poi mettere, come si sol dire, doppia la cordicella, per poi andare a segnare con la terza tac­chetta il punto preciso del mezzogiorno.

Facile in seguito tracciare gli altri punti cardinali, eseguendo di seguito altri passi come il secondo ed il terzo, ad ogni altro doppio della cordicella si trova un mezzo punto, ed al prossimo doppio un quarto di punto.

Ecco quindi svelato il mistero: gli etruschi avevano la bussola, ma non si chiamava così.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CENNI STORICI:         IL CULTO DEI MORTI

 

Gran parte delle conoscenze che abbiamo sulla civiltà degli Etruschi proviene dalle tombe (iscrizioni, pitture, sculture, suppellettili, ecc.). Naturalmente tutto questo materiale ci fornisce molte informazioni su come veniva considerata la vita dopo la morte, e che sorta di culto veniva riservata ai defunti. Abbiamo quindi prove inequivocabili di quanto, secondo una credenza diffusa nel Mediterraneo, si ritenesse che la individualità del defunto sopravvivesse alle sue spoglie mortali, nel luogo stesso dove il corpo veniva sepolto o cremato. Ne consegue l’esigenza di agevolare questa sopravvivenza, da parte dei congiunti, arredando il sepolcro come una casa, contornando il defunto dei suoi gioielli, delle sue vesti, eventualmente delle sue armi, e fornendo cibi e bevande.

 

Vennero così a formarsi grandi insiemi di tombe disposte a file, divise da strade, che costituivano vere e proprie città dei morti (necropolies), come mostrano gli esempi di Caere (Cerveteri) e di Tarquinia. Le tombe più grandi spesso venivano fatte a imitazione delle case, rivelando il lusso e il gusto artistico dei nobili etruschi.

 

All’origine veniva effettuato quasi esclusivamente il rito della cremazione, ma in seguito solo poche città continuarono a praticarlo, passando al rito più orientaleggiante dell’inumazione. Nel casi della cremazione, le ceneri venivano conservate in urne a forma di abitazioni o entro vasi che tentavano di riprodurre le fattezze del morto, ma in un secondo periodo i corpi venivano adagiati su letti direttamente scavati nella roccia o dentro sarcofagi di terracotta o altro materiale.

 

 

L 'al di là:

La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende

verisimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche più evolute, il reame dei morti. Gran parte delle nostre conoscenze sulla civiltà degli antichi Etruschi proviene, come è noto, dalle tombe (la stragrande maggioranza delle iscrizioni è di carattere funerario; alle pitture, alle sculture, alle suppellettili sepolcrali siamo debitori dei dati fondamentali sullo sviluppo delle forme artistiche e sugli aspetti della vita). Ed è naturale che le tombe ci offrano, più o meno direttamente, indizi sulle credenze relative alla sorte futura degli uomini e sui costumi e sui riti collegati a queste credenze. Ciò nonostante siamo ancora ben lungi dall'avere una idea chiara dell'escatologia etrusca. Motivi complessi e contrastanti denunciano livelli diversi di mentalità religiosa ed influenze eterogenee. Ne risultano problemi tuttora in parte irresoluti, singolarmente affascinanti.

Il carattere stesso delle tombe e dei loro equipaggiamenti, soprattutto

nelle fasi più antiche, offre una testimonianza inequivocabile del

persistere di concezioni primitive universalmente diffuse nel mondo

mediterraneo, secondo le quali la individualità del defunto, comunque immaginata, sopravvive in qualche modo congiunta con le sue spoglie mortali, là dove esse furono deposte. Ne consegue l'esigenza, fondamentale per i superstiti, di garantire, difendere, prolungare concretamente questa sopravvivenza, non soltanto come tributo sentimentale di affettuosa pietà, ma come obbligo religioso non disgiunto, probabilmente, da timore.

A questo genere di concezioni appartiene in Etruria, come altrove (e segnatamente nell'antico Egitto), la tendenza ad immaginare il sepolcro nelle forme di una casa, a dotarlo di arredi e di oggetti d'uso, ad arricchirlo di figurazioni pregne, almeno originariamente, di significato magico (specialmente pitture tombali con s.cene di banchetto, di musica, di danze, di giuochi atletici, ecc.), a circondare il cadavere delle sue vesti, dei suoi gioielli e delle sue armi; a servirlo con cibi e bevande; ad accompagnarlo con figurine di familiari; e, infine, a riprodurre l'immagine somatica del morto stesso, per offrire un incorruttibile «appoggio» allo spirito minacciato dal disfacimento del corpo, onde in Etruria (come già in Egitto) sembra nascere il ritratto funerario. Ma quale sia l'effettiva e più profonda natura delle idee religio- se che traspariscono esteriormente in così fatte costumanze e come esse abbiano potuto sussistere ed evolversi accanto ad altre credenze è cosa ancora tutto sommato assai oscura.

All'origine della storia delle città etrusche vediamo infatti dominare

pressoché esclusivo un rito funebre, quale è quello della cremazione, che non può non riflettere concetti estranei a quelli del legame materiale tra spirito e corpo del defunto; che anzi, almeno nella piena età storica, esso sembra talvolta significare un'idea di «liberazione» dell'anima dai ceppi della materia verso una sfera celeste. Tanto più curioso è osservare come nelle tombe etrusche del periodo villanoviano e orientalizzante le ceneri e le ossa dei morti bruciati si contengano talvolta in urne in forma di abitazioni o entro vasi che tentano di riprodurre le fattezze del morto (i così detti "canopi" di Chiusi): ciò che rivela, già dai tempi più antichi del formarsi della nazione etrusca, una mescolanza di credenze e forse anche un riaffermarsi delle tradizioni funerarie mediterranee sul costume diffuso dai seguaci della cremazione. Ne si può affermare che l'idea della sopravvivenza nella tomba escluda assolutamente una fede nella trasmigrazione delle anime verso un regno dell"'al di là". Ma è certo che in Etruria quest'ultima concezione si venne affermando e concretando progressivamente sotto l'influsso della religione e della mitologia greca, con l'attenuarsi delle credenze primitive: e si configurò secondo la visione dell'averno omerico, popolato da divinità ctonie, spiriti di antichi eroi ed ombre di defunti. Già nei monumenti del Ve IV secolo, e poi soprattutto in quelli di età ellenistica, la sorte futura è rappresentata come un viaggio dell'anima verso il regno dei morti e come un soggiorno nel mondo sotterraneo. Soggiorno triste, senza speranza, a volte dominato dallo spavento che incute la presenza di mostruosi dèmoni, o addirittura dai tormenti che essi infliggono alle anime. È, in sostanza, la materializzazione dell'angoscia della morte in una escatologia essenzialmente primitivistica. E a simboleggiare la morte sono specialmente due figure infernali: la dea Vanth dalle grandi ali e con la torcia, che, simile alla greca Moira, rappresenta il fato implacabile; e il dèmone

Charun, figura semibestiale armata di un pesante martello, che può

considerarsi una paurosa deformazione del greco Caronte dal quale prende il nome. Sia di Vanth sia di Charun esistono moltiplicazioni, forse con una propria individualità ed un proprio secondo nome. Ma la demonologia infernale è ricca e pittoresca, e conosce altri personaggi, come l'orripilante Tuchulcha dal volto di avvoltoio, dalle orecchie d'asino e armato di serpenti; accoglie largamente la simbologia di animali ctonii, come il serpente e il cavallo.

Anche per questa fase più tardiva le fonti monumentali, nei loro aspetti frammentari ed esteriori, sono insufficienti a darci un'idea sicura e completa delle credenze contemporanee sull'oltretomba. Stando alle pitture e ai rilievi sepolcrali, parrebbe che il destino dei morti fosse inesorabilmente triste ed uguale per tutti: la legge crudele non risparmia neanche i personaggi più illustri, la cui affermazione di superiorità si limita ai costumi sfarzosi, agli attributi delle cariche rivestite e al seguito che li accompagna nel viaggio agli inferi. Esistono tuttavia nella tradizione letteraria, alcuni accenni più o meno espliciti a consolanti dottrine di salvazione, e cioè alla possibilità che le anime conseguano uno stato di beatitudine o addirittura q i deificazione, attraverso speciali riti che sarebbero stati descritti dagli Etruschi nei loro Libri Acherontici. Un prezioso documento originale di queste cerimonie di suffragio, con prescrizioni di offerte e di sacrifici a divinità specialmente infernali, sembra esserci conservato nel testo etrusco della tegola di Capua, che risale al V secolo a.C.. Non sappiamo fino a che punto allo sviluppo di queste nuove concezioni escatologiche abbia contribuito il diffondersi in Etruria di dottrine orfiche, pita- goriche e, più ancora,

dionisiache (il culto di Bacco è, in verità, largamente attestato anche in rapporto con il mondo funerario). Comunque le speranze di salvazione sembrano restare collegate al concetto delle operazioni magico-religiose, proprie di una spiritualità primitiva, piuttosto che dipendere da un superiore principio etico di retribuzione del bene compiuto in vita.

 

Forme del culto

 

Le testimonianze monumentali, i documenti scritti etruschi e i riferimenti delle fonti letterarie classiche offrono numerosi dati per la ricostruzione della vita religiosa e delle forme del culto. Si tratta di costumanze che, almeno per quel che riguarda gli aspetti sostanziali (luoghi sacri e templi, organizzazione del sacerdozio, sacrifici, preghiere, offerte di doni votivi, ecc.), non differiscono profondamente dalle analoghe manifestazioni del mondo greco, italico e, specialmente, romano. Ciò si spiega per un verso

considerando i comuni orientamenti spirituali della civiltà greco-italica a partire dall'età arcaica, per altro verso tenendo conto della fortissima influenza esercitata dalla religione etrusca su quella romana.

Uno studio delle antichità religiose etrusche non può quindi prescindere dal quadro, ben altrimenti particolareggiato e complesso, che in materia rituale ci presentano la Grecia e Roma: tanto più difficile è determinare i riflessi che le concezioni proprie della mentalità religiosa etrusca ebbero, con motivi peculiari, nella prassi del culto.

Sarà, in primo luogo, da attribuire agli Etruschi quella concreta e quasi materialistica adesione a norme sancite ab antiquo, quel preoccupato formalismo dei riti, quel frequente insistere sui sacrifici espiatorii, che si avvertono nell'ambito delle tradizioni religiose romane come un elemento in certo senso estraneo alla semplice religiosità agreste dei prisci Latini e indizio della presenza di un fattore collaterale che non può non riportarsi ad una antica e matura civiltà cerimoniale, quale è appunto l'etrusca. Questa ars colendi religiones (secondo l'espressione di Livio nel passo sopra citato) risponde in pieno al senso di subordinazione dell'uomo alla divinità, che sappiamo predominante nella religiosità etrusca e presuppone la fede nella efficacia magica del rito, proprio delle mentalità più primitive. La concretezza degli atti cultuali si manifesta nella precisa

determinazione dei luoghi, dei tempi, delle persone e delle modalità, entro i quali e attraverso i quali si compie l'azione stessa volta ad invocare o a placare la divinità: quell'azione che i Romani chiamavano nel loro complesso res divina e gli Etruschi probabilmente ais(u)na (cioè, appunto, servizio

"divino", da ais "dio"): donde, anche, la parola umbra esono "sacrificio".

Essa si svolge nei luoghi consacrati (tempia) dei quali si è fatta già

menzione: recinti con altari ed edifici sacri contenenti immagini delle

divinità. Sovente questi edifici sono orientati verso sud e sud-est.

Il concetto di consacrazione al culto di un determinato luogo o edificio è forse espresso in etrusco dalla parola sacni (donde il verbo sacnisa):

questa condizione può estendersi, come in Grecia e nel mondo italico e romano, ad un complesso di recinti e templi, per esempio sulle acropoli delle città (Marzabotto); carattere in certo senso analogo hanno anche le tombe, presso le quali o entro le quali si compiono sacrifici funerari o si depongono offerte.

Speciale importanza deve avere avuto in Etruria la regolamentazione

cronologica delle feste e delle cerimonie, che, insieme con le modalità delle azioni sacre, costituiva la materia dei Libri Rituales ricordati dalla tradizione. Il massimo testo rituale etrusco, tramandatoci nella linguaoriginale -e cioè il manoscritto su tela parzialmente conservato nelle fasce della mummia di Zagabria - contiene un vero e proprio calendario liturgico, Con l'indicazione dei mesi e dei giorni ai quali si riportano le cerimonie descritte. È probabile che altri documenti fossero redatti nella forma attestata dai calendari sacri latini: e cioè come una elencazione consecutiva di giorni contrassegnati dal solo titolo delle feste o dal nome della divinità celebrata.

Il calendario etrusco era forse analogo al calendario romano precesareo: conosciamo il nome di alcuni mesi e sembra che le "idi", circa a metà del mese, abbiano un nome di origine etrusca; ma il computo dei giorni del mese segue generalmente, a differenza del calendario romano, una numerazione consecutiva. Ogni santuario ed ogni città doveva avere, come è logico, le sue feste particolari: tale è appunto il caso del sacni cilfh (santuario di una città non altrimenti identificabile), al quale fa riferimento il rituale di Zagabria. Le celebrazioni annuali del santuario di Voltumna presso Volsinii avevano invece carattere nazionale, come sappiamo dalla tradizione.

Tra le cerimonie e gli usi sacri può ricordarsi quello della infissione dei chiodi per segnare gli anni (clavi annales) nel tempio della dea Nortia a Volsinii, ricordato a proposito dell'analogo rito del tempio di Giove Capitolino a Roma. Anche per intendere la natura e l'organizzazione dei sacerdozi siamo costretti ad avvalerci del confronto con il mondo italico e romano.

Abbiamo in ogni caso indizi per ritenere che essi fossero varii e

specializzati, strettamente collegati con le pubbliche magistrature e

sovente riuniti in collegi. Il titolo sacerdotale cepen (con le variante

cipen attestata in Campania), particolarmente frequente nei testi etruschi, è ad esempio seguito spesso da un attributo che ne determina la sfera d'azione o le specifiche funzioni: come nel caso di cepen fhaurx, che senza dubbio indica un sacerdote funerario (da fhaura «tomba»). La dignità sacerdotale in genere o specifici sacerdozi sono designati anche con altre parole: quali eisnevc (in rapporto con aisna, l'azione sacrificale), celu, forse santi, ecc. Si hanno inoltre i sacerdoti divinatori: e cioè gli aruspici (netsvis), rappresentati nei monumenti con un costume caratteristico composto di un berretto a terminazione cilindrica e di un manto frangiato, e gl'interpreti dei fulmini (trutnvt?). Il titolo marun-, è, come già sappiamo, in rapporto con funzioni sacrali, per esempio nel

culto di Bacco (marunux paxanati, maru paxafhuras): si osservi il doppio titolo cepen marunuxva, che indica probabilmente un sacerdozio con le funzioni proprie dei maru. Si può ricordare anche il titolo zilx cexaneri, nel quale si è voluto intendere qualcosa come "curator sacris faciundis", (ma è congettura molto opinabile). Probabilmente a confraternite si riferiscono termini collettivi quali paxafhuras,  formalmente analoghi a quelli che esprimono aggregati gentilizi (per es. Velfhinafhuras nel senso dei membri della famiglia Velfhina) o altri collegi.

A Tarquinia esisteva in età romana un arda LX haruspicum veri similmente di antica origine. Uno degli attributi dei sacerdoti era illituo, bastone dall'estremità ricurva, che è però frequentemente rappresentato nei monumenti anche in rapporto ad attività profane, per esempio in mano ai giudici delle gare atletiche. L 'azione del culto è volta ad interrogare la volontà degli dèi, secondo le norme dell'arte divinatoria; e quindi ad invocare il loro aiuto e perdono attraverso l'offerta. È probabile che l'una e l'altra operazione fossero strettamente collegate tra loro; benche sia ricordata dalle fonti letterarie una distinzione tra vittime sacrificate per la consultazione delle viscere (hastiae cansultatariae) e vittime destinate all'offerta vera e propria, in sostituzione dei sacrifici umani (hastiae animales). Del pari intrecciate in complicati cerimoniali sembrano le offerte incruente (di liquidi e cibi) con quelle cruente di animali.

Il grande rituale di Zagabria e il rituale funerario della Tegola di Capua descrivevano minuziosamente, in tono prescrittivo e con un linguaggio tecnico specializzato, queste liturgie; ma lo stato delle nostre cognizioni della lingua etrusca non ci consente di stabilire con esattezza il significato di molti 'termini impiegati nella descrizione dei riti e, pertanto, di ricostruirne in pieno lo svolgimento. La preghiera, la musica, la danza dovevano avere larga parte nelle cerimonie. Una scena di culto con offerte è rappresentata nella parete di fondo della Tomba del Letto Funebre di Tarquinia.

I doni votivi offerti nei santuari, per grazie chieste o ricevute,

consistono per lo più di statue di bronzo, pietra, terracotta, raffiguranti le divinità stesse e gli offerenti, o anche animali, in sostituzione delle vittime, e parti del corpo umano; inoltre vasi, armi, ecc. Questi oggetti che erano ammassati in depositi o favisse, recano spesso iscrizioni dedicatorie. Essi variano per valore artistico e per pregio (la massima parte è costituita da modeste figuri ne di terracotta lavorate a stampo): ciò che indica, intorno ai grandi centri del culto, una diffusa e profonda religiosità popolare.

 

 

Il culto degli dei:

 

Dopo che i sacerdoti avevano ottenuto attraverso la divinazione la

conoscenza del volere divino, si dava attuazione a tutto ciò che ne derivava dal punto di vista del comportamento, sulla base delle norme che facevano anch'esse parte della ''disciplina etrusca" ed erano oggetto di trattazione nei Libri Rituales. Queste norme si traducevano (e si esaurivano) in una serie impressionante di pratiche, cerimonie e riti rigidamente codificati e ripetuti meccanicamente fino a diventare puro e semplice formalismo.

Essi toccavano sia gli aspetti religiosi della vita degli etruschi sia quelli civili, secondo il principio che ''ogni azione umana doveva essere compiuta in conformità della disciplina". E per ogni rito, cerimonia di culto o servizio divino doveva essere stabilito con precisione il luogo, il tempo, il modo, lo scopo, la persona preposta e, naturalmente, la divinità che veniva chiamata in causa. Le funzioni sacre si svolgevano perciò in luoghi rigidamente circoscritti e consacrati (templi, santuari, altari) e il loro svolgimento era codificato fin nei minimi particolari tanto che, se veniva sbagliato od omesso anche un solo gesto, tutta l'azione doveva essere ripetuta da capo. Musica e danza vi trovavano ampio spazio. Oltre all'uso di

sacrificare bovini, ovini e volatili, particolarmente diffuso era quello dei doni votivi che potevano andare dagli ex voto (statue e statuine di divinità e di offerenti), alle prede di guerra (armi, carri), agli stessi edifici sacri (dedicazione di un tempio o di un sacello).

Tra le pratiche di carattere religioso quelle destinate ai defunti avevano presso gli etruschi un carattere tutto particolare. Esse erano legate alla concezione (del resto diffusa in altre civiltà del Mediterraneo) che l'attività vitale del defunto, la sua ''individualità" continuasse anche dopo la morte e che questa sopravvivenza avesse luogo nella tomba.

Spettava però ai vivi, ai familiari e dei parenti, garantire la sopravvivenza dell'entità vitale del defunto al quale doveva essere data una tomba, cioè una nuova casa, e un corredo di abiti, oggetti d'uso personali, cibi, di cui si serviva simbolicamente o magicamente. Per la stessa ragione vitalità e forza venivano trasmesse al defunto con giochi e gare atletiche che si svolgevano in occasione dei funerali o delle ricorrenze anniversarie della

morte. Quanto alle pratiche proprie dei funerali, la prassi non era

dissimile da quella che avveniva altrove: esposizione del cadavere al

compianto pubblico e alle lamentazioni di donne appositamente pagate (prefiche), corteo funebre e banchetto presso la tomba. Il culto della ''sopravvivenza" nel sepolcro era ulteriormente sviluppato nel culto degli antenati e in particolar modo del capostipite, specie delle famiglie gentilizie. Tra il V e il IV secolo a.C., però, la fede della sopravvivenza del morto nella tomba cambiò sotto l'effetto delle suggestioni provenienti dalla civiltà greca. Ad essa si sostituì la concezione di un ''mondo dei morti" (simile all'Averno o all'Ade) dove le ''ombre" soggiornavano.

Ai defunti vennero allora dedicati particolari riti di suffragio, stabiliti dai Libri Acherontici, e offerte alle divinità infere (in particolare il sangue di alcuni animali) che potevano consentire alle anime il conseguimento di uno speciale stato di beatitudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 3

 

Sempre  da esperta guida la Citta mi guidava verso la località' "COLOMBARA". Dove come da accordi ci dovevamo incontrare quella notte assieme alla donna. Lasciata la macchina, io e la Citta c'incamminammo verso l'altura io m'ero portato dietro una coperta, perché'  visto la giornata tanto afosa, pensavo che durante la notte la temperatura sarebbe scesa di qualche grado. Fermatici sotto ad un ulivo stesi la mia coperta, ed aspettammo l'arrivo della donna. Arrivata lei dopo i saluti e qualche chiacchiera di poca importanza, entrammo subito nel vivo dell'argomento parlando delle sue ricerche, ma ad un tratto si fermo perché senti dei rumori insoluti e lentamente decidemmo tutti e tre di seguire quelle tre strane ombre. Ci accorgemmo che erano i cosiddetti " Tombaroli " o meglio nella lingua italiana profanatori di tombe ed antichità', sparivano lentamente al chiaro di luna. Nel rivestirci frettolosamente e nel radunare i nostri oggetti, alla donna cadde per terra un foglio, io lo raccolsi e scoprii che si trattava di una cartina geografica della località' "Colombara". Glielo porsi, e mi ringrazio. Iniziammo a leggere gli appunti su quella località che dicevano…………….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “3”

 

 

 

Località COLOMBARA

 

Il casolare Colombara, o come lo chiamavano i contadini che v'abitavano "Il Colombaro" si trova a pochi chilometri dalla autostrada A1.

Ad un'altezza sul livello del mare di 280 metri.

Ci si arriva passando per "l'allevamento cavalli Forneris", "Il Canneto", due chilometri prima del casello autostradale Chiusi‑Chianciano scendendo da Sarteano, sulla destra, a circa un chilometro dalla strada provinciale.

Il vecchio podere appare ormai in disuso, circondato da erbe alte e rovi, il casolare ci fa l'effetto di una città morta, dà un senso di desolazione, non vi abita più nessuno da molto tempo e non possiamo farci niente se la natura a poco a poco, sta risucchiando le mura indebolite dall'umidità e dall'incuria dell'uomo. Un tempo era un casale veramente bello, completo di vasche con acqua corrente sotto casa per i bucati a mano di una volta.

In questa località nell'anno 1871 il Sig. Gamurrini scoprì i resti di un edifi­cio

 


UN RITRATTO DEL RE PORSENNA

 

termale, appartenente all'epoca Augustea, presso le rovine, delle terme ro­mane con paramenti in Opus. Il Gamurrini rinvenne una grande tazza di vetro turchino, 4 lastre di tipo Campana, una raffigurava una giovane donna proba­bilmente Aphrodite, seduta su un Diphrus, in conversazione con un piccolo Eros, e con un cane seduto dietro di loro di circa 44x46 centimetri.

Alla sinistra del podere, oltrepassata la strada c'è un vecchio stabile un po' più piccolo dove erano tenuti gli animali.

Aggirando questo stabile, anch'esso lui ormai in disuso, e guardando verso est si vede l'autostrada Al,  pochi metri più avanti c'è una tomba etrusca e Dromos corto, orientata ad est. All'interno molto spaziosa, è una delle più grandi tombe in questa zona, sopra di essa è nata una pianta di fi­chi che ha affondato le radici fino a dentro la camera, il Dromos è corto e  in discesa, il pavimento della camera è più basso di circa 25 centimetridel piano terreno. La gente del po­dere dice che questa tomba fu scavata al tempo della costruzione dello stesso e che i materiali ritrovati all'interno furono dati al conte, a quei tempi, della Cit­tà di Chiusi. Questo podere è molto importante per noi, e non solo per le sue quattro o cinque tombe ancora nascoste, scoperte ed individuate qui accanto, ma perché questa posizione èra un passaggio, obbligato, molto importante poiché più avanti su questa strada è situato il podere La Casella, e più ad ovest il podere Le Tombe, e poiché nelle prossime righe, parleremo anche di questi luoghi capirete che il collega­mento e la posizione centrale di questo casale è molto importante.

La tomba che vediamo qui sicuramente è quella centrale, di una formazione a schiera, ossia lateralmente dovrebbero esserci altre tombe non ancora profa­nate, tre a sinistra e tre a destra a tre metri l'una dall'altra, e in riga, tracciando la traiettoria diritta, ed impostata "sud-nord".

Sotto la strada, a pochi metri dal Podere il suolo è di composizione pietro­sa, con molte Tagliate, (Tagliature di un metro circa nella pietra, geometricamente precise e lineari), questo fa capire che in questa zona gli etruschi si fornivano di pietra a forma di blocchi cubici, magari per le loro costruzioni, o per usarle come pietre, per tappi o cippi tombali.

Nella campagna a metà strada tra il podere Colombara e Il Canneto durante la lavorazione dei campi per la semina, gli operai hanno scoperto molte volte dei mattoni e delle tegole etrusche, hanno notato inoltre, che in certi punti esistono a mezzo metro sotto terra dei canali molto lunghi di tipo: "Cunicoli a 4 mattoni a secco simili a fognature di scarico quadrangolari". Que­sti canali scorrono verso il basso in direzione del fiume Astrone, e sicuramente si trovano in questo punto, perché le varie sorgenti e le acque trovate in questa zona fanno supporre che un tempo, esistessero delle terme etrusche, ed i canali sotterranei sarebbero serviti a convogliare le acque fino al fiume, facen­do dei tragitti strategici.

Ma c'è di più: questa è una zona di ZIRI, (così sono chiamati da queste

 

 

 


INGRESSO DI UNA TOMBA ETRUSCA PROFANATA IN ANTICO

 

parti quei recipienti in terracotta murati sotto terra, e contenenti spesso dei preziosi oggetti, come monete, fibule ecc), venivano praticamente usati come i nostri moderni salvadanai, e a volte erano vere e proprie Tombe con all’interno il corredo del defunto.

Un signore che un tempo faceva il trattorista, ci ha raccontato che moltissime volte durante l'aratura di questi campi, si accorgeva di tanto in tanto, che con la terra l'aratro portava in superficie anche qualche tappo di Ziro, e a volte dei rossi Tegoli, o mattoni.

Questo fa supporre che questi prati, adesso pascoli per cavalli, un tempo fossero abitati da etruschi, e che nascosti, ci siano ancora molti ZIRI e reperti, che la terra prima o poi ci dovrà restituire. Sulla parte ad ovest del podere invece fra gli uliveti esistono delle "nicchie a muro", cioè scavate nella facciata ad est delle pietre sporgenti dal terreno, con pareti verticali che hanno una sporgenza abbastanza alta da far sì che gli etruschi riuscissero a scavarvi dei buchi a semisfera, tappati poi con dei Tegoli rossi, gialli, o muratura a tufo. Dentro queste nicchie venivano messi dei vasi ed anche degli oggetti di bronzo, specchietti, o pettini. Passeggiando per queste campagne, ogni tanto si possono vedere sul terreno alcuni pezzi più o meno grandi di questi tappi di nicchie, i quali erano costruiti in un materiale rosso, molto simile a quello dei mattoni, ma più robusti, questo materiale è composto in parte da sostanza metallica, questo perché i tegoli o tappi da nicchia fanno suonare i metaldetector come se contenessero del ferro.

 

 

 

 

IL RE PORSENNA

 

 

II tesoro nascosto più antico d’Italia è certamente quello del re etrusco Porsenna, che risale al V secolo a. C. «Non c’è popolo europeo ha scritto Werner Keller, autore fra l’altro del famosissimo La Bibbia aveva ragione  che sia stato maltrattato quanto gli etruschi, ne popolo la cui eredità sia stata così sistematicamente distrutta. Come se la posterità si fosse ripromessa di spegnere ogni traccia del ricordo di una nazione che un tempo scrisse con la sua azione pionieristica il primo grande capitolo della storia dell’Occidente».

Questo antichissimo popolo italico si e lasciato dietro un alone di mistero e una fama poco invidiabile. Venuti non si sa da dove e nascosti dietro una lingua indecifrabile, gli etruschi sono stati presentati per secoli attraversò tutta l’età classica come una razza di pirati crudeli, adoratori di dei infernali, superstiziosi cultori di un’arte divinatoria spinta sino al limite della follia, e incalliti libertini dediti ai piaceri più smodati.

Solo negli ultimi decenni questo quadro è stato smontato pezzo per pezzo egli etruschi, provenienti con ogni probabilità dall’Asia Minore, hanno riassunto il loro vero volto di popolo civilissimo, dedito ai commerci marittimi ne più ne meno dei fenici e dei greci; inclini ai presagi offerti dai fenomeni naturali come tutti i popoli antichi; e colpevoli del solo reato contro la morale di ammettere ai loro conviti anche le donne, contrariamente ai pregiudizi misogini del mondo ellenico.

Anche il mito della lingua misteriosa si è andato sfaldando seppure a fatica per lasciare il posto a testimonianze non tanto indecifrabili, quanto indecifrate, e soprattutto difficili da interpretare ai fini di un’esatta comprensione di quell’antica cultura. Una cosa però è quasi certa: Roma nasce etrusca, fondata non dal suo eponimo Remolo ma dal terzo dei suoi mitici re, Tarquinio Prisco, un etrusco poi seguito da altri due sovrani della stessa origine, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. L’ultimo re di Roma il Superbo, appunto viene cacciato attorno al 500 a. C. e significativamente va a cercar rifugio proprio presso quel popolo che amava chiamarsi Rasena ma che i greci avevano ribattezzato Tyrsenoi, o Tyrrenoi; e i latini Tusci, o Etrusci. Ed è a questo punto che entra in scena il nobile (/ora) Porsenna.

L’Etruria si stendeva dall’attuale Lazio settentrionale a tutta la Toscana e parte dell’Emilia Romagna. Non aveva una struttura centralizzata, ma si basava su una serie di città-stato rette da re sacerdoti, detti lucumoni, e confederate nella cosiddetta Lega dei 12 popoli. Uno dei centri principali era Clausium, cioè Chiusi, il cui lucumone Porsenna non si limita ad accogliere il re fuggiasco, ma decide di muovere guerra a Roma.

La leggenda pone sulla strada del re etrusco due eroi destinati a fama imperitura: Muzio Scevola, che dopo aver fallito un attentato contro la vita del lucumone decide di castigarsi da solo stendendo la mano su un braciere ardente; e Orazio Coclite, l’orbo impavido che da solo riesce a bloccare l’esercito nemico nel mezzo di un ponte sul Tevere. Gloriosi episodi individuali che, come spesso avviene, serviranno agli storici della Roma imperiale per abbellire la sgradevole realtà di un’occupazione manu militari della Città Eterna.

Ma Porsenna, una volta padrone di Roma, non rimette sul trono Tarquinio il Superbo; e cosi gli etruschi dopo aver fondato l’Orbe diventano anche i padrini di quella Repubblica che poco a poco diventerà la massima potenza del Mediterraneo per oltre quattro secoli prima di cedere il passo all’Impero dei Cesari: un nuovo astro sorge, mentre il predominio etrusco s’avvia al tramonto; e fora Porsenna, saggiamente, opta ben presto per far ritorno a Chiusi dove morirà poco più tardi.

La tomba del lucumone è imponente, come si addice a un personaggio di tanta rilevanza storica e leggendaria. Scrive Plinio il Vecchio nel I sec. a. C., citando Varrone: «II re Porsenna giace sepolto nel sottosuolo della città di Clusium, sotto un monumento di pietre squadrate, largo 300 piedi e alto 50. Le fondamenta rettangolari e uniformi celano un intricato labirinto dal quale nessuno può trovare uscita senza un filo d’Arianna. Su queste fondamenta si alzano cinque piramidi, quattro agli angoli e una al centro. Sulla cima, ognuna reca un disco di bronzo da cui pendono campanelle appese a catene che lungamente risuonano a ogni alito di vento».

Plinio non parla del tesoro, ma è noto che gli etruschi con il loro culto della vita nell’oltretomba usavano riempire le estreme dimore dei personaggi più importanti di preziosa oreficeria, come è dimostrato dai vari ritrovamenti succedutisi nel tempo: lamine d’oro a Pyrgi, collane e fibule a Vulci, monete d’oro e d’argento a Populonia; e poi scarabei di pietre dure, bronzetti votivi, anfore, ceramiche, canopi dalla testa d’animale.

Nel corso dei secoli la caccia al tesoro etrusco è sempre stata di moda. A cominciare dal re ostrogoto Teodorico che nel V secolo d. C. statuiva: «È conforme all’uso tradizionale restituire all’utilizzazione umana i tesori che giacciono sotto terra e non lasciare ai morti ciò che può ancora servire ai vivi. Onde noi ordiniamo di iniziare ricerche affinché l’oro e l’argento vengano portati alla luce del sole, rispettando solo ciò che serve ai morti, come le ceneri custodite nei mausolei e le colonne che ornano le tombe, mentre non è disdicevole sottrarre l’oro che non ha più padrone...»

Da allora attraverso i secoli bui, il Medio Evo e il Rinascimento il saccheggio delle tombe etrusche è continuato senza interruzione, restituendo all’utilizzazione umana, come pudicamente si esprimeva Teodorico vere e proprie montagne di oro lavorato e di gioielli.

La ricerca diventa sistematica nell’800, a opera soprattutto dei principi Torlonia, proprietari di vasti domini presso Vulci, che si circondano di archeologi ed esperti, come [’incisore francese Alphonse Francois dotato di un fiuto straordinario e destinato a diventare famoso per la scoperta presso Chiusi, nel 1845, del vaso che ancor oggi porta il suo nome. Ma neanche il ‘naso’ di Francois è sufficiente per rintracciare la famosa ‘tomba di Porsenna e il mitico tesoro Che secondo le leggende, vi sarebbe contenuto.

Certo, le imponenti cinque piramidi di cui parlava Varrone — con i dischi di bronzo e le campanelle che tintinnano al minimo soffio di vento — non ci sono più: ma Chiusi, l’antica Clausium, deve pur ospitare da qualche parte il rifugio ipogeo del suo lucumone più famoso.

Per molto tempo le speranze si sono volte verso il Poggio della Gaiella, 6 chilometri a nord di Chiusi, dove era stato scoperto un immenso tumulo con una circonferenza di 250 metri, subito euforicamente battezzato la ‘tomba di Porsenna. Sotto si apre un vero e proprio labirinto con cunicoli e loculi disposti su tre piani, che hanno fatto naturalmente pensare alla descrizione di Plinio il Vecchio. Oltre cent’anni di scavi, però, non sono serviti a riportare alla luce alcun elemento che potesse confermare la speranza di aver finalmente messo le mani sull’estrema dimora del lars dopo ben venticinque secoli: e si è scoperto invece che il sottosuolo dell’odierna Chiusi e tutto una ragnatela di gallerie, in parte franate, di epoca pre-romana.

Un’altra vampata di entusiasmo si è accesa alcuni anni fa, quando proprio nel centro storico, sotto la piazza del Duomo, è stato scoperto un grande vano, sorretto da un pilastro e con le pareti ricoperte di travertino. La ‘tomba di Porsenna ? La sala ha però condotto soltanto a un nuovo labirinto che si è rivelato deludente quanto quello di Poggio della Gaiella.

Il cosiddetto ‘mistero etrusco  ha anche eccitato la fantasia di gruppi esoterici che a decine si sono dedicati all’impresa di stabilire un contatto, più o meno astrale, con gli spiriti.

 

 

 

 

 

 

 Il Re e i fulmini:

 

Questa è una delle leggende etrusche di cui si è conservata memoria. Plinio il Vecchio narrando del comportamento dei fulmini, riporta una storia etrusca secondo la quale un fulmine fu evocato dal re Porsenna per distruggere il mostro Olta che minacciava la città di Volsinii. Qui un animale mostruoso dalla testa di lupo viene spinto dentro un puteale, cioè una struttura simile ad un pozzo, che veniva costruita attorno ai luoghi colpiti dalle saette: erano delle vere e proprie <tombe> dei fulmini.

 

 

Scoperto il mausoleo di re Porsenna?

 

Ciò che rimane della tomba del re etrusco Porsenna, il lucumone (o. magistrato con supremo potere civile, militare, religioso) vissuto nel VI secolo avanti Cristo e che riuscì anche a espugnare Roma, si troverebbe in un pianoro di ventisei ettari a est di Sarteano, nel cuore dell’Etruria, e non a Chiusi (dove il sovrano nacque), come ritenuto in prevalenza dall’archeologia ufficiale e soprattutto dallo storico latino Varrone. A sostenerlo è l’architetto Angelo Vittorio Mira Bonomi dice in un volume di oltre centoquaranta pagine corredato di foto, schemi e disegni, spiega come il monumento non sarebbe una semplice tomba, ma un santuario-mausoleo ben più grande, che per dimensioni e caratteristiche non poteva assolutamente poggiare sul terreno sedimentario di Chiusi, ma soltanto su un basamento roccioso come appunto è il pianoro.

Secondo Mira Bonomi, il mausoleo sarebbe stato composto da un blocco quadrato di quasi ottantanove metri per lato, sormontato da cinque piramidi, quattro ai lati e una al centro, alte ciascuna circa quattro metri. Sarebbe stato costruito in travertino locale, legno e bronzo e per portare a termine l’opera, una costruzione del tutto degna delle piramidi egiziane, gli operai avrebbero impiegato, secondo le ipotesi dell’architetto, ben undici milioni di ore lavorative.

E certo comunque che la tomba di Porsenna è da secoli al centro dei pensieri e delle fantasie degli studiosi di tutto il mondo, ma in realtà non è mai stata nemmeno lontanamente individuata. Nel cuore del mausoleo, secondo gli scritti di Var-rone e di Plinio il Vecchio, sarebbe anche nascosto un grande tesoro ed è proprio questo particolare a destare maggiori preoccupazioni: si teme infatti che alla caccia “ufficiale” al monumento si affianchi anche quella  illegale dei “tombaroli”.

In località Pianacce. A Sarteano (Si) proprio dove noi avevamo fatto le più importanti segnalazioni, sembra sia venuto alla luce un muro di fondamenta del V secolo, molto probabilmente annesso al Mausoleo del Porsenna. Se così fosse: noi , con il nostro libro, e con le nostre scoperte e segnalazioni, saremmo stati talmente precisi, da indicarne la esatta locazione, gia 13 anni prima della venuta alla luce delle sue prime tracce.

 

 

 

Fiere parole Da Gaio Muzzio Al Re Porsenna:

 

Mentre se ne andava di lì, facendosi largo da dove  egli stesso si era aperto un varco con la spada  insanguinata attraverso la folla impaurita, poiché, accorsa la gente al rumore, le guardie del re lo avevano arrestato, bloccato, lo portarono (lett. condotto) davanti al seggio del re, perfino allora temibile più che timoroso, in mezzo a così grandi minacce della sorte, disse: “Sono cittadino romano; mi chiamano Gaio Muzio.

Nemico, ho voluto uccidere un nemico, e di fronte alla morte non ho minor coraggio di quanto ne ebbi di fronte all’uccisione; tanto compiere quanto subire azioni valorose è degno di Romani. Né io solo ho concepito questi sentimenti nei tuoi confronti; dopo di me c’è una lunga fila di nomi che aspirano allo stesso onore. Perciò preparati a questa prova, se ti piace: a lottare ogni ora del giorno per la tua vita, e ad avere un pugnale nemico nell’atrio della reggia. Questa (è) la guerra che noi gioventù romana, ti dichiariamo (lett. Questa guerra la gioventù romana dichiariamo).

Non temere nessun esercito, nessuna battaglia: la cosa si deciderà fra te solo e ciascuno di noi.”

 

LABIRINTO "MAUSOLEO O TEMPIO"

 

Possiamo perfino chiederci se esistesse ancora qualche cosa ai tempi di Varrone: è vero che il tratto citato è scritto al presente, ma la notizia rimanne incompleta, secondo Plinio, perché Varrone ripugnò - puduit – ad indicare l’altezza delle piramidi più elevate, come se seguisse fonti di cui non si sarebbe veramente fidato, senza possibilità di verificare sul posto.

E Plinio ricorda fabulae Etruscae per trovare la precisazione sulla quale conclude la descrizione del monumento, di cui affermava sin dall’inizio la fabulositas.

Lo scetticismo dei due antiquari è abbastanza giustificato dalla sparizione di una costruzione alla quale la tradizione attribuiva dimensioni considerevoli: una base quadrata di 300 piedi di lato per un’altezza totale di 600 piedi, cioè in misure moderne: 88,8 m su 177,6 m^- cifre che sembrano troppo elevate per i mezzi tecnici dell’epoca.

Inoltre, queste stesse cifre, che suppongono un modulo di 5 piedi e dei rapporti precisi fra tutte le parti del monumento indicano in qualche modo un’opera ideale, qualcosa come un esercizio scolastico, perfino un modello teorico che non sarebbe stato effettivamente costruito.

Rimane comunque un punto della descrizione del monumento che sembra importante, mentre è più o meno trascurato dai “ricostruttori”: tutti si sforzano di ritrovare la disposizione delle piramidi su parecchi livelli, con piattaforme che le collegano e gli accessori, dischi o gugliette, che le sormontano, ma ben pochi si preoccupano dell’ interiore della base stessa del monumento, del cosiddetto labirinto che avrebbe contenuto e che giustificherebbe il nome dato all’insieme.

E’ vero che la parola   sembra a volte indicare un monumento importante di pietra, senza che ci fosse necessariamente dentro un percorso labirintico nel senso stretto che diamo oggi a questo termine.

Perfino nell’elenco dei quattro labirinti che da’ Plinio, è chiaro che almeno uno, quello che si colloca a Lemno – ma che doveva trovarsi piuttosto a Samo non comportava nessun percorso completo, ma solo un insieme di cento cinquanta colonne perfettamente equilibrate: Eppure nel caso del monumento di Chiusi Varrone insiste sulla presenza di un vero labirinto inextricabilis, che si ritrova in un Virgilio, nella descrizione del labirinto cretese figurato sulle porte del tempio di Apollo a Cuma; poi parla della necessità di utilizzare un filo per dirigersi dentro, ciò che non può non far pensare al filo dato da Arianna a Teseo.

Questo labirinto è un labirinto quadrato. Sappiamo che le monete di Cnoso rappresentano quello che sembra essere la pianta del labirinto cretese, il più spesso sotto la forma di un disegno quadrato, ma almeno una volta sotto la forma di un disegno rotondo.

Nella stessa Etruria, l’oinochoe di Tragliatello, presenta un labirinto di forma rotonda, abbastanza grossolano.

In quanto alla ricerca sul territorio, si è potuto credere un tempo che la sepoltura del re etrusco fosse stata ritrovata nel tumulo di Poggio Gaiella , esplorato nel 1841, poi è stato capito che i corridoi sotterranei che collegano le diverse camere funerarie fossero probabilmente opera di tombaroli e non potessero dunque  rappresentare i passaggi di un labirinto antico.

E’ certo possibile supporre che codesto tumulo sopportasse la costruzione descritta da Varrone, ma l’ipotesi e perfettamente gratuita.

In realtà il problema della localizzazione esatta del labirinto toscano si poneva già a Plinio, poiché non c’èra più nessuna traccia nel suo tempo, come per il labirinto cretese.

Si dice che Papa Pio II, recandosi al congresso di Modena nel 1459, e passando per Chiusi, cercò il labirinto che Porsenna, re leggendario della città, avrebbe fatto costruire come sepoltura: l’interesse archeologico per questo monumento non è dunque cosa nuova!

Ma di questo sepolcro sappiamo solo quello che ci fornisce una testimonianza indirette di Varrone, trasmessa da Plinio, che l’ha completata con dati presi, secondo le sue parole, dalle fabulae Etruscae.

Ancora la descrizione varroniana , "... Sepultus sub urbe Clusso ... ", ci indica una posizione geografica che va interpretata dalla cultura contemporanea.

Per le ragioni già espresse, il comprensorio chiusino retto da Porsenna era un agglomerato di villaggi poiché dall'analisi dei reperti archeologici lo sviluppo della Val di Chiana incominciò all'inizio del VI sec. e fu rapido ( L. Banti, op. CIT. p. 226)

Il carattere agricolo di questa espansione è dimostrato dal tipo dei nuovi insediamenti : fattorie, abituri, villaggi, di cui si hanno tombe isolate, piccole necropoli lungo la Valle, i pendii e i poggi inseriti ai piedi della dorsale collinare del Monte Cetona.

In questa visione protourbana dove il concetto dell'urbe usato dallo storico Varrone non è applicabile perché la città del VI sec. nell'attuale centro di Chiusi non esiste, mentre esistono resti attribuibili sempre a Età etrusche più recenti, la preposizione .sub + ablativo con verbo di stato, credo vada interpretata come "davanti a", "nei pressi di", dinnanzi a", e quindi "...

fu sepolto davanti alla città di Chiusi ... " intesa come comprensorio protourbano di aggregazioni di villaggi densamente popolati, centri d'intensa attività artigianale, nodi di particolare interesse commerciale con residenze elitarie.

Infatti dato che il vasto e ricco insediamento era disposto su un territorio interessato da emergenze di  oggi, basse colline, il punto di osservazione necessario per stare davanti a - questo paesaggio proto urbane ed insieme i unto dal quale il grande monumento poteva

essere visto in tutta la sua altezza; non doveva essere certamente ai piedi di Chiusi, ma in una zona elevata della dorsale del Monte Cetona da cui dominare la valle.

Il Labirinto, quel giochino che quasi tutti abbiamo fatto in una qualsiasi rivista di enigmistica oppure visto in qualche sequenza cinematografica, è in realtà vecchio di ben 30.000 anni e, alle origini, non si trattava di un semplice gioco, bensì di un percorso iniziatico denso di simbologie esoteriche.

Il Labirinto o Spirale della Vita, rappresenta in realtà il passaggio dalle Tenebre alla Luce, la continua ricerca della Conoscenza, tanto che anticamente, all'interno dei Labirinti, si trovavano i Santuari preposti a particolari riti iniziatici. Il più antico Labirinto, oggi ormai completamente perduto, fu quello fatto costruire in Egitto dal Faraone Amenemhet III intorno al 2000 a.C. Si trovava nei pressi di Fayum ed era diviso in 300 stanze e  dodici cortili coperti, sei a nord e sei a sud, comunicanti tra loro e circondati da una imponente muraglia.

Nessuno conosce esattamente lo scopo del Labirinto di Fayum e secondo antiche tradizioni, lo stesso Mosè venne sottoposto a tale prova per dimostrare di essere degno di custodire i segreti dell'Arca dell'Alleanza.

Ma il Labirinto più conosciuto è sicuramente quello di Cnosso, a Creta, anche questo ad oggi perduto, pur essendo la sua pianta originale impressa in molte monete e vasi dell'epoca. Altro Labirinto scomparso è quello che si sarebbe dovuto trovare nei pressi di Chiusi e che avrebbe contenuto il famoso tesoro di Porsenna.

Numerosi infine i Labirinti che si trovano impressi in quasi tutte le Cattedrali gotiche e in Italia quello della Cattedrale di Lucca, il Labirinto di San Vitale a Ravenna, quello di Santa Maria di Trastevere a Roma e quello di San Michele Maggiore a Pavia.

Un esemplare di Labirinto del 700 perfettamente conservato si trova nella Villa Nazionale di Stra, presso Venezia.

Quando fu costruito il primo labirinto? Se ponessimo la domanda allo storico Erodoto, vissuto quattro secoli e mezzo prima di Cristo, risponderebbe aprendo le sue Storie, al libro II. Qui è descritto appunto un labirinto, sito in Egitto, presso le piramidi. Il grande greco lo vide e poté visitarlo. Costruito interamente in pietra calcare, di pianta quadrata, racchiudeva vaste sale e aveva un portico con colonne monolitiche; le camere dovevano essere migliaia. Da allora si gioca con le varie ipotesi. C' è chi crede fosse il tempio funerario di Amenhemet III a Hawarah, c' è chi dice altro.

Ma per rispondere meglio dovremmo fidarci dei miti, recarci a Creta, rivedere con la nostra fantasia il celebre labirinto costruito dall' architetto Dedalo per re Minosse e pensare che in quel luogo dell' immaginario occidentale fu rinchiuso il Minotauro, l' essere dal corpo umano e dalla testa taurina. L' eroe ateniese Teseo, aiutato da Arianna, figlia del re, vi penetrò: uccise il mostro, liberò i fanciulli inviati come tributo e guadagnò l' uscita grazie al filo che la donna gli diede. Alcuni archeologi identificarono questo luogo con il palazzo di Cnosso, dalla forma intricata, ricco di decorazioni di asce bipenni (in greco lábrys, da cui potrebbe derivare appunto labirinto). Chissà qual è la via migliore; chissà se la tomba labirintica, presso Chiusi, descritta da Plinio nel XXXVI libro della sua Storia naturale, fu proprio quella del re etrusco Porsenna.

L' uomo ha avuto sempre necessità di creare labirinti, fatti di pietra o di pensiero. Con essi ha anche spiegato quella cosa inafferrabile che i filosofi chiamano realtà, o almeno i suoi percorsi misteriosi. È impossibile uscire da un labirinto, soprattutto se non ha pareti ben definite. L' idea attende ognuno di noi in opere insospettabili e ogni volta ha la capacità di attirarvi la nostra anima. Il labirinto lo potete incontrare nei suoni sublimi di Bach o nelle impalpabili note di Mozart o nella violenza che si cela in talune disperazioni di Beethoven; ci state dentro senza accorgervi quando vi fidate di un filosofo che vuol dimostrarvi con la ragione l' esistenza di Dio. I letterati si direbbe quasi che siano costretti a giocare con i labirinti, così come gli indagatori delle società. Gli esempi sono infiniti, ma nessuno potrà negare che i più contorti tra quelli contemporanei li abbia edificati la burocrazia. Nel 1913 lo scrittore russo Andrej Belyj, nel suo romanzo Pietroburgo, ci aveva avvisati dell' esistenza del senatore Apollon Apollonovic, capace di esercitare il controllo in una città-labirinto-prigione attraverso una burocrazia implacabile e un reticolato di leggi oppressive.

Le nostre ricerche corrono in rete, desideriamo scoprire informazioni e certezze da catturare con Internet. E anche in tal caso, non è difficile dimostrare che ci siamo cacciati di nuovo in un labirinto. Erano meglio gli antichi o l' attuale? Inutile rispondere, basterà ricordare che ogni epoca ne ha bisogno almeno di uno, a sua misura. L' uomo medievale trovava l' immagine del labirinto sui pavimenti delle cattedrali. Chiunque fosse entrato in quella di Amiens, ne vedeva uno di rara bellezza. La sua fede gli consigliava di percorrere i tortuosi tracciati in ginocchio, per meglio comprendere quanto difficile fosse stata per il Cristo la via del Golgota.

Oggi tutto è cambiato, ma ogni giorno scopriamo nello schermo del nostro computer che qualche calvario c' è, anche se camuffato e virtuale.

Di divagazione in divagazione, rischieremmo di condurvi in un altro labirinto. È il caso di riprendere il filo del discorso e ricordare lo spunto da cui siamo partiti: un nuovo libro di Paolo Orvieto, dal titolo Castelli labirinti giardini. Luoghi letterari di orrore e smarrimento (Salerno Editore). Clausure mostruose, case maledette, segregazioni senza motivo, fantasmi che ritornano inspiegabilmente, stanze della tortura, auto reclusioni, sessualità che hanno abbandonato il corpo, bisogno di sotterraneo, di inferi: nel fascinoso saggio questi e altri argomenti li visiterete attraverso una eccellente documentazione letteraria. Il guaio è che, dopo la lettura di queste pagine, le obiezioni mancano. È vero che «ogni epoca crea i propri mostri, personifica in esseri altamente simbolici le proprie rimozioni, le repressioni sociali e religiose, le proprie ossessioni e paure»? Di certo, noi abbiamo ancora bisogno di scandalose infrazioni alla logica e di ficcarci in qualche clausura, dove «incontriamo tutto ciò che sta contro la morale e oltre la scienza».

Si cerca sempre in un labirinto, si incontra prima o poi un mostro. Così, per fare un altro esempio, ci si rende conto leggendo in Boiardo l' innamoramento di Orlando che appaiono tutte le possibili impersonificazioni del male, forze che ci spingono verso lo stato selvaggio, aggressivo. Non sono che degli antenati, neanche tanto lontani, di Frankenstein, Dracula, Hulk. L' itinerario che il paladino percorre con le sue emozioni li materializza per il lettore prima che siano stati inventati. Anche l' Antico Testamento è gremito di mostri sottomessi da Dio, ma alcuni sono per l' uomo invincibili. Possono riapparire come Moby Dick, trasformandosi nella celebre opera di Melville. Egli paragona la sua balena al Leviatano (il «serpente guizzante» di Isaia 27,1). Ma proprio in questa lotta, il bianco cetaceo diventa qualcosa di indissociabile dall' uomo: lo scontro è lo sforzo per penetrare l' oscurità, quel mistero con cui Dio ha avvolto la sua creatura precipitata sulla terra. Un altro labirinto, insomma, con pareti fatte di acqua e tenebre. Da temere e da inseguire.

Dalle donne sepolte vive di Poe ai bestiari orientali, dai melodrammi con i vampiri al romanzo Pet Sematary (1983) di Stephen King, narrazione liberatasi dall' incerto discrimine tra realtà e fantasia, tra ragione e follia, da Fazio degli Uberti a Verga, da Borges a Eco, Paolo Orvieto presenta ciò che Jung immaginava sepolto «negli strati più antichi dello spirito umano». È un cammino a ritroso, verso una zona indeterminata del nostro pensiero; si cerca in un labirinto infinito di cui si è persa la mappa. Per questo non importa se mai sia esistita l' antica costruzione di Dedalo o se effettivamente conteneva il Minotauro, perché qualcosa di quel mito continua a vivere in ognuno di noi. Misteriosamente. Nella sua Critica del giudizio, Kant ha scritto che l' arte deve mettere in gioco, coinvolgere tutte le facoltà spirituali del lettore oltre ogni limite imposto dalla razionalità. I Greci risposero tre millenni prima inventando un labirinto, al cui centro c' era un mostro. Cercarlo o fuggirne? Combatterlo o lasciarlo tranquillo con il suo pasto fatto di innocenti fanciulli? La risposta cambia in ogni epoca. Quella definitiva temiamo che l' uomo non la conosca ancora.

Il simbolo del labirinto compare fin dai tempi più remoti della storia umana ed è molto comune in Europa e in Asia. Già nelle pitture rupestri si trovano spirali, cerchi concentrici intervallati da linee e perfino labirinti a forma di ellisse che dovrebbero rappresentare il moto dei pianeti.

 Il più famoso è il labirinto di Cnosso, fatto costruire dal re Minosse come prigione per il Minotauro, mostro mezzo uomo e mezzo toro. Secondo il mito, il Minotauro riceveva un tributo periodico di sangue da Atene: alcuni giovinetti ateniesi venivano rinchiusi nel labirinto per servire da pasto al mostro. Questi fu ucciso dall’eroe Teseo, che si sostituì ad una delle vittime sacrificali. Egli ritrovò la strada verso l'uscita grazie ad Arianna, figlia di Minosse, che gli aveva dato un grosso gomitolo di filo da svolgere durante il percorso di andata. Dedalo, l’ingegnere ateniese che era il costruttore del labirinto e che aveva dato ad Arianna il consiglio del filo, per punizione vi venne rinchiuso da Minosse col figlio Icaro; riuscirono a fuggire per mezzo di ali di cera, ma Icaro volò troppo in alto, il calore del sole fuse la cera ed il ragazzo precipitò a terra.

Il labirinto più antico che si conosca nell’area mediterranea è quello vicino al lago Moeris, in Egitto, costruito parzialmente sotto il lago, che è un bacino artificiale alimentato dalle acque del Nilo. Scrittori classici, come Erodoto, Diodoro Siculo, Plinio e Strabone, lo descrivono immenso, con un piano sotto e due sopra la terra, con aree riservate agli iniziati di un rito non ben specificato.

Secondo Platone, il primo labirinto della storia umana sarebbe quello di Atlantide, fatto di cerchi concentrici alternati di terra e di mare, con la parte di terra unita da ponti. In Italia il più noto è quello attribuito a Porsenna, che si troverebbe nei sotterranei della città di Chiusi.

Da sempre il labirinto simboleggia un percorso interiore attraverso il quale lo spirito si può evolvere e innalzare ad un livello superiore; il centro del labirinto, secondo Mircea Eliade, rappresenterebbe la sacralità. Il cammino tortuoso per arrivarci assumerebbe quindi una funzione di protezione del sacro nei confronti dei profani, essendone riservato l’accesso ai soli iniziati: la difesa di un luogo sacro, di un tesoro molto prosaico (fatto di denaro o di beni materiali) o spirituale (immortalità, virtù, elevazione al divino, conoscenza di sé).

Il labirinto è stato utilizzato anche come sistema di difesa alle porte delle città fortificate; per esempio, era tracciato sulle piante delle antiche città greche. Voleva simboleggiare la difesa della città o della casa che si considerava al centro del mondo. La difesa era rivolta sia verso gli avversari umani, sia contro le influenze malefiche.

Sul pavimento della cattedrale gotica di Chartres, in Francia, è disegnato il labirinto riprodotto qui sotto.

La sua forma è circolare e il diametro misura 12,87 m. Per andare dall'ingresso indicato con A, al punto di arrivo indicato con B bisogna percorrere 261,5 m.

Vuoi raggiungere la saggezza? Vuoi diventare veramente abile in qualche arte? La musica, lo sport, la coltivazione dell'orto, la conoscenza delle persone, l'amore, la matematica,...?

 

 

E quindi da supporre che il Famoso labirinto del Porsenna sia solo una pietra quadrata e piatta magari attaccata in alto o di lato, all’ingresso del Tempio Mausoleo, e non da interpretarsi come un insieme di cunicoli gallerie, o altri passaggi sotterranei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 4

 

Quel pomeriggio io non riuscivo a dormire, forse a causa della faticosa notte scorsa, o per il caldo che si faceva sentire. Io mi sentivo coinvolto in delle situazioni strane, ma oramai avevamo preso l'impegno d'aiutare la Donna nelle sue ricerche, e la cosa oltretutto mi incuriosiva molto. La sera, ci recammo in località "S.Leonardo", e ci sentivamo un po' strani, anche il cielo non era molto tranquillo, e le nuvole cercavano di coprire sia la luna sia le stelle. Ci mettemmo tutti e tre subito a consultare gli appunti che la Donna aveva su questa località, anche se non molto interessante come le altre, ma stavamo in ogni modo tracciando il percorso della Via Inferi, la quale più avanti si prospettava molto più interessante per il nostro racconto. La Donna sembrava essere presa sia dalle sue ricerche sia della nostra amicizia. La notte non prometteva bene, così che noi decidemmo di tornare a casa e di ritornare la notte prossima. E cosi finii di leggere gli appunti sul mio divano……………….

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “4”

 



 

 

Località S. LEONARDO

 

Questa località è un insieme di tre poderi: S. Leonardo, Casa Bruciata, e Casa Bianca o Magazzino Tabacchi, quest'ultimo chiamato così, perché fino a circa 18 anni or sono, era uno stabilimento dove si produceva tabacco, essiccato, preparato e poi spedito alle fabbriche di sigarette e sigari dello stato.

Il nome Casa bruciata, si pensa derivi dal fatto che fin dalla sua costruzione, questa casa è stata di colore scuro, quasi color fumo, c'è chi dice invece che il suo colore sia dovuto ad un incendio che la rese così scura, molti anni fa.

Qui ci troviamo a 330 metri sopra il livello del mare, la strada statale dista da qui non più di un chilometro, ed il suo bivio è a metà strada tra Sarteano ed il casello autostradale A 1, in sostanza questa è una delle due strade che portano anche al podere Le Tombe.

 


TAPPO SFERICO DI ROCCIA CHE CELA UN INGRESSO NASCOSTO

 

 

Un po' più in alto, sopra la strada, tornando in direzione della statale, c'è un casolare agricolo ancora funzionante, curato come si faceva una volta, con tanto di trattori, carri e bestiame da tiro e pascolo.

Il padrone di questo casolare possiede anche molte terre, le quali hanno la proprietà d'essere Terre Etrusche, non si sa altro di questi campi, perché non è consigliabile gironzolare troppo attorno alle proprietà di questa persona, che di notte invece di dormire passeggia per le strade della sua campagna, per controllare se tutto è tranquillo, o forse per la paura dei ladri.

Non tanto tempo fa, riuscii a parlare con lui, e mi confidò parecchi segreti, tra i quali l’individuazione casuale da lui fatta di alcune strutture Archeologiche, tra le quali una piscina termale di forma ovale rifinita in mosaico attico.

In basso sotto il Magazzino Tabacchi, (e dalla strada passandovi si scorgo­no bene), ci sono ancora delle Tagliature sulla pietra, ne esistono in abbondanza, continue e per una lunghezza di circa 60 metri. La pietra è tutta ta­gliuzzata a forme rettangolari.

Sicuramente anche qui venivano tagliati dei pezzi di materiale che poi ser­vivano per farne tappi di tombe, ed altre costruzioni richiedenti  tra­vertino o pietra.

Di Tombe se ne vedono poche qui, e disposte poco geometricamente, di misura piccola, con Dromos di circa un metro e, la maggior parte con l'ingresso rivolto in direzione del Lago di Chiusi (est).

 

La strada sterrata che dall'incrocio scende a valle verso nord, porta al pode­re S. Leonardo, dove possiamo vedere sul retro del casolare un costone di pie­tra alto circa 20 metri e lungo circa 400 metri.

In questa parete c'è un'insenatura, che una volta era chiusa per celare un ingresso di dimensioni notevoli, adesso si può vedere all'interno tutta l'inse­natura fatta a caverna, con il soffitto piatto, e le pareti lavorate perpendico­larmente.

All'interno di questa caverna, si trova un masso di forma sferica, di enormi dimensioni, il quale, dopo essere stato analizzato con cura, anche se la cosa appare molto strana, risulta quasi certo che sia stato incastrato volutamente dall'interno verso l'esterno, ricavato quindi

 

 


PARETE ROCCIOSA LUNGO LA STRADA DI “CASA BRUCIATA”


I NOSTRI CALCOLI PER L’INDIVIDUAZIONE E IL CALCOLO DELL’INGRESSO CHIUSO DALL’INTERNO DI “SAN LEONARDO”

 

 

 

 

 

all’interno della caverna, in modo tale da poterlo rotolare verso l’esterno, ed ostruire definitivamente l’ingresso.

Anche se dalle nostre parti non si sono mai viste strutture del genere, è evidente, secondo noi, che in questo punto dietro questo enorme tappo si trovi qualcosa di notevole importanza archeologica.

Dal disegno ci si può rendere conto di persona delle dimensioni del Tappo, c'è inoltre da notare che su questo masso ci sono dei bu­chi, eseguiti da qualcuno che probabilmente aveva pensato di provare ad en­trare, o a vederne l'interno.

A chiunque sia stato non è andata molto bene, in quanto l'enorme profondi­tà di questo masso non ha permesso di arrivare fino all'altra parte, per vedere cosa ci fosse dietro.

Qualcuno ha provato anche a scavare nella pietra ai piedi del masso sferico, ma anche questa soluzione non è valsa a molto, perché nemmeno in quel caso sono riusciti a passare oltre il Tappo.

Il Tappo è di m. 3,50 x 2, con un volume approssimativo di circa 8 m cubi, con un peso di circa 21 tonnellate, considerata la natura organica della pietra cal­carea, cavernosa, grigia, con superficie spugnosa, alterata da una breccia immersa in polvere grigio‑cenere dolomitica.

 


VISTA DI UNA TOMBA ETRUSCA A DROMOS PROFANATA IN ANTICO

 

Sotto questi terreni si snoda una rete di tubazioni del diametro di circa 30 cm, in ghisa, di grande portata, la quale una volta serviva all'irrigazione di quasi tutte le raccolte di tabacco ed altri vasti prati da pascolo e da fieno.

L'acqua parte da due “vasconi” artificiali costruiti in cemento, molto capienti, alimentati da una sorgente poco distante.

Poiché, andando in direzione dei prati e dell'allevamento si scende di livel­lo un bel po' di metri, l'acqua convogliata nei tubi per il dislivello subito, arri­vava in basso con una pressione molto elevata (9 atmosfere) e permetteva di far funzionare a pieno ritmo e con un getto molto lungo, gli irrigatori nei campi sottostanti.

Questo vecchio, ma ancora in parte funzionante impianto d'irrigazione, dà l'idea che prima dell'uomo moderno, in questa stessa zona avessero fatto lo stesso i greci e i romani, magari con tecniche più rudimentali, e con canali sotterranei fatti a mattoni, appunto quei canali, di tanto in tanto individuati più a valle nei prati confinanti con il fiume Astrone.

Questa in fine è da dire una zona di “cunicoli”, in quanto si sa che qui sotto esistono, vari tipi di cunicoli o “tunnel” non ben definiti, ma di grandezza tale da presupporre l’ipotesi, che siano stati passaggi costruiti all’epoca Etrusca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CENNI STORICI:          LE ORIGINI ETRUSCHE:

Degli Etruschi si sa ancora ben poco, ed i testi sui quali oggi si basa la storia di questa civiltà risalgono all'antichità greca e romana. Erodoto il grande storico greco offre una ricostruzione sulle origini, ma gli Etruscologi e gli archeologi tendono oggi a limitare fortemente la sola interpretazione di Erodoto; una teoria la sua, diffusissima fra tutti gli scrittori classici. Il suo racconto sembra risentire troppo dai miti e delle favole, che nell'antichità tendevano a far dipendere l'origine e la nascita degli Etruschi, questo popolo occidentale, da una migrazione venuta dall'Oriente, dalla Lidia, a seguito di una grave carestia in epoca mitica, e cioè poco dopo la guerra di Troia, guidata da un grande condottiero: Tirreno.

Dionigi Alicarnasso discutendo la tesi di Erodoto formulò un'altra ipotesi: quella dell'origine autoctona degli Etruschi; mentre Livio in un discusso passo ha accreditato una terza teoria, di una provenienza settentrionale di questo popolo, di cui i Reti e altre popolazioni alpine sarebbero le spoglie.

Avevano ragione in parte tutti e tre anche se le loro tre teorie sono errate.

Infatti, una certa resistenza all'origine solo orientale, é motivata dalle difficoltà in cui oggi si trova l'archeologia, di vedere nel continuo sviluppo un concatenamento delle civiltà che si sono succedute nell'Italia centrale, non con una frattura abbastanza decisa e netta; quindi non solo il frutto di un "solo" popolo straniero emigrante.

Per molto tempo si è pensato di poter collocare questa frattura intorno al 800 a.C., nel momento in cui, cioé questa civiltà che viene dall'Oriente, sostituisce la civiltà preesistente nel territorio italiano; civiltà quest'ultima, chiamata "Villanoviana" perché fu identificata e definita la prima volta in un paese chiamato Villanova, nei pressi di Bologna.

Si é scritto (citando Livio X, XXXIII) che gli Etruschi fondarono Bologna (Felsinea), Modena, Piacenza, Ravenna, Spina e Mantova, mentre invece sappiamo oggi che queste località erano già abitate. Bologna aveva un importante insediamento nell'area dell'attuale centro storico. Un grande comprensorio a macchia d'olio che attorno all'anno 1000 a.C. si era saldato e stabilizzato; vi si praticava la metallurgia, l'artigianato e una larga trama di commerci, quindi già un importante capoluogo della civiltà Villanoviana (autoctona) anche se con moltissimi influssi dell'area mediterranea (attraverso Adria e Spina) e con quelli settentrionali, padani e subalpini, prima dell'arrivo degli Etruschi.

I palafitticoli, abbandonate le valli alpine e la stessa Pianura Padana, vi erano già arrivati con la loro ricca cultura intorno al 1300 a. C. Non molto distante, a Este, c'era un grande centro dei "palafitticoli"; e nel Veneto di insediamenti se ne contavano parecchi, a Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, e.... dove sorgerà in seguito (gli unici rimasti fedeli a questo tipo di abitazione) Venezia.

Anche i Galli Boi, nella metà del secolo IV, del capoluogo emiliano ne rivendicarono la fondazione (chiamandola Bononia). Altrettante pretese avanzarono i Romani nel 191 a.C. che vi dedussero una colonia nel 189 a. C.. (Insomma tutti operavano come Pissarro e Cortes in America, portandovi, loro assicuravano, la "civilta"! E spesso cambiavano nome nel luogo dove arrivavano).

Oggi i recenti e continui progressi della ricerca archeologica, hanno portato gli studiosi a poter concludere che tra le tesi dell'origine orientale e dell'origine autoctona degli Etruschi non c'è un vero e proprio contrasto; ci si va sempre di più orientando in una risoluzione più equilibrata del problema. Si deve cioé concludere che se elementi orientali sono giunti sulle coste tirreniche, questi (poco importanti numericamente) non hanno modificato in modo sensibile e profondo gli insediamenti della civiltà delle popolazioni preesistenti. Infatti, le basi della civiltà villavoviana trovano nella civiltà etrusca uno sviluppo di certe sue caratteristiche essenziali: ma non viene superata né tanto meno distrutta dagli Etruschi, bensì in una forma, spesso non manifestata (altezzosamente quella etrusca) da entrambe le due civiltà, sviluppata ed ampliata. Così sviluppata e ampliata la autoctona che sarà questa a distruggere l'altra.

Il problema che non era stato risolto fino a pochi anni fa, era invece la lenta comparsa (1800-1500 a.C.) e la successiva improvvisa scomparsa (1300 a.C.) dei palafitticoli; prima nei laghi alpini, poi nella Pianura Padana. Una civiltà questa che si pensava fosse giunta dal centro Europa. Invece oggi sappiamo che era scesa dalle Porte di Ferro (confine Jugoslavia-Bulgaria-Romania), anche questa proveniente dall'Oriente da dove era partita risalendo il Danubio; ma emigrata dalla Tracia mille anni prima, e in alcune zone, duemila anni prima che emigrassero gli Etruschi dalla Lidia e approdassero in Toscana.

Questo popolo (noto anche come cultura detta dei "Campi di urne") prima occupò le Valli Alpine e Prealpine, poi scese nella pianura Padana, in Emilia, infine intorno al 1100-1000 a.C. in Umbria e nel Lazio. Nell'area dove Romolo farà sorgere Roma nel 753, alla base del Palatino, sono state rinvenute inumazioni con il sistema della pratica incineratoria (sconosciuta ai latini dei Colli Albani) databili 1100 a. C. - E anche più antiche, del 1500 a.C. che fanno pensare che i palafitticoli (questo popolo silenzioso e fantasma, ma con una grande cultura) vi si erano già spinti quattro secoli prima. (Vedi Fondazione di Roma)

Dai dati linguistici (molto compositi ed eterogenei, la cui documentazione é attinta da materiali ed epoche diverse, d'altre età e aree) e dalla documentazione archeologica si ricava un'organica e logica sequenza di fenomeni culturali, in cui é difficile, se non impossibile, fissare dei paletti, delle pause, alle quali attribuire il valore di un salto qualitativo storico proprio di una sola migrazione orientale (Teoria di Erodoto). E sulla base dei dati storici-culturali, linguistici e archeologici sono da respingere sia quella autoctona (teoria di Alicarnasso) sia quella di origine settentrionale (teoria di Livio).

Più semplicemente quella Etrusca, va intesa come una migrazione avvenuta da diverse direzioni e in tempi diversi, ma sempre con un'unica origine orientale. I palafitticoli del Nord, come a Costanza o a Ledro (TN) ecc., 1000 anni prima, avevano con se moltissimi oggetti della cultura Tracia-Micenea, e altrettanto portarono con sé quelli sbarcati poi in Toscana, ma portandosi dietro la cultura Micenea di mille anni dopo, già assorbita ed evolutasi in quella Pre-Ellenica. (1000-800 a. C.)

Che i Tirreni-Etruschi provenissero dal mar Egeo non ci sono più dubbi. La scoperta a Lemno di una iscrizione in lingua pre-greca (arcaica- Fenicia 1 - origine 1519-1220 a. C.) ha messo in luce, strettissime e indubbie affinità, fra quella lingua e quella etrusca. E l'isola di Lemno (nomo di Lesbo) era abitata da un popolo originario della..... Tracia. (!!! attenzione a questo nome - apparirà spesso - nulla a che vedere con la storia della Tracia Romania Romana)

In Tracia (lo sappiamo da pochissimo tempo) sembra sia esistita una grande civiltà millenaria, anteriore a quella Sumerica. Qui del resto non molti anni fa, sono state rinvenute le Tavolette Tartarie e i primi sigilli rotondi sumerici-babilonesi-egiziani; e sembra che proprio qui i Sumeri scoprirono l'arte della scrittura. E forse i Fenici in seguito a contatti con i Traci nacque loro l'idea dell'Alfabeto. La lettera N della Tracia del 3500 a.C. sarà un caso che in sumero, in egiziano, in fenicio, in etrusco, in greco, in latino, é sempre uguale?

Le Tavolette Tartarie hanno rimesso in discussione l'origine della scrittura; un giallo, perché sono state trovate dove non ci dovevano essere. E insieme a queste molti altri oggetti e tesori che hanno sconvolto il mondo archeologico.

Sembra proprio che la preistoria Europea sia nata qui, in Tracia.

Una civiltà quella della Tracia, che all'epoca delle conquiste romane era del tutto scomparsa. I Greci l'avevano cancellata. Anche se 4000 anni prima avevano fondato Troia, erano stati i primi a sbarcare a Creta mille anni prima della civiltà minoica (il toro, il Taurus era un culto Trace!), avevano creato quasi tutti gli dei greci (Zeus in Trace significa Dio, e Dionisio suo figlio - nysos in Trace significa giovinetto; Lo stesso Orfeo e l'orfismo era Trace. Il mitico Monte Olimpo era Trace, perché posto al confine dell'antichissimo territorio Trace.

I Greci si impossessarono oltre che del territorio anche di tutto la mitologia della Tracia. Molti, ancora oggi, credono che la mitologia greca sia greca, invece é della sconosciuta Civiltà Tracia. Quando i Greci fondarono sul Mar Nero, Apollonia nel V sec. a.C. eressero una statua alta tredici metri (scultore Calamide) in onore del dio Trace affinché proteggesse la... Grecia; e quel dio era Apollo onorato in Tracia 2000 anni prima di quello greco (ritrovato a Dupljaja nel Banato) ecc. ecc. Poi se ne impossessarono. Cosi la dea Cibele, era la dea delle fertilità Trace (famose le statuette dalle grosse mammelle)

Se rileggiamo Omero (Iliade) scopriamo che accenna a Reso, come al mitico Re Trace, elogia l'elevato grado di civiltà della sua tribù, e resta affascinato dal suo cocchio e l'armatura d'oro puro e del suo cavallo più bello del mondo. A Varna ultimamente è stato scoperto qualcosa che dà ragione ad Omero. In Tracia ancora nel 3200 a.C. sguazzavano proprio nell'oro. Vale a dire duemila anni prima di Reso. Monili d'oro a 24 carati a chili, gli scettri e i gioielli a lamine d'oro come la maschera di Agamennone li avevano già fatti mille anni prima che sorgesse Micene e Troia. E sappiamo oggi dov'era il famoso (tenuto sempre segreto) "forziere" di Traiano nel periodo più opulento di Roma: le miniere d'oro tra la Tracia e la Dacia.

E se rileggiamo anche Erodoto, narra di un popolo con ottime regole e organizzazione sociale, dove ogni famiglia disponeva di una propria casa, che dimorava sui laghi, le cui belle abitazioni non in paglia ma in tavole unite, sono costruite in mezzo all'acqua sopra alti pali. Il popolo - lui che scriveva nel 470 a. C. - li chiama "Antichi" Peoni; la zona è il lago Prasia (oggi lago Takiros); il territorio la Tracia. Di questi villaggi ne sono stati oggi rinvenuti circa 350. Databili 4000 a. C. Sappiamo così da dove veniva l'architettura palafitticola identica a quella delle valli alpine, e chi erano e da dove veniva la cultura dei popoli dei Campi d'Urne.

Solo intorno al VII secolo la civiltà etrusca inizia a prendere coscienza della propria esistenza, della propria personalità, della propria lingua, della propria autonomia, rispetto alle altre civiltà che popolavano l'Italia a quell'epoca. Un tipo di società spiccatamente guerriera, in contrasto con le culture esistenti nell'intera penisola, più mite, non agonistica. Questo spiega l'ampia diffusione territoriale degli etruschi e di conseguenza anche la supremazia culturale. Nei secoli che vanno da questa età fino al II sec. avanti C., si ha il grande e rigoglioso sviluppo degli Etruschi, che rappresentano per tutto questo periodo una grande forza politica, sociale, ma anche culturale: si può quindi benissimo dire che la civiltà etrusca sia la prima, grande, potente e fiorente civiltà italiana, pur con tanti difetti.

L'Apogeo della potenza etrusca, si ha soprattutto nel VI secolo, quando gli Etruschi stipulano un'alleanza con i Cartaginesi: alleanza che assicura loro il dominio di tutto il Mediterraneo occidentale; quindi iniziano i floridi commerci.

Verso il 535 si ha una grande affermazione della loro potenza marittima e commerciale con la grande vittoria nella battaglia navale sui Focesi, al largo di Aleria, in Corsica.

Come riprova del grande splendore della civiltà etrusca nel VII secolo e ancora nel VI, basterà ricordare come gli stessi Re di Roma, cioè i Tarquini non fossero altro che Etruschi: quindi in questo periodo gli Etruschi scendono a sud, espandendo il loro dominio e la loro potenza militare ed economica in un "paese" ancora giovane, non ancora bene organizzato: quello Latino. Nella seconda metà del VI secolo gli Etruschi vanno ancora oltre, scendendo nella Val Padana fino alle foci del Po, istituendovi degli importantissimi centri di vita commerciale e dei fondamentali punti d'appoggio (Uno addirittura a Melzo). Mentre a sud giungono fino in Campania, a Capua, mentre i nuovi greci - i moderni - vi stanno sbarcando da sud).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 5

 

La notte era calda e tranquilla questa volta, le Citte erano d'umore allegro, le si leggeva dentro gli occhi, s'erano presentate quella sera con un abbigliamento semplice, e non certo da campagna. Ci trovammo questa volta al podere "La Casella", ed era la nostra quinta tappa in questa ricerca e nello stesso tempo storia di coppie. La Donna ci domandò poi mentre si discuteva, perché questi incontri li stavamo facendo sempre di notte, ma io gli risposi che noi due lavoravamo sempre tutti i giorni, e quindi questi orari ci permettevano l'unica possibilità di vederci. Eravamo intenti tutti e tre a tracciare delle righe sulla cartina di SARTEANO, segnando tutti i punti dove c'eravamo incontrati, come un tragitto immaginario, ma ancora era troppo presto per poter vedere sulla carta un tracciato. Ad un certo punto la Citta s'alzò di scatto e cominciò a correre per i prati, e noi la guardavamo allontanarsi sul verde, quando la Citta fu talmente lontana che si vedeva piccola, la donna s'alzò in silenzio e con un passo quasi di danza la seguì. Guardandole mi sembravano due farfalle nella notte. Io le raggiunsi e questa volta toccò a me di fare uno spogliarello per loro, finito di spogliarmi le due Citte m'invitarono a sdraiarmi fra di loro, su quell'erba fresca e quella campagna pulita. Rimanemmo immobili, e con gli occhi verso il cielo assistemmo al miracolo che si ripete ogni mattina, la notte calava ed il sole sorgeva. Fu così che con la luce la Donna riuscì a leggerci gli appunti che aveva fatto……………………..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “5”

 



 

Località LA CASELLA

 

Il podere La Casella si trova in fondo alla strada sterrata che passa per l'al­levamento cavalli, in realtà è l'ultimo casolare, perché dopo, la strada finisce.

Il podere La Casella si trova a 298 metri sul livello del mare, in piena cam­pagna, poco lontano dal podere Colombara, della stessa epoca degli altri po­deri adiacenti, il più vecchio dei quali però è il podere Le Tombe, mentre La Casella è uno dei poderi più estesi per il possedimento terriero.

La zona è pianeggiante, con molto verde e con un piccolo fiume che scorre, per poi unirsi all'Astrone.

Nelle immediate vicinanze del Casolare nell'anno 1857 furono rinvenute dal Dott. Lunghini, varie tombe etrusche di epoca ellenica di cui una contene­va alcune urne, con bassorilievi e oggetti preziosi, tra i quali due tazze d'argento, lavorate a rilievo.

 


TOMBA ETRUSCA PROFANATA

 

Andando a sud, in direzione del fiumiciattolo (Fosso) c'è una località chia­mata dalla gente del posto “Fosso il Tono”; purtroppo la vegetazione prorom­pente non ci ha permesso di vedere tutti i dettagli che ci aveva in precedenza elencato un vecchio abitante del casolare, sappiamo solo che certe tombe, dalle descrizioni fatte sembrano essere a Cassettone, venivano chiamate dalla gente del posto, le “tombe zingare”, difficile capire per quale motivo.

In questo luogo chiamato “Fosso il Tono” c'era una piccola fabbrica etrusca di vasellame, in esso si trovano qua e là resti di vasi rotti o magari venuti male, e qual­che resto di antico forno di cottura in mattoni refrattari, usati allora all’interno, per cuo­cere i vasi.

Non esiste più nulla della piccola fornace, ci si deve accontentare del fatto che era qui sicuramente, e con la fantasia ricostruire alcuni momenti di quel tempo in cui gli etruschi costruivano e cocevano vasi dipinti, semplici, in bucchero, e piatti, vassoi, o addirittura i famosi Ziri, per poi essere destinati alle zone adiacenti, dove sarebbero stati messi sotto terra e murati per sempre.

La Casella possiede anche altri particolari che riguardano i nostri studi:

Da qui in base a testimonianze e racconti, dovrebbe avere il suo ingresso, il famoso tunnel, del quale abbiamo parlato nella descrizione del “Podere Le Tombe”.

Ad ovest del podere verso la campagna si trova una fonte d'acqua di vena naturale, che sgorga da sempre, poco più avanti i resti di un insediamento etrusco, con uno strano lastricato di pietra grande circa 40 x 40 metri, sul quale sono incisi dei tagli di circa 15 metri di lunghezza, che a prima vista assomigliano a dei Dromos, ma poco profondi e troppo lunghi, ed inoltre non presentano alla loro fine né il tappo d'ingresso ad una tomba e nemmeno nicchie laterali, anzi finiscono tutti a scivolo.

Questi canali fungevano una volta da canali di disluvio, o displuvio, portando a valle l'acqua che altrimenti sarebbe infiltrata nel sottosuolo.

 

Forse invece questi tagli, vista la loro disposizione a ventaglio, servivano ad allontanare l'acqua da una tomba molto grande che dovrebbe trovarsi sotto il lastricato, con il suo ingresso, in basso ai piedi dei canali, la tomba (ancora inviolata), deve essere molto importante, viste le precauzioni adottate al tempo per tenerla asciutta il più possibile adottando questa tecnica di canali.

Infine i canali potrebbero essere veramente dei Dromos molto particolari come non se ne sono mai visti in giro, però ognuno di loro nasconderebbe una tomba, chissà come strutturata, e con quale tipo d'ingresso.

Un'altra risposta potrebbe essere che questo lastricato sia il soffitto di un'enorme costruzione sotterranea, ed i canali fossero serviti a diminuire l'effetto drenaggio delle acque, le quali in tutti questi anni avrebbero potuto provocare l'allagamento all'interno della grande camera centrale.

Parliamo infine dei campi pianeggianti che si trovano a sud dei canali, in questi campi furono rotti molti ziri dagli operai che aravano le terre, se ne trovano ancora i resti, e addirittura qualcuno ci ha detto d'aver trovato delle monetine, durante le arature, tra le zolle, affiorate casualmente nel arare la terra.

In questi prati devono esserci a parecchi metri di profondità, alcuni canali, molto lunghi e diritti che solcano la terra in direzione nord‑sud, almeno una decina persone, ci hanno parlato di questi tunnel, e analizzando i racconti, uno alla volta, tutti ci hanno indicato gli stessi punti, e lunghezze senza sbagliare di tanti metri.

Alcuni sapevano dei canali a causa della rottura casuale degli stessi, durante la lavorazione dei campi, altri invece li avevano scoperti facendo delle fosse, in seguito usate per piantarvi ulivi, hanno perforato con i picconi la volta del soffitto d'alcuni tunnel, poi dopo aver sbirciato dentro con molta paura, il tutto è stato ricoperto, mettendo delle assi di legno a forma di croce sulle falle aperte, in modo che la terra di riempimento , non fosse caduta dentro il canale.

Le descrizioni si assomigliano un po' tutte: "Ho visto un gran canale molto lungo, sia a sud sia a nord non si vedeva la fine, nemmeno con la luce di una torcia, il tunnel che ho visto era rivestito interamente di piccoli mattoni, la volta del soffitto era ad arco, e il pavimento della stessa larghezza delle pareti, circa 1 metro e mezzo, in quanto all'altezza, sono sicuro che vi potrebbe stare una persona comodamente in piedi”.

Di seguito, le parole di una Medium che fu portata in questo posto, per farle individuare il punto di passaggio del "tunnel": “Mi concentrai e cominciai a scendere in basso, sempre più sotto al livello del terreno, vedevo dapprima passare davanti ai miei occhi le radici delle piante, poi una parete di mattoni, l'ho oltrepassata e mi sono trovata in un tunnel, molto grande, umido, e lungo. Ho camminato in salita, andando in direzione nord, per circa 200 metri, poi mi sono trovata davanti una porta tutta d'oro, lavorata e della grandezza del tunnel, la quale lo chiudeva ermeticamente."

Purtroppo, la medium non ci disse altro, era stanca (così ci raccontano), e non ce la faceva più a concentrarsi.

 

 

 

 

 

 

 

CENNI STORICI: Le musiche e la Danza degli ETRUSCHI:

 

Si è più volte rilevata, nei testi etruschi, la presenza di raggruppamenti regolari di parole e di sillabe, ripetizioni, allitterazioni, rime, ecc. , che denunciano una forte disposizione alla forma ritmica. Non abbiamo invece finora dati sicuri per la individuazione di una metrica quantitativa, come nei versi greci e latini. Ma è in ogni caso assai probabile che le iscrizioni dedicatorie, specialmente arcaiche, ed alcune iscrizioni funerarie fossero verseggiate, come era uso frequente presso i Greci e i Romani. danzatrice etrusca Ovviamente metrici e cantati erano i carmi sacri, inni o preghiere, e forse anche quelli di contenuto profano. La musica accompagnata dal canto, ma specialmente quella senza canto, deve aver avuto grandissima importanza nelle cerimonie e nella vita pubblica e privata degli Etruschi, a giudicare dalla testimonianza concorde delle fonti letterarie e dei monumenti figurati. Gli strumenti (e di conseguenza anche il ritmo, l’armonia, le disposizioni melodiche) sono manifestamente gli stessi che troviamo nel mondo musicale dei Greci: una identità che non sorprende, se si tien conto degli stretti rapporti di dipendenza che legano le città etrusche alla civiltà ellenica per tanti altri aspetti. Fra gli strumenti a corda, rappresentati o ricordati, sono la cetra, la lira, il barbiton; fra gli strumenti a fiato, il doppio flauto (tibiae) e la tromba diritta (salpinx, tuba) o ricurva (cornu); fra quelli a percussione, i crotali delle danzatrici. Il duo del suonatore di cetra (o lira, o barbiton) e del suonatore di doppio flauto costituisce, come in Grecia, un accoppiamento normale: lo vediamo rappresentato con particolare frequenza nelle scene di banchetto o di danza delle pitture funerarie. Eppure, nell’ambito di una comune civiltà musicale l’Etruria deve aver avuto, così nei generi come nella pratica, certe sue particolari tendenze e tradizioni. Non può trascurarsi l’insistenza con la quale gli scrittori antichi parlano dell’impiego del doppio flauto presso gli Etruschi, quasi di uno strumento nazionale derivato dalla Lidia e poi trasmesso dagli Etruschi ai Romani: il flautista o auleta si chiamava a Roma, con nome derivato dall’etrusco, subulo. In verità l’auletica è un genere largamente diffuso in Grecia, ma attribuito originariamente ai Frigi ed ai Lidi: esso risponde ad un gusto musicale per il patetico e per l’ orgiastico. Anche in questo caso, come in altre manifestazioni della civiltà artistica, gli Etruschi avrebbero accolto dalla complessa esperienza ellenica certi elementi più vicini alla loro sensibilità, orientandosi specialmente verso le forme elaborate nelle città greco-orientali dell’Asia Minore. Logicamente dobbiamo supporre che la musica etrusca preferisse quei «modi» che i teorici greci definivano lidio, ipolidio, frigio e ipofrigio, con i relativi sistemi tonali, in contrapposizione con la grave e solenne musica dorica. D’altro canto la tradizione greca, antica e concorde (Eschilo, Eumen., 567 sgg.; Sofocle, Aiace, 17; Euripide, Fen., 1377 sgg., ecc.), attribuisce agli Etruschi la tromba: salpinx. Pur non significando che questo antico strumento sia stato inventato realmente in Etruria, ciò vuol dire che esso era caratteristico delle costumanze militari e forse anche religiose etrusche, ed eventualmente fabbricato ed esportato da botteghe di bronzisti etruschi (ma i monumenti figurati rappresentano di preferenza la tromba ricurva, il corno, o diritta con la sua estremità ricurva come il lituo). In ogni caso il favore accordato agli strumenti a fiato corrisponde ad un notevole sviluppo delle pratiche musicali distaccate dal canto. La musica non soltanto si collega con la danza e con la mimica nelle grandi celebrazioni religiose e nelle manifestazioni sceniche, ma sovente accompagna singoli momenti del rito ed azioni della vita pubblica e privata, come le gare sportive, la caccia, la preparazione dei banchetti e persino la fustigazione degli schiavi. Questo rapporto della musica piuttosto con il gesto che con la parola trova il suo parallelo nelle forme peculiari degli spettacoli scenici etruschi, che avevano, per quanto sappiamo (Livio, VII, 2, 4 sgg.), carattere di mimo ed erano rappresentati da attori-danzatori mascherati (histriones o ludiones), talvolta anche con allusioni buffonesche e satiriche. Ciò non esclude la possibilità di vere azioni drammatiche dialogate, certamente favorite, a partire dal IV secolo, dall’influsso delle forme del teatro greco (come attestano i frequenti modellini di maschere comiche trovati nelle tombe etrusche). La danza ci è nota soprattutto dalle figurazioni funerarie del VI e del V secolo. Sembra di regola eseguita da ballerini professionali: danzatrici singole accompagnate da un suonatore di doppio flauto; danzatori a coppia; ma soprattutto cori di uomini e donne procedenti in fila distaccati e con movimenti individuali, guidati da musici (suonatori di cetra o lira e flautisti) forse in funzione di corifei. I musici partecipano ai passi della danza. Qualche volta si colgono nell’atto di ballare anche personaggi della classe gentilizia alla quale apparteneva la famiglia del defunto. I movimenti saltellanti delle gambe e i gesti accentuati e presumibilmente rapidi delle braccia e della testa rivelano un genere di danza fortemente scandito, agitato se non addirittura orgiastico, che si ispira presumibilmente alla greca sikinnis di origine dionisiaca. Ma i documenti limitati nel tempo e nell’ambito dell’arte funeraria non sono sufficienti a provare che questo genere sia stato il solo coltivato in Etruria. Esso, comunque, si accorda con i «modi» musicali che abbiamo supposto dominanti nel mondo etrusco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 6

 

La mattina, molto confuso mi soffermo un po' di più sul letto, questa mattina è il mio giorno di festa, e posso rimanere a riposarmi fino a che voglio. Mi sono messo a pensare ad occhi aperti fissando il bianco soffitto della mia camera, con la mente lavoravo, e pensavo a tutte quelle cose che m'erano successe, e mi domandavo perché proprio a me, a me con quella Citta. Mentre sul soffitto bianco si formavano i miei pensieri visivi di certe cose accadute in questi giorni. Con molta calma decisi; (visto che avevo tutto il giorno libero solo per me), d'andare a visitare la Città di Chiusi. Città questa, (CHIUSI) conosciuta in tutto il mondo come centro etrusco, dimora del RE PORSENNA, con bar, alberghi, e ristoranti; strade che portano il nome del RE, ma sono solo specchi per le allodole appositamente studiati per attirare i turisti, città ridente e attiva, con un lago tutto da visitare. Arrivato a Chiusi, dopo il Museo Etrusco, e la cattedrale, visitai rioni e vidi case antiche. Poi il caldo del sole mi costrinse a rifugiarmi in un bar per rinfrescarmi, e mentre mi stavo rilassando con davanti la mia bibita, e godendomi il mio giorno di festa, diedi uno sguardo all'opuscolo che parlava di CHIUSI. Finito di bere, e pagato il conto stavo alzandomi per andarmene, mi cade lo sguardo su una delle ultime pagine dell'opuscolo , e mi misi a leggere; ecco tutto quello che c'è scritto sulla Chiusi Etrusca per i turisti: tomba della Scimmia, a camera , dipinta, in attesa di restauri; Tomba della Pellegrina , a camera con urne e sarcofagi, chiedere al Custode presso il museo Etrusco; Tomba del Leone , Del Granduca, ecc. ecc. , mi domando: "Tutto qui "? La grande città Etrusca è descritta solo delle sue quattro o cinque tombe, non visitabili, e senza indicazioni di zona. Ritornando un po' deluso verso CHIANCIANO mi domandavo perché questi gioielli di una civiltà perduta siano così trascurati. La notte andai al solito appuntamento, sia con la Citta, sia con la Donna, mentre un insieme di domande mi riempiva la mente. Le Citte erano bellissime, varie nei loro trucchi e nei loro abbigliamenti, al punto che a me apparivano ogni sera più belle. Non ci furono momenti erotici, la notte puntuale come sempre c'invitò a leggere ed ascoltare quello che aveva scritto delle sue ricerche giornaliere la Regina. Quella notte ci trovavamo nella località Podere Le Tombe, la sesta locazione della Via Inferi, la quale cercavamo insieme di tracciare come era una volta se possibile, attraverso le ricerche sulle zone, sui posti, e sulle testimonianze. All'improvviso la luna s'oscuro, ed i rumori della notte non si sentirono più, ed ascoltammo con attenzione le letture della Donna………………..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Zona “6”

 

 


TOPOGRAFICA DELLA ZONA “PODERE LE TOMBE”

 

 

Località Podere Le Tombe

 

 

Da queste parti si respira un'aria buona, che sa di prati, e nello stesso tempo pulita, fine e genuina, ed i turisti specie nel periodo estivo, vengono qui da tutte le zone, e molto spesso fanno delle salutari passeggiate campestri e visto che qui non manca il verde, scelgono appunto questa zona. In questi luoghi ci si può sbizzarrire camminando per ore in strade di campagna e prati.

Avrete modo di leggere una descrizione delle zone archeologiche di questo luogo, di carattere prevalentemente ETRUSCO, piuttosto importante, per quanto riguarda la quantità dei ritrovamenti locali.

Qui nel 1960, il contadino locale, rinvenne una tomba del V secolo a.C., venuta alla luce a causa di uno scavo per la gettata di un plinto in cemento.

 

 

All'interno vennero rinvenute 2 armille di bronzo, un piccola croce ornata con "occhi di dado", e sulla sommità una figura di uccello, simile al Martinpescatore.

 


PODERE LE TOMBE COME ERA NEL 1995

 

 

Poco distante da questo punto, un anno dopo, venne rinvenuta una tomba con all'interno 5 Balsamari in vetro, 1 armilla, 1 Cannula terminante a testa di ariete, ed una decorazione di bronzo con due teste di ariete, poi 2 orecchini d'oro, due pettini, e molti altri frammenti.

Questo Casolare si trova ad un'altezza di 338 metri sul livello del mare, e sicuramente molti di voi lettori stabilirebbero qui la loro dimora fissa dopo avere visto la bellezza della zona.

Ci troviamo in piena campagna, con un allevamento di cavalli a circa due chilometri di distanza, una bella veduta, e tanto verde da tutte le parti.

Il nome di questa località (le tombe) deriva dal Casolare, ormai in disuso, la cui costruzione risale agli inizi dell'ottocento, e visto che già a quei tempi vennero rinvenute diverse decine di tombe, sicuramente per questo motivo chiamarono questo casolare “Podere Le Tombe”, quindi sia la zona che il casolare hanno lo stesso nome.

 

Questa zona a sud‑est di Sarteano, è situata a circa quattro chilometri ad ovest dell'autostrada Al, e ad est nei confronti dei Monte Cetona, a nord invece vediamo l'allevamento cavalli, e a sud il Paese di Cetona.

Parlando con gli ex contadini, ormai anziani, che hanno abitato per tanti anni nel posto, si possono sentire racconti, storie di ritrovamenti, e leggende molto interessanti, infatti andando a parlare con uno di questi ci è stata raccontata la storia, (comune a parecchi) di un tunnel di lunghezza incalcolabile, che passa sotto la zona Le Tombe, e che sotto terra traccia un tragitto andando in direzione “La Cartiera”, passando in un punto, ove alcuni sanno di un altro ingresso, il “Podere Castagneto”.

Un’altra persona, ci racconta: "Un giorno, circa 45 anni fa, i contadini per ordine del padrone, stavano scavando sul campo sottostante questo casolare, dei canali molto profondi per poi inserirvi delle piante di vite, e, visto che nella zona c'erano solo pochi centimetri di terreno, e poi subito dopo il tufo, in questi solchi, veniva portata della terra, e quindi venivano riempiti in modo che i filari potessero crescere con maggior vigore assorbendo con le loro radici il nutrimento necessario.

E appunto durante quest'operazione che, usando il piccone, uno degli operai ha sentito che il terreno andava giù, e si è accorto che sotto c'era un vuoto.

Dettero subito uno sguardo dentro, molto intimoriti e soprattutto superstiziosi, a causa di vecchi detti su maledizioni, che sarebbero ricadute su chi avesse profanato Tombe Etrusche ecc..

Presi dal timore di dover raccontare il fatto al padrone, continuarono il loro lavoro, coprendo la falla, creata con un Tegolo da tetto".

Alcuni degli anziani che parteciparono a quest'evento dicono di ricordarsi addirittura il punto preciso, dove quel giorno accadde il fatto, e quindi il punto dove si può accedere al tunnel, e adesso lo conosciamo anche noi.

 


INGRESSO ANCORA DA APRIRE

 

La Necropoli delle TOMBE è stata profanata per circa tre quarti della sua estensione molti anni fa, solo le ultime Tombe più nascoste, e anche più ric­che sono state scavate di recente, da chissà quale gruppo di scavatori clande­stini. Abbiamo calcolato, infatti, che nella zona siano rimaste non ancora profa­nate circa il 10% delle tombe esistenti.

E un peccato che un posto come questo non sia stato esaminato più attentamente, per poi es­sere scavato sistematicamente, e naturalmente in maniera legale, con l'opportunità e la soddisfazione di poter mettere alla luce, e sistemare in qualche museo le bellezze del passato, anche di questo posto dell'Etruria Toscana.

In questa zona ed in questo posto in particolare si trovano molte architettu­re rimaste come erano un tempo, ancora tutte da vedere e scoprire, per esem­pio ad est del podere, sotto il muraglione sul quale è stato costruito lo stesso, ci sono delle lavorazioni sulla pietra, che recano dei segni lasciati dagli Etru­schi chissà per quale impiego e motivo. In questo punto della parete di pietra abbiamo scoperto un ingresso ancora celato, si vede bene anche se l'occhio dovrebbe essere abbastanza esperto, per capire nei particolari come sia composta questa insolita tappatura.

Si vedono anche delle strane caverne su queste pareti, e non si riesce a ca­pire bene se siano naturali, o fatte dalla mano dell'uomo.

La parete di pietra (muraglione) gira tutta intorno al Casolare in disuso per


PODERE “LE TOMBE” ANTICHE TRACCE DEI SUOI CONTADINI

 

circa ottocento metri, calando di spessore man mano si sposta  verso nord‑ovest.

Un vecchio abitante del luogo ci ha raccontato di alcuni rumori strani, che si sentivano durante la notte, provenienti dalla cantina sotto il podere, molti dei suoi coinquilini tentavano in quei casi di scendere in cantina (nella zona da dove pensavano venissero i rumori), ma non riuscivano mai a capire bene cosa fossero né da dove venissero.

Caso strano, ma vero abbiamo notato che nel centro del pavimento di quella che una volta era la cantina, c'è uno scavo che, a giudicare dalla terra smossa ed ora abbastanza ricompattata, dovrebbe risalire a circa 10 anni fa.

Sicuramente questo scavo sarà stato fatto per controllare se sotto il pavimento della cantina, a qualche metro di profondità, in quel punto ci fosse stato qualcosa come una tomba con l'ingresso da un'altra parte, ma con la Camera  centrale proprio lì sotto, o un nascondiglio a Ziro, usato spesso durante la guerra per nascondervi dentro tutti i beni e i tesori della famiglia, in modo che al loro passaggio i nemici non avrebbero trovato in casa nulla da portare via.

In effetti, a Sarteano molti sono i vecchi poderi che, per motivi non ancora chiari, furono costruiti sopra a delle Tombe Etrusche.

Parliamo adesso di queste tombe che si trovano a sud della casa, tutte dello stesso stile, anche se differenti come struttura interna, e con dei Dromos di diversa misura, infatti, variano dai 2 metri ai 15 metri (quello più lungo).

Queste tombe hanno tutta la caratteristica d'avere gli ingressi, e i Dromos orizzontati prevalentemente a sud.

Alcune hanno due o più camere laterali, con la principale in fondo al Dromos, altre invece sono solo nicchie, sia a sinistra sia a destra, però la camera principale davanti è molto più grande.

In un punto della necropoli manca un'enorme fetta di parete tufosa di circa 60 metri quadrati, sembra che durante la guerra, una bomba lanciata da un aereo abbia colpito quel punto, sbriciolando con la terra ed il tufo anche la fiancata sinistra di un Dromos molto lungo, anzi uno dei più lunghi in questa zona. Da sopra questa rupe, si può dominare tutta la valle, guardando a sud si riesce a vedere un bel po' dell'autostrada Al; si vede anche Città della Pieve Monteleone, e tanti altri paesi, a sud, e ad est.

Non c'è che dire, gli Etruschi avevano scelto un bel posto per le loro necropoli, i loro punti di sepoltura venivano scelti con molta cura, stando attenti che la zona avesse più sole possibile durante l'arco della giornata, e di spalle alla Necropoli, guardando sud, non dovevano esserci altre montagne, o colline che si interponessero tra le tombe ed il sole.

Considerando anche il fatto che durante l'inverno il sole passa più basso all'orizzonte, e a quel punto poteva esserci il rischio, che la Necropoli potesse rimanere per alcuni giorni in zona d'ombra fittizia, c'è da affermare che in fatto di locazioni geologiche gli Etruschi non li batteva nessuno...

In alcuni punti della parete di pietra, una volta sicuramente di tufo più morbido, vi sono delle forme geometriche, molto simili a Dromos delle Tombe


INGRESSO DI TOMBA ETRUSCA PROFANATA

 

Etrusche, mentre invece si tratta di tagli nella parete di pietra, lasciati dagli Etruschi solo perché in quei punti venivano attinte delle pietre cubiche e a volte piattiformi, che sarebbero servite loro per farne dei tappi di chiusura, o addirittura per costruire in posti molto lontani case fortezze ecc.

Si pensa, infatti, (ed alcuni studi sui tipi di pietra lo confermano), che molte costruzioni d'epoca etrusca che si trovano a Chiusi, siano state edificate usando del materiale preso qui, e che esistesse una antica strada che collegava questa zona a Chiusi, ma passando per un punto non bagnato dall'acqua, considerato che in quel periodo tre quarti della zona più in basso, attorno a Chiusi, erano allagati.

Quello che non si sa con certezza, è come avessero fatto a quei tempi, con i pochi mezzi a disposizione a trasportare tutto questo materiale (oltretutto di gran peso), fino a delle distanze così grandi.

In questo luogo ci si può arrivare sia da località Le Tombe, sia da un podere Casella, naturalmente queste vecchie abitazioni sono riportate tutte sulle cartine topografiche di una certa scala.

In breve per arrivare qui si scende da Sarteano verso il casello di Chiusi Chianciano, un chilometro dopo, oltrepassata la strada che porta alla Cartiera, si svolta a destra, per una strada sterrata incontrando una prima abitazione sulla nostra destra.

Subito dopo sempre sulla destra si vede un casolare agricolo, continuando dopo un altro chilometro circa, si passa davanti al vecchio magazzino tabacchi, dopo ancora un po', si giunge al podere Le Tombe, che si nota subito arrivando, guardando a sinistra. Eccoci nel luogo di cui avete letto la descrizione, nelle precedenti righe, qui hanno abitato e sono stati sepolti molti dei popoli che vivevano, fra il settimo secolo a.C. ed il secondo secolo D.C. Guardandosi intorno e respirando l'aria si hanno delle sensazioni strane, sembra di poter rivivere quei momenti del passato che anche se lontani, rimarranno sempre legati a questa terra e a queste pietre lavorate, un po' arrotondate dal passare degli anni e dagli agenti atmosferici, dalle acque e dai venti, e dai carri coi buoi, che con le loro ruote cerchiate in ferro hanno scolpito le vie di pietra.

Attraversando il campo andando in direzione podere Casella, davanti a noi c'è per terra un canale scavato di recente, che va da est ad ovest, largo 80 centimetri e profondo circa un metro.

Questo canale credo sia stato fatto da degli scavatori clandestini, per cercare il passaggio del famoso e leggendario tunnel, del quale si parla spesso. Visto che le indicazioni da noi raccolte fanno supporre che questo tunnel si trovi veramente qui, anche loro, avevano sicuramente pensato così, e, scavando il canale trasversale al probabile tragitto, alla fine pensavano che sarebbero finiti per intercettare perpendicolarmente il suo passaggio, e quindi aprirne la volta per riuscire ed entrarvi ad esplorarlo con calma.

Secondo i nostri calcoli, la profondità è notevolmente maggiore a quella presupposta dagli scavatori clandestini, e quindi tutto quel lavoro (come si può facilmente capire vedendolo di persona), non è servito a niente.

I contadini che abitavano qui, tenevano in diversi punti attorno al podere dei sarcofagi di pietra (vasche scavate in pietra di forma rettangolare di m. 2,20 x 65 x 50), e li usavano per farci mangiare dentro gli animali, quelli che loro chiamavano “trogoli”, non erano che dei sarcofagi ritrovati nei dintorni.

Adesso non se ne trovano più in giro, perché durante un certo periodo sono andati a ruba, ed i ricercatori di queste cose se li sono portati via quasi tutti.

Solo qualche esemplare si è salvato, e si trova poco distante da qui, all'allevamento di cavalli, usato come enorme vaso da fiori e comunque come ornamento. Una delle tombe è molto più grande delle altre ed è l'unica senza


TRAVERTINO “VISTA DI ANTICHI TAGLI PER L’ESTRAZIONE”

tombe laterali o nicchie, la camera ha un soffitto talmente alto che ci si può stare tranquillamente in piedi, l'interno è rettangolare e molto spazioso, della grandezza di 60 metri cubi.

Questa è la tomba centrale, perché in questa necropoli esiste un sistema geometrico di tipo a ventaglio.


NOSTRA RIPRODUZIONE DELLE TOMBE A VENTAGLIO

Dalla tomba centrale, ogni tre metri si contano sia a sinistra che a destra altre tombe, ma retrocedendo di 4 metri, ad ogni spostamento laterale di tre metri, se ne trovano altre. La vegetazione di questo luogo c'impedisce purtroppo di vedere meglio molte altre tombe a causa di rovi, e piante che si sono estese anche all'interno delle tombe stesse.

Noi abbiamo provato ad immaginarci la zona vista dall'alto , per renderci conto se ci fosse rimasta qualche Tomba ancora non profanata.


L’ANFITEATRO DI PIETRA IN QUESTIONE CON DISEGNATE LE TOMBE DA APRIRE

Ci sono altre tombe ancora inviolate, ma molto ben nascoste, noi siamo convinti che ci siano rimaste ancora da scoprire cose parecchio interessanti, che si nascondono all'occhio dell'uomo.

Magari dei tesori nascosti sono proprio qui sotto i nostri piedi in questo momento, o solo un po' più in là, sotto la collina, sotto un cespuglio, o sotto la scarpata. Insomma questa è una curiosità che non dà pace, pensate quale sarebbe il piacere nello scoprire qualcosa che risale a duemila trecento anni fa, il vedere per primi quello che era celato e nascosto, ma nello stesso tempo vicino a noi, a pochi metri.

Riportare alla luce degli oggetti, che sono appartenuti ad un nostro avo del trapassato remoto, immaginare i momenti in cui lui era lì, magari stava seduto guardando la valle verso sud, e pensando a cosa avrebbe mangiato per cena, rotolando fra i denti un piccolo ramoscello staccato da una pianta lì vicino.

 I suoni poi dovevano essere di una bellezza fonocromatica indescrivibile, senza rumori di autostrade o aerei, che oggi passano di continuo facendo un baccano atroce. Insomma la qualità fonica e la propagazione dei suoni, oggi non ci permetterà mai di provare tali emozioni, nemmeno andando in una moderna sala di registrazione, con le pareti insonorizzate e altri vari accorgimenti fonoassorbenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CENNI STORICI:      L’ organizzazione politica: ETRUSCA

 

All’epoca dei contatti dell’Etruria con Roma la vita politica della nazione etrusca poggia essenzialmente sopra un sistema di piccoli stati indipendenti facenti capo a città preminenti per grandezza e per ricchezza. Non sappiamo quali fossero le effettive condizioni del periodo arcaico; ma la coesistenza di diversi centri di grande importanza a poca distanza l’uno dall’altro, come Veio, Caere, Tarquinia, Vulci, con propri poteri, caratteristiche e costumanze, sembra effettivamente ispirarsi al sistema della città-stato proprio delle contemporanee colonie greche e fenicie d’occidente. Questa struttura politica - estesa anche nel Lazio etruschizzato - è designata tecnicamente in latino con il termine populus, di probabile origine euusca, che appare, in un certo senso, sinonimo di civitas, dell’osco-umbro touto, toto. In etrusco il concetto è reso, probabilmente con diverse sfumature, dai termini spur-, mex e forse anche tufi (dall’italico). Il nome ufficiale dei populi è quello degli abitatori stessi delle città: Veienti, Tarquiniesi, Ceretani, Chiusini, ecc. È probabile che con il procedere del tempo le singole città sovrane si siano aggregate un territorio più o meno vasto, sottomet- tendo altre città rivali, come vediamo in atto nella più antica storia di Roma; ma non è escluso che alcune delle città conquistate possano aver conservato una parziale autonomia o siano state legate da rapporti di alleanza con i dominatori (ciò che potrebbe spiegare l’esistenza di centri di media importanza specialmente nell’Etruria interna, come Nepi, Sutri, Blera, Tuscania, Statonia, Sovana, ecc., nel territorio delle maggiori città, cioè di Veio, Tarquinia, Vulci). Si consideri inoltre la possibilità di vincoli di dipendenza delle colonie dalle città di origine: per esempio nella espansione etrusca in Campania e verso settentrione. Ma in realtà, per quanto ci consta, il principio dell’autonomia e del frammentismo politico deve aver prevalso anche nella costituzione dei domini etruschidell’Italia meridionale e settentrionale. Il centro della vita politica e culturale dell’Etruria è dunque da ricercare nelle grandi città dominanti, di cui possediamo gli splendidi resti, e che il computo tradizionale calcola in numero di dodici (solo in età romana si parla di quindici popoli). Quali sono queste città? Certamente all’epoca della conquista romana si contano tra di esse Caere, Tarquinia, Vulci, Roselle, Vetulonia, Populonia, Volsinii, Chiusi, Perugia, Cortona, Arezzo, Fiesole, Volterra; Veio era stata annessa al territorio romano già dall’inizio del IV secolo, Alcuni centri minori dovevano essere ancora autonomi nel IV e III secolo a.C., come parrebbe risultare da monete con i nomi di Peithesa, Echetia e di altre città non meglio identificate. Nuclei abitati fiorenti in età arcaica, quali Acquarossa, Bisenzio, Marsiliana d’ Albegna (Caletra?) e la stessa Vetulonia, decadono più tardi: altre città si svilupperanno soltanto alla fine della civiltà etrusca, sotto il dominio di Roma, quali Siena, Firenze, Pisa, Luni. Una fase anteriore a quella dell’organizzazione urbana non è documentabile storicamente: ne possiamo quindi conoscere il sistema politico e i reciproci rapporti dei villaggi protostorici dei quali restano tracce nel territorio etrusco. Accenni indiretti di scrittori e l’analogia con la costituzione primitiva di Roma potrebbero far supporre che la popolazione delle città fosse ripartita in tribù e in curie. Per il resto, cioè per il rapporto fra queste ripartizioni interne e i nuclei territoriali di aggregazione dai quali sarebbero sorte le città stesse, nonche i centri minori dipendenti, regna almeno per ora l’oscurità più completa. Ogni città-stato o città capitale (caput) di uno stato costituisce un mondo politicamente ed entro certi limiti culturalmente a se stante (si pensi ad esempio allaspecializzazione dei prodotti artistici, per cui tra le altre Tarquinia eccelse soprattutto per la pittura funeraria, Caere per l’imitazione dell’architettura interna delle tombe, Vulci per i bronzi e per la scultura, e così di seguito). Gestione interna, commerci, eventuali imprese navali dovettero essere autonome come nelle poleis della Grecia arcaica e classica. Le notizie delle fonti storiche ci persuadono a ritenere che anche la politica estera fosse decisa con sostanziale autonomia da ciascuna città secondo i propri interessi. Tuttavia esistono altri indizi, sempre delle fonti, che ci indirizzano verso il ricordo di un tipo di associazione delle città etrusche per la quale si è usato modernamente il termine di lega o di federazione. Dobbiamo chiederci quale sia l’effettiva natura di quest’ultima istituzione, che ha dato luogo a discussioni tra gli studiosi. L ‘esistenza di forme associative tra diverse comunità autonome è un fatto ben noto nel mondo antico, in Grecia come in Italia, sia pure con diverse caratteristiche a seconda dei tempi e dei luoghi; ne può quindi destare meraviglia. Per l’Etruria gli scrittori antichi non usano, a quanto ci consta, un termine specifico per indicare l’associazione stessa; ma parlano dei duodecim populi, dei duodecim (o quindecim) populi Etruriae o semplicemente di Etruria, di omnis Etruria. Il numero dodici delle grandi città dell’Etruria propria - alle quali facevano riscontro altrettante della Etruria padana e della Campania - ha probabilmente un carattere rituale: come in altri casi analoghi del mondo antico, e forse, ma non necessariamente, per analogia con le dodici città della lega ionica (considerati gli antichi legami culturali fra Etruria e lonia asiatica). Che si tratti per altro non soltanto di uno schema ideale, ma di una reale istituzione politica, può dedursi da quei riferimenti, principalmente di Livio (IV, 23; V, 1; X, 16, ecc.), nei quali si accenna ad una adunanza di consultazione annuale o comunque periodica (concilium) tenuta dagli stati etruschi e dai loro capi (principes) al Fanum Voltumnae. Ha giustamente posto in rilievo L. Pareti che simili testimonianze non sono sufficienti a provare il carattere continuativo ed un forte potere soprastatale del supposto istituto federale etrusco. Accertata l’esistenza di feste e di giochi annuali panetruschi nel santuario di Voltumna - non altrimenti da ciò che sappiamo relativamente al mondo greco per Efeso, Olimpia, Delfi, Corinto -, si potrebbe infatti supporre che soltanto circostanze politiche di carattere eccezionale, come la minaccia di Roma, possano avere indotto i rappresentanti dei diversi stati etruschi a concertarsi nel santuario nazionale e financo a coalizzarsi in una lega politica e militare. Ma esistono d’altra parte riferimenti che paiono indicare una certa continuità dell’istituto ed una relativa subordinazione ad esso dei singoli stati: ad esempio il passo di Servio (ad Aen., VIII, 475), nel quale è detto che l’Etruria aveva dodici lucumoni, o re, dei quali uno era a capo degli altri, o gli accenni di Livio (l, 8, 2; V, 1) alla elezione di un re da parte dei dodici popoli, ciascuno dei quali forniva un littore per i fasci, e più tardi alla elezione di un sacerdote al Fanum Voltumnae in occasione delle adunanze degli stati etruschi. In sostanza dall’attendibilità delle notizie contenute in questi riferimenti dipende il nostro giudizio sulla lega etrusca. È interessante notare che in due delle testimonianze si parla di re: ci si riferisce cioè preferibilmente ad epoca arcaica. Ma in altro passo di Livio si parla di un capoelettivo della comunità degli Etruschi, il quale alla fine del V secolo (cioè all’epoca del conflitto tra Veio e Roma) era un personaggio designato con il titolo di sacerdos, e perciò dotato di poteri eminentemente religiosi (o ridotti alla sola sfera religiosa). In alcune iscrizioni latine di età imperiale ricorre il titolo praetor Etruriae che appare anche nella forma praetor Etruriae XV populorum, cioè della comunità nazionale etrusca che in età romana pare accresciuta di tre città. Ora fra le cariche esercitate da personaggi etruschi e ricordate da iscrizioni in etrusco conosciamo il titolo zilat? mexl rasnal. Dal celebre passo di Dionisio (I, 30, 3) in cui gli Etruschi sono designati con il nome nazionale di Rasenna sappiamo che la parola rasna dovrebbe significare «etrusco, Etruria». D’altra parte la magistratura indicata con la parola zilat?, che pare sia la più elevata fra le cariche delle repubbliche etrusche, equivale assai probabilmente al praetor dei Romani. Per mexl si può pensare ad un genitivo della parola mex che ricorre nella iscrizione della lamina d’oro lunga di Pyrgi, e forse tradurre “dei populi”. Risulterebbe così una corrispondenza del titolo zilat? mexl rasnal con praetor Etruriae (populorum). Si può discutere se questa carica si identifichi con la suprema presidenza elettiva dei populi etruschi, o con una magistratura di rappresentanza dei singoli populi nel concilio federale, come quella dei principes ricordati da Livio. La prima ipotesi sembra oggi la più probabile. Se le notizie relative alla supremazia di uno degli antichi sovrani delle città etrusche non sono del tutto prive di fondamento, si potrebbe arrischiare l’ipotesi che una forma originaria di legame unitario esistesse fra gli Etruschi del sud all’inizio dei tempi storici, sotto la egemonia di una o dell’altra città. Più tardi questa antica unità avrebbe assunto il carattere di associazione religiosa, commerciale e politica, con feste e adunanze nazionali nel santuario di Voltumna presso Volsinii. La elezione di un supremo magistrato annuale è forse il ricordo dell’alta sovranità di un capo sugli altri. Sappiamo da Livio che verso la fine del V secolo il re di Veio poneva la sua candidatura alla elezione - il che conferma implicitamente l’importanza della magistratura nazionale -, ma ne usciva battuto.

 

LA FAMIGLIA ETRUSCA:

Era costituita dal padre e dalla madre che convivono con i figli ed i nipoti, e si distingue dalla famiglia romana o greca. Gli Etruschi sembrano aver avuto sempre delle famiglie solide, i cui componenti erano legati tra loro da stretti vincoli molto sentiti e vissuti intensamente; nessuno dei familiari contestavano al "pater familias" l'autorità di guida, che verrà a lui attribuita soprattutto dai Romani, come appare da tante iscrizioni nella quale la filiazione é appunto paterna. Grazie a queste iscrizioni noi possiamo oggi conoscere i principali nomi di parentela in lingua etrusca: clan significa figlio, sec figlia, puia sposa, tusurthi gli sposi; nonno si diceva papa, nonna atinacna, fratello thuva, nipote papacs.

Del resto la stessa iconografia così tipicamente etrusca delle tombe, che presentano il marito e la moglie sdraiati l'uno accanto all'altra, adagiati sul letto funebre, in atteggiamento dignitoso e affettuosamente familiare, nel gesto di protezione (vedi immagine d'apertura) del marito e nella tenera fiducia della moglie, esprime l'importanza che la famiglia aveva presso gli Etruschi. La coppia era solida.

Da notare che nelle tombe compare in evidenza sempre accanto al nome il prenome del padre e della madre di entrambi i coniugi.

"Vel Titio Petronio, figlio di Vel e di Amelia Spurinna riposa qui con la moglie Veila Clantia figlia di Arrus".

LA DONNA - All'interno della famiglia Etrusca, la donna ha un posto di notevole risalto; anche nelle iscrizioni come abbiamo appena letto, é possibile notare il particolare che distingue lo stato civile etrusco: il nome delle donne é preceduto dal prenome; mentre una donna romana, per quanto illustre, sarà sempre soltanto una Claudia, una Cornelia, ed anche se imperatrice, una Livia: le donne etrusche erano individuate con un prenome che assicurava loro una personalità all'interno della famiglia: inoltre mentre la forma onomastica latina menziona dopo il prenome gentilizio solamente il prenome del padre: Marcus Tullitus, Marci filii; l'epigrafia etrusca, vi aggiungeva il nome della madre. Queste usanze, nella loro singolarità e nella loro persistenza, ci offrono un indizio della particolare posizione della donna nella famiglia e della società etrusca. Diremmo oggi, una donna emancipata.

La donna etrusca, infatti, presso gli scrittori greci e romani, non godeva di grande reputazione; se la donna greca e quella romana vivevano nell'ombra della casa, l'ideale della donna etrusca ed i suoi costumi sono profondamente diversi. Dal marito é tenuta in alta considerazione.

(I mariti romani al massimo, quando lo facevano, scrivevano sulle tombe della loro sposa "domum servavit". Che in poche parole voleva dire é stata una "buona servetta della mia casa").

La donna etrusca "esce" molto, ha un'importanza a livello politico e anche amministrativo, vive cioè pienamente la vita della famiglia e della società. Le donne etrusche non godono soltanto di una libertà a confronto delle donne romane, ma all'interno della società civile adempiono anche una funzione preponderante addirittura: al punto tale che ha fatto giungere a conclusioni forse eccessive, facendo parlare di vero e proprio matriarcato delle donne etrusche. A testimonianza non vi sono solo esempi storici di donne particolarmente in vista nelle vicende politiche, ma anche esempi archeologici che ci mostrano l'importanza che la donna ha nelle tombe etrusche: non soltanto nella posizione, ma anche nella scelta dell'arredamento.

Insomma la donna etrusca vive pienamente tutta l'attività intensa della società etrusca, occupando un ruolo di vero privilegio, investita quasi da un'autorità sovrana: é lei l'artista, la donna colta, curiosa delle preziosità dell'ellenismo e promuove la civiltà e la cultura del proprio paese, ed infine é venerata nella tomba come se fosse una dea. Fatto curioso è che nei ritratti dei coperchi delle urne, sono rappresentate in un realismo straordinario, non evitano di mostrare crudamente i segni della vecchiaia, la riproduzione accurata dei difetti fisici, o la bruttezza del proprio viso. (come quella presente al Museo Grandacci a Volterra). Si fanno ritrarre (si suppone ancora quand'erano in vita) fedelmente; ci tengono a rimanere se stesse; indubbio segno di un forte carattere.

 

Capitolo 7

 

Il mio oroscopo mi diceva che sarebbe stata una serata indimenticabile, la notte era bella, allegra e tranquilla; la Citta mi ha fatto fare un giro strano per poi portarmi in fine a pochi chilometri da SARTEANO . Il suo semplice vestito mi sembrava più una vestaglia , e di colore simile a quello della notte che calava. Arrivati al posto stabilito stavamo aspettando , come di consueto la Donna , con le sue ricerche. La Citta sedutasi sull'erba , la quale era illuminata dalla luna e dalle stelle, sembrandomi un materasso infinito fatto di erba sottile . Adagiandosi piano la Citta fece in modo che la sua vestaglia scivolando scoprisse parte delle sue gambe, il mio sguardo salì subito lungo le sue gambe ed il suo corpo . Ci guardammo rimanendo in quella posizione senza parlare , mentre la Donna quella sera era stranamente in ritardo, ed il fatto non ci preoccupava poi tanto.   Nel silenzio , con le nostre voci la notte cantava delle strane melodie,  poi la Citta mi prende una mano e la stringe ; ci trovammo a fare delle effusioni . La notte era quasi a metà , quando arrivò la Donna , e dopo i soliti saluti incomincio a descriverci la località "Bossitelli" , il luogo ove eravamo insieme a questo appuntamento. La Donna ci lesse i suoi appunti con un po' di delusione, e con scarso entusiasmo, perché nello stesso tempo cercava con lo sguardo di capire quali fossero i problemi della Citta. Pensai allora guardandole a quello che mi aveva detto il mio oroscopo , ma il tempo passava ed eravamo presi sempre più dalle letture , mentre la Donna con voce un po' nervosa cercava di farci capire cosa aveva trovato in questa sua tappa, di Via Inferi , appunto questa in questa località…………….

 

 

 

 

 

 

 

 

ZONA “7”

 



 

Località Bossitelli

 

Bossitelli è un Casolare a circa tre chilometri da Sarteano, sul podere c'è poco da dire, la sua posizione è molto vistosa e di gran lunga più bella di tante altre della zona, insomma un casolare di quelli che fanno gola a molti.

I suoi dintorni sono molto interessanti e suggestivi, situato accanto alla strada che porta alla Cartiera e davanti alla statale che scende a Chiusi, ha una visuale ampia e bella, sia ad est che verso sud.

Il punti di interesse archeologico sono due, uno si trova ad ovest del podere ed è un campo di circa due chilometri quadrati, dove si possono notare, subito dopo l'aratura, i segni evidenti di resti,  di un insediamento etrusco, e le classiche grandi chiazze rosse, in corrispondenza di dove sono stati devastati gli ziri durante le tante lavorazioni del terreno.

Pezzetti di mattone rosso, piccoli frammenti di vasi, sia rossi sia colorati, resti di muratura etrusca, ed altro, si possono trovare facilmente camminando e guardando  per terra.

 

 


VISTA DI UNO STRANO INGRESSO RUPESTRE “SOTTO IL GORONE”

 

Questa zona di Ziri e acquedotti sotterranei Etruschi, è stata tartassata da scavi e ricerche, lo si vede bene in alcuni punti, perché esistono segni di vecchi saggi, che con il tempo si sono riassestati.

Si possono trovare anche pezzi di coperchi di Ziri o resti degli stessi, tutto intorno all'area di questo prato. Al confine ovest dove finisce il campo, e confina con un viottolo di campagna, poggiato lì da una parte c'è un blocco di muratura etrusca in mattoni, e detriti di terrecotte sbriciolate di colore rosso.

La seconda zona, è ad est del podere, attraversata la strada che porta alla Cartiera, si trova una scarpata molto ripida in pietra tufacea di circa 3‑4 metri di altezza, che si estende da sud verso nord.

Ai piedi di questa scarpata vi sono alcune tombe d'epoca incerta, alcune scavate nella pietra ed altre costruite in basso, fra la fine della parete ed il livello del terreno, alcune invece sono ancora da aprire, e se ne percepisce  chiaramente, la loro locazione esatta..

Scorrendo lungo questa parete in direzione della Cartiera si trovano poi delle tagliature rettangolari, segno di lavorazione Etrusca e di prelievo di materiale, sicuramente anche in questo caso servito per costruzioni e tappi da tombe. Si intravedono in questo punto alcune tombe aperte per metà, in cui praticamente il lavoro di scavo non è stato portato a termine, invece altre ancora sono da aprirsi e si vedono chiaramente, calcolando accuratamente le distanze, i loro punti di collocamento a schiera.

Poco più in alto, tra il termine di un campo e l'altro, dove il confine è segnato da un muricciolo di un metro e cinquanta circa, c'è una caverna a tunnel, con l'ingresso aperto e ben visibile, dentro si può avanzare per circa cento metri, poi ci si imbatte in una frana che impedisce di proseguire la perlustrazione. Osservando le pareti interne e la formazione tufacea della conformazione di base, questa galleria o tunnel, sembrerebbe essere stata scavata dall'uomo.

La traiettoria di tale tunnel punta ad ovest, e sembra andare in direzione del Gorone, appunto, nelle vicinanze del cimitero di Sarteano.

Noi siamo convinti che questa parte di tunnel sia un proseguimento o una variante del famoso, (altro pezzo di tunnel) che incomincia dalle parti del Casolare Le Tombe. A sud del podere Bossitelli, attraversata la strada provinciale, c'è un altro casolare, su questo posto abbiamo raccolto una storia molto interessante: circa 20 anni fa, il nuovo proprietario del casolare, decise di restaurarlo, e facendo i lavori di muratura nella cantina, si rese conto che una delle pareti di tale stanza era stata costruita a mo' di tramezzo, e visto che mancavano

 


LA FACCIA DI PIETRA “DI RECENTE DANNEGGIATA DA VANDALI”

due o tre mattoni, e si poteva vedere guardando dentro con una torcia elettrica, che c'era una profonda caverna, che andava in discesa, e in direzione sud, diritto verso il podere “Le Tombe”.

Di questa caverna si sa solo che fu tappata e murata per paura della sospensione dei lavori da parte delle autorità competenti, poiché se fosse stato denunciato il fatto, sarebbero sorti vari problemi che avrebbero rallentato i lavori di restauro, della cantina del casolare.

Tracciando su carta, i punti nei quali il tunnel è stato più volte intercettato, si scopre che il tragitto è proprio come lo descrivevano gli anziani che hanno abitato nel podere “Le Tombe”.

Infatti il tunnel ha senza dubbio inizio nelle vicinanze dei podere “La Casella”, (nel punto dove abbiamo individuato delle lunghe scanalature incise sul piano di pietra, per poi passare accanto al podere Le Tombe), e  proseguire diritto, finendo sotto il podere li Castagneto, e infine l'ultimo collegamento è quello appunto ad ovest del Casolare Bossitelli, con il tunnel che va in direzione Il Gorone, finendo sotto il pianoro che si trova appunto tra il cimitero di Sarteano e lo stesso, pianoro secondo noi, che era l’antico basamento del Mausoleo di Porsenna.

Non molto distante dal podere Bossitelli, in prossimità dell'incrocio che porta alle Cantine, ed anche al podere Lo Scrogio, ci sono due magnifici esemplari di Tombe Etrusche di tipo camera in tufo al livello del terreno, scavate direttamente nella parete di roccia.

Una di queste tombe è stata usata da un uomo che coltiva il suo orto lì vicino, come ripostiglio per attrezzi da lavoro, e forse anche come pollaio.

Al di sopra di queste, si scorgono nel piano segni di vecchie tombe etrusche distrutte in parte, nel periodo in cui fu costruita la strada che scende a Chiusi. In curva, per allargare la carreggiata, è stata distrutta la parete di tufo per alcune decine di metri cubi, con la conseguente rottura delle pareti laterali della camera di alcune tombe.

A ridosso della strada statale, invece notammo per caso “la faccia di pietra” (quella nella fotografia sopra), una strana pietra lavorata che sembra voglia rappresentare una specie di teschio stilizzato. Che fosse un segno ad indicare un ipotetico ingresso, ne siamo quasi certi, li dietro quella roccia potrebbe esserci una camera tombale, visto che sia il tipo di materiale, che lo spazio, e la posizione, confermerebbero positivamente tale supposizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CENNI STORICI:      PORSENNA ED I MONUMENTI:

Possiamo perfino chiederci se esistesse ancora qualche cosa ai tempi di Varrone: è vero che il tratto citato è scritto al presente, ma la notizia rimanne incompleta, secondo Plinio, perché Varrone ripugnò - puduit ad indicare l’altezza delle piramidi più elevate, come se seguisse fonti di cui non si sarebbe veramente fidato, senza possibilità di verificare sul posto. E Plinio ricorda fabulae Etruscae per trovare la precisazione sulla quale conclude la descrizione del monumento, di cui affermava sin dall’inizio la fabulositas. Lo scetticismo dei due antiquari è abbastanza giustificato dalla sparizione di una costruzione alla quale la tradizione attribuiva dimensioni considerevoli: una base quadrata di 300 piedi di lato per un’altezza totale di 600 piedi, cioè in misure moderne: 88,8 metri su 177,6 metri cifre che sembrano troppo elevate per i mezzi tecnici dell’epoca. Inoltre, queste stesse cifre, che suppongono un modulo di 5 piedi e dei rapporti precisi fra tutte le parti del monumento indicano in qualche modo un’opera ideale, qualcosa come un esercizio scolastico, perfino un modello teorico che non sarebbe stato effettivamente costruito. Rimane comunque un punto della descrizione del monumento che sembra importante, mentre è più o meno trascurato dai “ricostruttori”: tutti si sforzano di ritrovare la disposizione delle piramidi su parecchi livelli, con piattaforme che le collegano e gli accessori, dischi o gugliette, che le sormontano, ma ben pochi si preoccupano dell’ interiore della base stessa del monumento, del cosiddetto labirinto che avrebbe contenuto e che giustificherebbe il nome dato all’insieme. E’ vero che la parola erudeie sembra a volte indicare un monumento importante di pietra, senza che ci fosse necessariamente dentro un percorso labirintico nel senso stretto che diamo oggi a questo termine. Perfino nell’elenco dei quattro labirinti che da’ Plinio, è chiaro che almeno uno, quello che si colloca a Lemmo – ma che doveva trovarsi piuttosto a Sammo non comportava nessun percorso completo, ma solo un insieme di cento cinquanta colonne perfettamente equilibrate: Eppure nel caso del monumento di Chiusi Varrone insiste sulla presenza di un vero labirinto inextricabilis, che si ritrova in un Virgilio, nella descrizione del labirinto cretese figurato sulle porte del tempio di Apollo a Cuma; poi parla della necessità di utilizzare un filo per dirigersi dentro, ciò che non può non far pensare al filo dato da Arianna a Teseo. Questo labirinto è un labirinto quadrato. Sappiamo che le monete di Cnoso rappresentano quello che sembra essere la pianta del labirinto cretese, il più spesso sotto la forma di un disegno quadrato, ma almeno una volta sotto la forma di un disegno rotondo. Nella stessa Etruria, l’oinochoe di Tragliatello, presenta un labirinto di forma rotonda, abbastanza grossolano. In quanto alla ricercasul territorio, si è potuto credere un tempo che la sepoltura del re etrusco fosse stata ritrovata nel tumulo di Poggio Gaiella , esplorato nel 1841, poi è stato capito che i corridoi sotterranei che collegano le diverse camere funerarie fossero probabilmente opera di tombaroli e non potessero dunque rappresentare i passaggi di un labirinto antico. E’ certo possibile supporre che codesto tumulo sopportasse la costruzione descritta da Varrone, ma l’ipotesi e perfettamente gratuita. In realtà il problema della localizzazione esatta del labirinto toscano si poneva già a Plinio, poiché non c’èra più nessuna traccia nel suo tempo, come per il labirinto cretese. Si dice che Papa Pio II, recandosi al congresso di Modena nel 1459, e passando per Chiusi, cercò il labirinto che Porsenna, re leggendario della città, avrebbe fatto costruire come sepoltura: l’interesse archeologico per questo monumento non è dunque cosa nuova! Ma di questo sepolcro sappiamo solo quello che ci fornisce una testimonianza indirette di Varrone, trasmessa da Plinio, che l’ha completata con dati presi, secondo le sue parole, dalle fabulae Etruscae. Parole di Porsenna junior : Uscii dalla Città e scesi nella valle lungo il sentiero da cui un tempo ero venuto. Io non scelsi la strada facile, che conduce alla montagna sacra, quella usata dai tagliapietre, bensì la Scala Santa fiancheggiata dai pilastri di legno dipinti… In silenzio oltrepassai l’ingresso alle tombe segnate dai tumuli di pietra e prima di toccare la vetta, mi imbattei anche nella Tomba di mio Padre. Dinnanzi a me, in ogni senso, si stendeva vasta la mia terra con le sue fertili vallate e le sue boscose colline. A settentrione luccicavano le acque azzurro cupo del mio lago, a occidente si levava il cono tranquillo ch’è la montagna della dea, dirimpetto si stendevano le dimore eterne dei trapassati. A parlare così è il protagonista: Turms. Figlio di Porsenna. La terra descritta sembra essere esattamente la zona compresa tra Chiusi e Sarteano. Il lago a nord, il cono tranquillo che è la montagna di Cetona ad ovest; le strade usate dai tagliapietre, e cioè le vie cupe, “Via Inferi” che portavano dalla cava di travertino di Sarteano “Pianacce”, a Chiusi; la valle con le tombe dei trapassati, “Costolaie San Giuseppino”. Il figlio di Porsenna dice di essersi imbattuto nella tomba del padre, che evidentemente non era così imponente. Ma si trovava li tra la montagna sacra e la sua città “Chiusi”. Anche Turms si fa poi seppellire nello stesso luogo. Questa sarà la mia sepoltura, scavatela nella montagna e ornatela come si addice al mio stato. Il Tesoro Di Porsenna: II tesoro nascosto più antico d’Italia è certamente quello del re etrusco Porsenna, che risale al V secolo A. C. «Non c’è popolo europeo ha scritto Werner Keller, autore fra l’altro del famosissimo La Bibbia aveva ragione che sia stato maltrattato quanto gli etruschi, ne popolo la cui eredità sia stata così sistematicamente distrutta. Come se la posterità si fosse ripromessa di spegnere ogni traccia del ricordo di una nazione che un tempo scrisse con la sua azione pionieristica il primo grande capitolo della storia dell’Occidente». Questo antichissimo popolo italico si e lasciato dietro un alone di mistero e una fama poco invidiabile. Venuti non si sa da dove e nascosti dietro una lingua indecifrabile, gli etruschi sono stati presentati per secoli attraversò tutta l’età classica come una razza di pirati crudeli, adoratori di dei infernali, superstiziosi cultori di un’arte divinatoria spinta sino al limite della follia, e incalliti libertini dediti ai piaceri più smodati. Solo negli ultimi decenni questo quadro è stato smontato pezzo per pezzo egli etruschi, provenienti con ogni probabilità dall’Asia Minore, hanno riassunto il loro vero volto di popolo civilissimo, dedito ai commerci marittimi ne più ne meno dei fenici e dei greci; inclini ai presagi offerti dai fenomeni naturali come tutti i popoli antichi; e colpevoli del solo reato contro la morale di ammettere ai loro conviti anche le donne, contrariamente ai pregiudizi misogini del mondo ellenico. Anche il mito della lingua misteriosa si è andato sfaldando seppure a fatica per lasciare il posto a testimonianze non tanto indecifrabili, quanto indecifrate, e soprattutto difficili da interpretare ai fini di un’esatta comprensione di quella antica cultura. Una cosa però è quasi certa: Roma nasce etrusca, fondata non dal suo eponimo Remolo ma dal terzo dei suoi mitici re, Tarquinio Prisco, un etrusco poi seguito da altri due sovrani della stessa origine, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. L’ultimo re di Roma il Superbo, appunto viene cacciato attorno al 500 A. C. e significativamente va a cercar rifugio proprio presso quel popolo che amava chiamarsi Rasena ma che i greci avevano ribattezzato Tyrsenoi, o Tyrrenoi; e i latini Tusci, o Etrusci. Ed è a questo punto che entra in scena il nobile (/ora) Porsenna. L’Etruria si stendeva dall’attuale Lazio settentrionale a tutta la Toscana e parte dell’Emilia Romagna. Non aveva una struttura centralizzata, ma si basava su una serie di città-stato rette da re sacerdoti, detti lucumoni, e confederate nella cosiddetta Lega dei 12 popoli. Uno dei centri principali era Clausium, cioè Chiusi, il cui lucumone Porsenna non si limita ad accogliere il re fuggiasco, ma decide di muovere guerra a Roma. La leggenda pone sulla strada del re etrusco due eroi destinati a fama imperitura: Muzio Scevola, che dopo aver fallito un attentato contro la vita del lucumone decide di castigarsi da solo stendendo la mano su un braciere ardente; e Orazio Coclite, l’orbo impavido che da solo riesce a bloccare l’esercito nemico nel mezzo di un ponte sul Tevere. Gloriosi episodi individuali che, come spesso avviene, serviranno agli storici della Roma imperiale per abbellire la sgradevole realtà di un’occupazione meno militari della Città Eterna. Ma Porsenna, una volta padrone di Roma, non rimette sul trono Tarquinio il Superbo; e cosi gli etruschi dopo aver fondato l’Orbe diventano anche i padrini di quella Repubblica che poco a poco diventerà la massima potenza del Mediterraneo per oltre quattro secoli prima di cedere il passo all’Impero dei Cesari: un nuovo astro sorge, mentre il predominio etrusco s’avvia al tramonto; e fora Porsenna, saggiamente, opta ben presto per far ritorno a Chiusi dove morirà poco più tardi. La tomba del lucumone è imponente, come si addice a un personaggio di tanta rilevanza storica e leggendaria. Scrive Plinio il Vecchio nel I sec. A. C., citando Varrone: «II re Porsenna giace sepolto nel sottosuolo della città di Clusium, sotto un monumento di pietre squadrate, largo 300 piedi e alto 50. Le fondamenta rettangolari e uniformi celano un intricato labirinto dal quale nessuno può trovare uscita senza un filo d’Arianna. Su queste fondamenta si alzano cinque piramidi, quattro agli angoli e una al centro. Sulla cima, ognuna reca un disco di bronzo da cui pendono campanelle appese a catene che lungamente risuonano a ogni alito di vento». Plinio non parla del tesoro, ma è noto che gli etruschi con il loro culto della vita nell’oltretomba usavano riempire le estreme dimore dei personaggi più importanti di preziosa oreficeria, come è dimostrato dai vari ritrovamenti succedutisi nel tempo: lamine d’oro a Pyrgi, collane e fibule a Vulci, monete d’oro e d’argento a Populonia; e poi scarabei di pietre dure, bronzetti votivi, anfore, ceramiche, canopi dalla testa d’animale. Nel corso dei secoli la caccia al tesoro etrusco è sempre stata di moda. A cominciare dal re ostrogoto Teodorico che nel V secolo d. C. statuiva: «È conforme all’uso tradizionale restituire all’utilizzazione umana i tesori che giacciono sotto terra e non lasciare ai morti ciò che può ancora servire ai vivi. Onde noi ordiniamo di iniziare ricerche affinché l’oro e l’argento vengano portati alla luce del sole, rispettando solo ciò che serve ai morti, come le ceneri custodite nei mausolei e le colonne che ornano le tombe, mentre non è disdicevole sottrarre l’oro che non ha più padrone...» Da allora attraverso i secoli bui, il Medio Evo e il Rinascimento il saccheggio delle tombe etrusche è continuato senza interruzione, restituendo all’utilizzazione umana, come pudicamente si esprimeva Teodorico vere e proprie montagne di oro lavorato e di gioielli. La ricerca diventa sistematica nell’800, a opera soprattutto dei principi Torlonia, proprietari di vasti domini presso Vulci, che si circondano di archeologi ed esperti, come [’incisore francese Alphonse Francois dotato di un fiuto straordinario e destinato a diventare famoso per la scoperta presso Chiusi, nel 1845, del vaso che ancor oggi porta il suo nome. Ma neanche il naso di Francois è sufficiente per rintracciare la famosa ‘tomba di Porsenna e il mitico tesoro Che secondo le leggende, vi sarebbe contenuto. Certo, le imponenti cinque piramidi di cui parlava Varrone con i dischi di bronzo e le campanelle che tintinnano al minimo soffio di vento non ci sono più: ma Chiusi, l’antica Clausium, deve pur ospitare da qualche parte il rifugio ipogeo del suo lucumone più famoso. Per molto tempo le speranze si sono volte verso il Poggio della Gaiella, 6 chilometri a nord di Chiusi, dove era stato scoperto un immenso tumulo con una circonferenza di 250 metri, subito euforicamente battezzato la ‘tomba di Porsenna. Sotto si apre un vero e proprio labirinto con cunicoli e loculi disposti su tre piani, che hanno fatto naturalmente pensare alla descrizione di Plinio il Vecchio. Oltre cento anni di scavi, però, non sono serviti a riportare alla luce alcun elemento che potesse confermare la speranza di aver finalmente messo le mani sull’estrema dimora del lars dopo ben venticinque secoli: e si è scoperto invece che il sottosuolo dell’odierna Chiusi e tutto una ragnatela di gallerie, in parte franate, di epoca pre romana. Un’altra vampata di entusiasmo si è accesa alcuni anni fa, quando proprio nel centro storico, sotto la piazza del Duomo, è stato scoperto un grande vano, sorretto da un pilastro e con le pareti ricoperte di travertino. La ‘tomba di Porsenna ? La sala ha però condotto soltanto a un nuovo labirinto che si è rivelato deludente quanto quello di Poggio della Gaiella. Il cosiddetto ‘mistero etrusco ha anche eccitato la fantasia di gruppi esoterici che a decine si sono dedicati all’impresa di stabilire un contatto, più o meno astrale, con gli spiriti. Questa è una delle leggende etrusche di cui si è conservata memoria. Plinio il Vecchio narrando del comportamento dei fulmini, riporta una storia etrusca secondo la quale un fulmine fu evocato dal re Porsenna per distruggere il mostro Olta che minacciava la città di Volsinii. Qui un animale mostruoso dalla testa di lupo viene spinto dentro un puteale, cioè una struttura simile ad un pozzo, che veniva costruita attorno ai luoghi colpiti dalle saette: erano delle vere e proprie dei fulmini. Scoperto il mausoleo di re Porsenna? Ciò che rimane della tomba del re etrusco Porsenna, il lucumone (O. magistrato con supremo potere civile, militare, religioso) vissuto nel VI secolo avanti Cristo e che riuscì anche a espugnare Roma, si troverebbe in un pianoro di ventisei ettari a est di Sarteano, nel cuore dell’Etruria, e non a Chiusi (dove il sovrano nacque), come ritenuto in prevalenza dall’archeologia ufficiale e soprattutto dallo storico latino Varrone. A sostenerlo è l’architetto Angelo Vittorio Mira Bonomi dice in un volume di oltre centoquaranta pagine corredato di foto, schemi e disegni, spiega come il monumento non sarebbe una semplice tomba, ma un santuario-mausoleo ben più grande, che per dimensioni e caratteristiche non poteva assolutamente poggiare sul terreno sedimentario di Chiusi, ma soltanto su un basamento roccioso come appunto è il pianoro. Secondo Mira Bonomi, il mausoleo sarebbe stato composto da un blocco quadrato di quasi ottantanove metri per lato, sormontato da cinque piramidi, quattro ai lati e una al centro, alte ciascuna circa quattro metri. Sarebbe stato costruito in travertino locale, legno e bronzo e per portare a termine l’opera, una costruzione del tutto degna delle piramidi egiziane, gli operai avrebbero impiegato, secondo le ipotesi dell’architetto, ben undici milioni di ore lavorative. E certo comunque che la tomba di Porsenna è da secoli al centro dei pensieri e delle fantasie degli studiosi di tutto il mondo, ma in realtà non è mai stata nemmeno lontanamente individuata. Nel cuore del mausoleo, secondo gli scritti di Var-rone e di Plinio il Vecchio, sarebbe anche nascosto un grande tesoro ed è proprio questo particolare a destare maggiori preoccupazioni: si teme infatti che alla caccia “ufficiale” al monumento si affianchi anche quella illegale dei “tombaroli”. ORIGINI - Degli Etruschi si sa ancora ben poco, ed i testi sui quali oggi si basa la storia di questa civiltà risalgono all'antichità greca e romana. Erodoto il grande storico greco offre una ricostruzione sulle origini, ma gli Etruscologi e gli archeologi tendono oggi a limitare fortemente la sola interpretazione di Erodoto; una teoria la sua, diffusissima fra tutti gli scrittori classici. Il suo racconto sembra risentire troppo dai miti e delle favole, che nell'antichità tendevano a far dipendere l'origine e la nascita degli Etruschi, questo popolo occidentale, da una migrazione venuta dall'Oriente, dalla Lidia, a seguito di una grave carestia in epoca mitica, e cioè poco dopo la guerra di Troia, guidata da un grande condottiero: Tirreno. Dionigi Alicarnasso discutendo la tesi di Erodoto formulò un'altra ipotesi: quella dell'origine autoctona degli Etruschi; mentre Livio in un discusso passo ha accreditato una terza teoria, di una provenienza settentrionale di questo popolo, di cui i Reti e altre popolazioni alpine sarebbero le spoglie. Avevano ragione in parte tutti e tre anche se le loro tre teorie sono errate. Infatti, una certa resistenza all'origine solo orientale, é motivata dalle difficoltà in cui oggi si trova l'archeologia, di vedere nel continuo sviluppo un concatenamento delle civiltà che si sono succedute nell'Italia centrale, non con una frattura abbastanza decisa e netta; quindi non solo il frutto di un "solo" popolo straniero emigrante. Per molto tempo si è pensato di poter collocare questa frattura intorno al 800 A c, nel momento in cui, cioè questa civiltà che viene dall'Oriente, sostituisce la civiltà preesistente nel territorio italiano; civiltà quest'ultima, chiamata "Villanoviana" perché fu identificata e definita la prima volta in un paese chiamato Villanova, nei pressi di Bologna. Si é scritto (citando Livio X, XXXIII) che gli Etruschi fondarono Bologna (Felsinea), Modena, Piacenza, Ravenna, Spina e Mantova, mentre invece sappiamo oggi che queste località erano già abitate. Bologna aveva un importante insediamento nell'area dell'attuale centro storico. Un grande comprensorio a macchia d'olio che attorno all'anno 1000 a.C. si era saldato e stabilizzato; vi si praticava la metallurgia, l'artigianato e una larga trama di commerci, quindi già un importante capoluogo della civiltà Villanoviana (autoctona) anche se con moltissimi influssi dell'area mediterranea (attraverso Adria e Spina) e con quelli settentrionali, padani e subalpini, prima dell'arrivo degli Etruschi. I palafitticoli, abbandonate le valli alpine e la stessa Pianura Padana, vi erano già arrivati con la loro ricca cultura intorno al 1300 A. C. Non molto distante, a Est, c'era un grande centro dei "palafitticoli"; e nel Veneto di insediamenti se ne contavano parecchi, a Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, e.... dove sorgerà in seguito (gli unici rimasti fedeli a questo tipo di abitazione) Venezia. Anche i Galli Boi, nella metà del secolo IV, del capoluogo emiliano ne rivendicarono la fondazione (chiamandola Bononia). Altrettante pretese avanzarono i Romani nel 191 a.C. che vi dedussero una colonia nel 189 A. C.. (Insomma tutti operavano come Pissarro e Cortes in America, portandovi, loro assicuravano, la "civiltà"! E spesso cambiavano nome nel luogo dove arrivavano). Oggi i recenti e continui progressi della ricerca archeologica, hanno portato gli studiosi a poter concludere che tra le tesi dell'origine orientale e dell'origine autoctona degli Etruschi non c'è un vero e proprio contrasto; ci si va sempre di più orientando in una risoluzione più equilibrata del problema. Si deve cioè concludere che se elementi orientali sono giunti sulle coste tirreniche, questi (poco importanti numericamente) non hanno modificato in modo sensibile e profondo gli insediamenti della civiltà delle popolazioni preesistenti. Infatti, le basi della civiltà villavoviana trovano nella civiltà etrusca uno sviluppo di certe sue caratteristiche essenziali: ma non viene superata né tanto meno distrutta dagli Etruschi, bensì in una forma, spesso non manifestata (altezzosamente quella etrusca) da entrambe le due civiltà, sviluppata ed ampliata. Così sviluppata e ampliata la autoctona che sarà questa a distruggere l'altra. Il problema che non era stato risolto fino a pochi anni fa, era invece la lenta comparsa (1800-1500 a.C.) e la successiva improvvisa scomparsa (1300 a.C.) dei palafitticoli; prima nei laghi alpini, poi nella Pianura Padana. Una civiltà questa che si pensava fosse giunta dal centro Europa. Invece oggi sappiamo che era scesa dalle Porte di Ferro (confine Jugoslavia-Bulgaria-Romania), anche questa proveniente dall'Oriente da dove era partita risalendo il Danubio; ma emigrata dalla Tracia mille anni prima, e in alcune zone, duemila anni prima che emigrassero gli Etruschi dalla Lidia e approdassero in Toscana. Questo popolo (noto anche come cultura detta dei "Campi di urne") prima occupò le Valli Alpine e Prealpine, poi scese nella pianura Padana, in Emilia, infine intorno al 1100-1000 a.C. in Umbria e nel Lazio. Nell'area dove Romolo farà sorgere Roma nel 753, alla base del Palatino, sono state rinvenute inumazioni con il sistema della pratica incineratoria (sconosciuta ai latini dei Colli Albani) databili 1100 A. C. - E anche più antiche, del 1500 a.C. che fanno pensare che i palafitticoli (questo popolo silenzioso e fantasma, ma con una grande cultura) vi si erano già spinti quattro secoli prima. (Vedi Fondazione di Roma) Dai dati linguistici (molto compositi ed eterogenei, la cui documentazione é attinta da materiali ed epoche diverse, d'altre età e aree) e dalla documentazione archeologica si ricava un'organica e logica sequenza di fenomeni culturali, in cui é difficile, se non impossibile, fissare dei paletti, delle pause, alle quali attribuire il valore di un salto qualitativo storico proprio di una sola migrazione orientale (Teoria di Erodoto). E sulla base dei dati storici culturali, linguistici e archeologici sono da respingere sia quella autoctona (teoria di Alicarnasso) sia quella di origine settentrionale (teoria di Livio). Più semplicemente quella Etrusca, va intesa come una migrazione avvenuta da diverse direzioni e in tempi diversi, ma sempre con un'unica origine orientale. I palafitticoli del Nord, come a Costanza o a Ledro (TN) ecc., 1000 anni prima, avevano con se moltissimi oggetti della cultura Tracia Micenea, e altrettanto portarono con sé quelli sbarcati poi in Toscana, ma portandosi dietro la cultura Micenea di mille anni dopo, già assorbita ed evolutasi in quella Pre-Ellenica. (1000-800 A. C.) Che i Tirreni Etruschi provenissero dal mar Egeo non ci sono più dubbi. La scoperta a Lemno di una iscrizione in lingua pre-greca (arcaica- Fenicia 1 - origine 1519-1220 A. C.) ha messo in luce, strettissime e indubbie affinità, fra quella lingua e quella etrusca. E l'isola di Lemno (nomo di Lesbo) era abitata da un popolo originario della..... Tracia. (!!! attenzione a questo nome - apparirà spesso - nulla a che vedere con la storia della Tracia Romania Romana) In Tracia (lo sappiamo da pochissimo tempo) sembra sia esistita una grande civiltà millenaria, anteriore a quella Sumerica. Qui del resto non molti anni fa, sono state rinvenute le Tavolette Tartarie e i primi sigilli rotondi sumerici-babilonesi-egiziani; e sembra che proprio qui i Sumeri scoprirono l'arte della scrittura. E forse i Fenici in seguito a contatti con i Traci nacque loro l'idea dell'Alfabeto. La lettera N della Tracia del 3500 a.C. sarà un caso che in sumero, in egiziano, in fenicio, in etrusco, in greco, in latino, é sempre uguale? Le Tavolette Tartarie hanno rimesso in discussione l'origine della scrittura; un giallo, perché sono state trovate dove non ci dovevano essere. E insieme a queste molti altri oggetti e tesori che hanno sconvolto il mondo archeologico. Sembra proprio che la preistoria Europea sia nata qui, in Tracia. Una civiltà quella della Tracia, che all'epoca delle conquiste romane era del tutto scomparsa. I Greci l'avevano cancellata. Anche se 4000 anni prima avevano fondato Troia, erano stati i primi a sbarcare a Creta mille anni prima della civiltà minoica (il toro, il Taurus era un culto Trace!), avevano creato quasi tutti gli dei greci (Zeus in Trace significa Dio, e Dionisio suo figlio nysos in Trace significa giovinetto; Lo stesso Orfeo e l'orfismo era Trace. Il mitico Monte Olimpo era Trace, perché posto al confine dell'antichissimo territorio Trace. I Greci si impossessarono oltre che del territorio anche di tutto la mitologia della Tracia. Molti, ancora oggi, credono che la mitologia greca sia greca, invece é della sconosciuta Civiltà Tracia. Quando i Greci fondarono sul Mar Nero, Apollonia nel V sec. a.C. eressero una statua alta tredici metri (scultore Calamide) in onore del dio Trace affinché proteggesse la... Grecia; e quel dio era Apollo onorato in Tracia 2000 anni prima di quello greco (ritrovato a Dupljaja nel Banato) ecc. ecc. Poi se ne impossessarono. Cosi la dea Cibele, era la dea delle fertilità Trace (famose le statuette dalle grosse mammelle) Se rileggiamo Omero (Iliade) scopriamo che accenna a Reso, come al mitico Re Trace, elogia l'elevato grado di civiltà della sua tribù, e resta affascinato dal suo cocchio e l'armatura d'oro puro e del suo cavallo più bello del mondo. A Varna ultimamente è stato scoperto qualcosa che dà ragione ad Omero. In Tracia ancora nel 3200 a.C. sguazzavano proprio nell'oro. Vale a dire duemila anni prima di Reso. Monili d'oro a 24 carati a chili, gli scettri e i gioielli a lamine d'oro come la maschera di Agamennone li avevano già fatti mille anni prima che sorgesse Micene e Troia. E sappiamo oggi dov'era il famoso (tenuto sempre segreto) "forziere" di Traiano nel periodo più opulento di Roma: le miniere d'oro tra la Tracia e la Dacia. E se rileggiamo anche Erodoto, narra di un popolo con ottime regole e organizzazione sociale, dove ogni famiglia disponeva di una propria casa, che dimorava sui laghi, le cui belle abitazioni non in paglia ma in tavole unite, sono costruite in mezzo all'acqua sopra alti pali. Il popolo - lui che scriveva nel 470 A. C. - li chiama "Antichi" Peoni; la zona è il lago Prasia (oggi lago Takiros); il territorio la Tracia. Di questi villaggi ne sono stati oggi rinvenuti circa 350. Databili 4000 A. C. Sappiamo così da dove veniva l'architettura palafitticola identica a quella delle valli alpine, e chi erano e da dove veniva la cultura dei popoli dei Campi d'Urne.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 8

 

Quella notte la Citta sembrava strana, allora la Donna gli chiese di confidarsi dei suoi problemi con noi, visto che siamo suoi amici e poteva fidarsi di noi. La Citta da prima rimase in silenzio, poi ci disse: "Vedete Citti io prima non avevo avuto mai nulla di mio, neanche un segreto , da prima la mia era solo voglia di una scappatella , con un po' di avventura , ma poi la cosa è diventata continuativa , ed adesso sento il desiderio di fare di quel Citto il mio uomo, in oltre ho incontrato una Donna che riesce a farmi sentire serena al punto che non capisco più se questo è un sogno , o la realtà". Io e la Donna ascoltavamo in silenzio, ma con un pizzico di felicità , e nello stesso tempo ci preoccupavano le parole della Citta. Continuando il suo discorso poi la Citta ci disse: "Alcuni giorni fa' ho fatto un sogno, nel quale stavamo scrivendo insieme un libro sugli Etruschi , il bello è che il mattino seguente mi sono messa a scrivere tutto quello che avevo sognato durante la notte". Così subito dopo averci raccontato il fatto del sogno, aprì la borsetta e ci diede alcuni fogli , ed io la invitai a leggerli, anche per il fatto di non farla sentire in minoranza rispetto alla Donna , che era molto brava a scrivere. Il suo sogno praticamente era un libro e diceva così: Avendo intrapreso l'iniziativa di produrre un libro, o documentario, che parla delle zone Etrusche del paese di SARTEANO ,  abbiamo fatto delle ricerche sui luoghi e le zone da trattare. Assieme ad un esperto delle zone di SARTEANO , siamo andati in alcuni dei luoghi in argomento di persona. Il luogo in questione si trova in uscita dal paese andando in direzione di Cetona in un punto dove esistono alcune tombe etrusche già profanate . Tutte le ricerche fatte su questo punto in particolare , ci portano a pensare che accanto a questa enorme costruzione sotterranea , ce ne sia una altrettanto mastodontica ed interessante , presumibilmente si tratta della tomba del Re PORSENNA per lungo tempo ricercata da tanti esperti , e scrittori di ogni genere. Mai scoperta prima d'ora da nessuno perché non sono stati collegati bene , fatti e misure oltre alle antiche scritture dei libri esistenti. In breve il nostro luogo si loca a metà strada in linea d'aria tra Chiusi e la Solaia . Il punto dove cercarla è alla sinistra della grande Tomba di famiglia di S. Giuseppino, profanata nel dopoguerra , secondo gli anziani della zona dai soldati Tedeschi. A circa tre metri a sinistra quindi con le spalle rivolte a sud, sotto i nostri piedi si trova questa imponente Tomba , recante all'interno cinque stanze di quindici metri cubi di grandezza ogni una, dove presumibilmente si trovano i tesori del Re PORSENNA. Ogni stanza funebre ha un ingresso di circa tre metri di altezza e un metro e mezzo di larghezza. Entrando nelle stanze laterali, (le prime due) si trovano armature e cimeli in oro e bronzo di proprietà dei due personaggi più vicini al Re in vita. Nelle due stanze più avanti le tombe dei familiari stretti del Re , con tutti i loro beni in oro posseduti durante la vita. In fine la camera centrale , di fronte a noi a circa otto metri sotto il livello del terreno, è la tomba del Re : con all'ingresso un Cocchio e i suoi rispettivi cavalli a grandezza naturale (scala 1 a 1 ) tutto in oro massiccio, con una qualità di decorazioni in diamanti di valore inestimabile. In fondo alla stanza principale il Sarcofago reale, in oro e bronzo, con tutte intorno (a grandezza naturale) delle galline e i loro pulcini , in oro pieno. SARTEANO non è mai stato preso seriamente in considerazione , come per esempio Chiusi , che con le sue 10 tombette è stato invece descritto e elogiato in molti libri. SARTEANO invece ha  circa otto zone con necropoli Etrusche , e ci sono più di mille tombe Etrusche profanate visibili. Per questo motivo abbiamo deciso di scrivere e rivelare a tutti che SARTEANO e importante , ed abbiamo nello stesso tempo scoperto il segreto del famoso Re PORSENNA. In conclusione noi speriamo solo che certe ricchezze non vadano a finire come di solito in mano ai Tombaroli , e poi portate chissà in quale paese d'Europa. Appena la Citta finì di leggere il racconto del suo sogno, gli dissi: "Bene, molto interessanti, non gettarli via, può darsi che un giorno li potremmo usare veramente per scrivere un libro". Dopo una breve pausa , la Donna ruppe il silenzio ed iniziò a descriverci la località  Castolaiole  con molto orgoglio , e noi sempre più appassionati ascoltavamo con attenzione ed interesse…………..

 

 

 

 

ZONA “8”

 

 

 



 

Località Castolaiole

 

Castolaiole o Le Costolaie, è una zona molto vasta. Ci s'arriva da una strada sterrata che ha inizio lungo la statale che porta da Sarteano a Cetona, dopo i primi 2 Km di discesa, sulla nostra sinistra. Ci si può arrivare anche facendo la Strada Antica, via degli Inferi (o via cupa), e passando accanto al Podere Le Pianacce, questa piccola strada è chiamata anche Strada di S. Giuseppino, nome derivato da un piccolo tabernacolo con una foto di "S. Giuseppe" all'interno.

Per quanto riguarda il Podere Le Pianacce c'è una storia interessante, raccontataci da un suo vecchio abitante: a quest'uomo è capitato più volte questo fatto, tornando a casa la sera per cena, dopo essere stato a lavorare nei campi.

Erano circa le 19, quel giorno, l'uomo stava tornando a casa salendo la vecchia via cupa che porta fino a davanti il Podere Le Pianacce, ad un certo punto intravide la figura di una persona che lo aspettava in cima alla salita; quando però lui si avvicinò a questa figura, lei si spostò in direzione dei capanno dei fieno, poco distante dal casolare.

L’uomo allora, incuriosito, seguì questa figura che sembrava lo volesse guidare in qualche punto dietro il capanno ed infatti, arrivato all'angolo sud‑est del capanno, la figura si fermò e con la mano destra puntò l'indice verso il basso, in un punto del terreno a pochi metri dall'angolo del capanno stesso.

Subito dopo la figura sparì fulmineamente, come se si fosse dissolta nell'aria, l'uomo si ricorda bene tutti i particolari, la sera era luminosa e ci si vedeva molto a causa del chiarore della luna che illuminava la zona, quindi non si può trattare di un effetto ottico o altro.

La cosa continuò a ripetersi per tre o quattro volte, sempre nello stesso modo, e la figura sempre nello stesso posto, indicava ogni volta lo stesso punto.


IMMAGINE DI UNA TOMBA ETRUSCA A DROMOS L’ULTIMA A SINISTRA DEL PIANORO

 

Al contadino dopo un po' di giorni venne un'idea: "Scaverò una fossa in quel punto, vi pianterò un noce, e così controllerò cosa c'è lì sotto, nel punto indicato da quella strana figura".

Infatti il giorno dopo l'uomo prese gli attrezzi e incominciò a scavare dietro il suo capanno del fieno, a circa un metro di profondità, il piccone picchiò su qualcosa di diverso dal terreno; egli allora pulì bene la parte e si rese conto che si trattava di un coperchio rotondo di materiale rosso simile a quello dei mattoni.

Era il coperchio di uno Ziro, non c'era dubbio. Il contadino volle completare la sua opera, e scavò più in profondità aggirando lo Ziro, per poter poi aprirlo meglio e controllare il suo interno.

Alzato il coperchio, capì subito che la cosa era più importante di quanto lui avesse immaginato, infatti all'interno dello Ziro (che in questo caso fungeva da salvadanaio), vi erano monete in bronzo Etrusche, ben conservate e molto belle.

Allora, ricollegando i fatti, l'uomo capi che quella figura gli stava indicando il punto dove si trovava una fortuna.

Tutto questo è quello che sappiamo e che ci è stato raccontato, ma la verità quale sarà? Questi fatti, simili ad altri di molti anni fa accadevano frequentemente, e non possiamo nemmeno dire che il racconto sopra citato fosse l'effetto dei buon vino genuino di campagna, poiché quell'uomo era astemio. Fino a pochi anni fa il podere Le Costolaie era disabitato, potevamo tranquillamente aggirarci nei dintorni, poi ne è entrata in possesso un'associazione cattolica, e vi è stato istituito una comunità di riabilitazione per ex tossicodipendenti.

Ci sono una ventina di ragazzi o forse più, in quella comunità, i quali fra le altre cose, sono riusciti a riordinare ed a rendere bellissimo quello che prima era un podere abbandonato e tetro.

Nel 1920 in questa zona venne scoperto dai F.lli Morgantini, un tempio oggi non più visibile, del secondo secolo a.C., fatto confermato dagli oggetti ritrovati, cioè: una testa con busto di figura femminile, di 26 centimetri; un frammento di altorilievo con le gambe rotte all'altezza del ginocchio; tutti i frammenti erano ricoperti da un sottile strato di stucco.

Poco distante dal casolare, in località Le Pianacce, venne ritrovata dalla Soprintendenza nel dicembre del 1954 una tomba a camera con Dromos scavato nel travertino, di metri 6,70 di lunghezza, e circa I di larghezza.

La camera, anch'essa scavata, si trovava sotto un rialzo di roccia a fianco di un muretto a secco, la pianta della tomba di tipo rettangolare (m. 3,75 x 3,05), è decentrata rispetto alla porta (in. 0,45 x 1,52 al centro e 1,40 ai lati), il pavimento è più basso della soglia d'ingresso di circa 15 cm., e inclinato verso la parete di fondo, così come il soffitto, alto m. 1,85.

All'interno furono rinvenuti vari frammenti di bucchero pesante, un frammento di ceramica attica e figure nere, 7 monetine di sottile spessore, in argento. L'epoca della tomba è da attribuirsi sicuramente al periodo arcaico.

 

 


TOMBA CHE SERVI’ COME ABITAZIONE E RIFUGIO

 

Sempre in località Le Pianacce, nel maggio del 1954 venne scoperta una tomba del IV secolo a.C., di tipo a camera scavata nel travertino, con quattro celle disposte all'estremità di un Dromos, lungo 27 m. All'interno vennero ritrovati frammenti di 2 Kylikes a figure rosse, e frammenti di 2 coppe a vernice nera con delle palmette impresse ed inoltre un dado di alabastro.

A pochi metri da questa zona, accanto alla "Chiesina dei Bel riguardo", ormai sconsacrata fu rinvenuta nel 1880 una tomba di epoca Ellenistica, con all'interno tegole e urne pertinenti alla famiglia dei Teta e accanto ad essa un'altra tomba a camera del VI secolo a.C., con all'interno dei frammenti di Neckamphora a figure nere e una parte di vaso a figure rosse.

Sempre qui nell'anno 1880 venne scoperta un'altra tomba, di epoca Ellenistica, con tegole e urne iscritte sempre pertinenti alla famiglia dei Teta.

Ma la parte più interessante di questa zona è quella in alto, proprio vicino al Tabernacolo di S. Giuseppe, la quale veniva chiamata dai contadini "Alcova".

Si tratta di un altopiano con a sud un precipizio in pietra e tufo duro a spugnosità fitta, vi si gode un panorama molto bello, sul bordo, in cima al precipizio. Qui si trovano le prime Tombe Etrusche, percorrendolo da ovest verso est: la prima è quasi una caverna, senza Dromos e completamente scavata nella pietra, di m. 2x3, alta 1,60 m. con lo spessore del soffitto di circa 90 cm.


TOMBA DI FAMIGLIA “DI SAN GIUSEPPINO” IN LOCALITA’ PIANACCE

 

Andando ancora avanti c'è una tomba, veramente bella, sia all'interno che vista da fuori.

Non ha il Dromos molto lungo, circa due metri e mezzo, l'ingresso è molto ampio, quasi a grandezza umana e dentro è grande e spaziosa con ai lati due scalini rialzati, i quali sicuramente servivano da sostegno per due sarcofagi. Questo capolavoro di architettura sotterranea è isolato, non ha accanto altre tombe come di solito invece è di norma in questa zona. Sicuramente della serie cui apparteneva questa tomba, ne è stata profanata solo una, perché era la più semplice a individuarsi, in quanto il suo Dromos era stato portato alla luce dalle piogge, che lo avevano ripulito dalla terra di riempimento.

Ci spostiamo un po' più avanti di circa 300 metri e qui vediamo un vero e proprio capolavoro etrusco, un dei più grandi e ben lavorati che abbiamo mai visto.

Rigorosamente rivolta Al mezzogiorno, con un Dromos di notevole lunghezza e largo circa due metri, vediamo qui una tomba di famiglia, a cinque camere, ma queste sono veri e propri appartamenti. In fondo al Dromos, davanti alla tomba centrale, ci si trova ad una profondità di circa dei metri, ed è per questo che questa enorme tagliatura è stata circondata con della rete, in modo che persone o animali in libertà non vi cadessero dentro, con il rischio di farsi male.

Lo stile e la grandezza di questo lavoro sotterraneo è classico delle tombe di famiglia.

In assoluto le più ricche, nelle Necropoli che siano state ritrovate in queste zone.

Parlando con gli abitanti della zona ci è stato raccontato che furono dei soldati in tempo di guerra a profanare quella tomba, ma non si ricordano bene se fossero stati tedeschi o francesi.

Certo è che per liberare questo Dromos dal suo riempimento ed accedere così alle sue camere, avranno dovuto rimuovere almeno due o tre camion di materiale.

Dalla sua forma, il tipo di architettura, e i dati da noi pazientemente raccolti su di essa, tutto fa pensare che sia tomba all’estrema destra, facente parte di una struttura a schiera tipica, con tre tombe, di cui la centrale di solito è quella più importante e ricca. Quindi si tratterebbe di trovare quella finale alla estrema sinistra del pianoro, per poi misurare il centro tra le due, ed è in quel punto preciso secondo i nostri calcoli e studi vari, che si dovrebbe trovare una sepoltura di enorme importanza.

A questo punto bisogna proprio dirlo, ci troviamo di fronte ad una scoperta di rilevante importanza, perché tutti i nostri studi fatti di questo periodo, ci portano a capire che in questo punto, date le dimensioni, la posizione, l'orientamento, e le scritture del Varrone, riviste e meglio interpretate, dovrebbe esserci il sepolcro del Re Porsenna, ben nascosto, accanto alla via cupa o degli inferi, la quale serviva a quel tempo, per gli spostamenti dai luoghi di preghiera, fino al luogo della sepoltura, ed ancor prima ai tagliatori di pietra per portare le grosse pietre verso il basso.

Sarà dunque qui, in questo punto da noi individuato, la Tomba da sempre ricercata, quella di Re Porsenna? Lo vedremo ben presto, le nostre intenzioni sono di arrivare fino in fondo, a questa ricerca, e di far conoscere a tutti queste, e tante altre cose nascoste da millenni.

 

 


COSI’ DISEGNAMMO IL PIANORO NEL 1995 LA TOMBA CENTRALE RISULTO POI ESSERE QUELLA ADESSO DENOMINATA “DELLA QUADRIGA INFERNALE”, QUELLA DI DESTRA ERA APERTA DA PRIMA, E QUELLA

ALL’ESTREMA SINISTRA, ACCANTO AL VECCHIO MURO SI DEVE TROVARE IN QUESTA POSIZIONE ESATTA.

 

 

 

 

 

 

 

 



ECCO COME SI PRESENTANO OGGI LE TOMBE SUL PIANORO IN QUESTIONE, DOPO GLI SCAVI:



Al di sotto della scarpata, proprio vicino a questa tomba scavata nel tufo e di grandezza di circa tre metri, c'è una strada incassata, la già più volte nominata "Via Inferi", antica strada etrusca con alcune tombe lungo le pareti stesse veramente belle, senza Dromos ma con ingresso a porta.

Questa strada era percorsa dagli Etruschi per condurre i defunti verso il luogo della sepoltura, facendo un tragitto che somigliava molto ai nostri moderni funerali, ma nello stesso tempo portava anche ai luoghi di preghiera e venerazione, sia degli dei che dei sovrani.

Le pareti della Via Inferi sono state più volte ripulite, e liberate dalle erbe e dai rovi, quindi l'occasione di scoprire altre Tombe laterali lungo la via sicuramente non sarà mancata, ma noi crediamo che ci sia ancora molto da scoprire lungo la stessa, anche perché conoscendo un po' le composizioni architettoniche etrusche, non è possibile che qui ci siano solo alcune tombe, senza che rispettino una cadenza geometrica precisa.

LA QUADRIGA INFERNALE “PARETE  INTERA”

Ricostruendo per intero questa via, mettendo insieme in pratica i pochi punti di essa rimasti ancora visibili, noi l'abbiamo tracciata, ed abbiamo notato che conduceva anche al Cimitero di Sarteano, sotto il pianoro nel quale si pensa finisse anche il famoso tunnel.

Scendendo lungo la Via Inferi si va verso il podere Le Costolaie, o Castolaiole, la via è ancora visibile fino a pochi metri dal casolare, poi le lavorazioni dell'uomo moderno, ne hanno cancellato le sue tracce, più in giù se ne vede ancora una parte, l'ultima, che porta fino al podere Le Tombe.

Naturalmente anche nelle zone limitrofe al podere Le Castolaie ci sono alcune Tombe Etrusche, circa undici o dodici, scavate nel tufo, che in questa zona si trova a circa 60 centimetrisotto il terreno. Queste tombe, per la maggiore sono del tipo a Pozzo, o a Camera senza Dromos, ed alcune a Cassettone, (scavi rettangolari nel tufo sottostante la terra, ricoperti poi con lastre di pietra o tegoli).

Da queste parti i campi sono spesso a gradoni, in altre parole una

fetta di terra, poi dopo un dislivello di circa 2 metri, un altro pianerottolo

 


TAPPO IN PIETRA DI UN INGRESSO TOMBALE

 

a forma di lunga striscia di terreno, tutto questo è così da sempre, la zona molto ripida e con tanti pendii era stata resa a scalinata già dagli Etruschi, per meglio sfruttare i terreni, e poterli arare e coltivare come quelli pianeggianti.


LA QUADRIGA SOMMARIAMENTE RICOSTRUITA DA “ROMAGNOLI STEFANO”

Ed è proprio al di sotto dei muri o ai gradoni di dislivello, che molte tombe si vedono, scavate in pietra, (una volta tufo duro), senza Dromos , tutte rivolte al mezzogiorno, come d'altronde anche tutti i muri.

Da un calcolo approssimativo, in questa zona ci dovrebbero essere, ancora nascoste il trenta per cento delle Tombe Etrusche, naturalmente le più difficili da individuare, quelle che i Tombaroli hanno lasciate alla madre terra, che le fa ancora da custode.


LA TOMBA DEI SARCOFAGI E QUELLA DELLA QUADRIGA

A metà strada di Via Inferi, un po' d'anni fa c'era un Casolare, che ora è diventato una villa. La gente lo chiamava Il Podere di Silvio, e qui gli alloggi degli animali erano vere e proprie tombe etrusche, usate come pollai, o stanze.

Tombe molto grandi, al punto che in una di queste, vicino alla casa, i vecchi contadini di un tempo ci parcheggiavano il carro dei buoi, mezzo di trasporto usato fino a circa 30 anni fa nelle campagne, quando ancora i trattori e le automobili non erano frequenti come oggi.

Anche sulla parte bassa delle Castolaie c'è molto da vedere, specialmente in fondo al campo piano con il vecchio vigneto.

Sotto il muro di fine campo ci sono addirittura delle rovine di un edificio molto piccolo, di origine etrusca, non si può dire che sia un insediamento, ma è una buona occasione per chi volesse ammirare questi resti, e farsi un'idea di com'erano certe abitazioni.


UNO DEI DIPINTI DENTRO LA TOMBA DELLA QUADRIGA INFERNALE RESTAURATO


FOTOMONTAGGIO DELL’INTERO PIANORO VISTO DA DAVANTI AL CENTRO

Scorrendo sullo stesso piano, di queste rovine, sia a destra che a sinistra lungo in Greppo si trovano alcune tombette profanate, ma anche qui non sono a distanza regolare l'una dall'altra, ciò significa, come del resto avrete già intuito, che ne esistono ancora molte da aprire, nei punti dove tra le due tombe visibili c'è troppo spazio.

Questi sistemi di ricerca, non sono teorici, ma frutto di tante esperienze acquisite durante anni ed anni di attenta analisi, delle diverse tipologie di scavo, usate dagli Etruschi, nell’intento di preparare le strutture delle necropoli, che poi sarebbero diventate tombe.

In conclusione, siamo convinti e ne abbiamo prove certe, che questo “pianoro” sarebbe stato il più indicato e somigliante alle descrizioni antiche, nel quale si potrebbe nascondere il sepolcro del Re Porsenna (da non confondersi con il Mausoleo, che era una struttura a se stante, ed in altra posizione), sempre in una delle 14 zone da noi descritte.

Il Varrone infatti parlava di Tempio, Mausoleo, Enorme costruzione, ma non ha mai detto che fosse allo stesso tempo anche il sepolcro del Re.

Capitolo 9

 

Recandoci  in località "IL POGGIONE", io e la Citta per tutto il viaggio non c'eravamo rivolti la parola, lei mi parlava solo per indicarmi la strada. Quella sera la Donna ci stava aspettando , ed appena arrivammo si accorse subito che nella Citta c'era qualcosa che non andava, e le domandò : "Cosa hai questa notte"? La Citta rispose come se si fosse aspettata quella domanda, dicendo con tono pagato ma sicuro: "Sentite Citti io oggi ho lasciato il mio fidanzato, ed ho anche deciso di lasciare il paese di SARTEANO , compresa la mia famiglia, tutto questo per unirmi definitivamente  alle persone con cui ho passato i momenti più belli della mia vita, cioè a voi". Io e la Donna a quel punti ci siamo guardati negli occhi ed abbiamo capito che non era il caso di far polemiche o riflessioni su quello che aveva detto la Citta , considerando il suo umore e lo stato d'animo nel quale si trovava. Dopo alcuni minuti di silenzio passati a guardarci ,  e a cercar di parlare con gli sguardi, si sentivano nella notte solamente i rumori degli animaletti notturni, che certamente non si erano accorti di noi e continuavano a cantare . La donna si sistemò a sedere sotto una pianta, ed a me guardandoli facevano venire in mente mia nonna , quando la sera si sedeva davanti all'ingresso gustandosi con la luce da notte un suo libro. La Donna non era mia nonna , ed il libro erano solo gli appunti presi da lei su la località in cui ci trovavamo quella notte, la lampada da notte era invece la pianta , mentre la luce era la luna. La Donna leggeva e ci spiegava delle sue ricerche , ed io e la Citta ascoltavamo attenti ed uniti. Ad un certo punto la Citta mi si avvicina un po' di più e mi stringe la mano, poi con uno scatto veloce mi da un piccolo morso sull'orecchio destro. Facemmo all'amore in fretta, e con poco interesse, con la stessa foga della mattina che ti sveglia perché devi andare a lavorare. La Citta mi disse poi sottovoce: "Ecco come era l'amore con il mio fidanzato". La Donna continuava a leggere senza curarsi troppo di noi………………. 

 

 

 

Zona “9”

 

 

 

Località Il Poggione

 

Il Poggione, anche S. Girolamo è una località in periferia di Sarteano, non molto distante dal centro abitato, circa 2 chilometri, percorrendo la statale che porta al Paese di Cetona.

Ci si arriva deviando appena giunti alla Madonnina lungo la dritta pianeggiante che porta alla zona industriale di Sarteano, Via Etruria. Dopo aver deviato a destra, in prossimità dei piccolo Tabernacolo si sale un po' per una strada sterrata, abbastanza ripida, passando sulla sinistra del podere S. Girolamo, si continua per altri 400 metri, a questo punto sulla nostra destra c'è un bosco, dalla parte opposta invece una villa con campi da tennis e piscina, che confina con il lato a sud della strada .

Salendo per il bosco sulla nostra destra si intravede la prima Tomba, a forma di caverna, senza Dromos, e scavata sotto una grossa falda di pietra, la tomba è molto spaziosa all'interno, ci si potrebbe stare in piedi, anche in molte persone, da una perlustrazione approssimata sembrerebbe trattarsi di un Dolmen, in questo caso quindi ci troviamo di fronte ad una struttura che risale a circa 8000 anni fa, e ci sarebbe da controllare se accanto ne esistano altri simili, come risulterebbe dai nostri studi.

La tomba in questione è isolata, e le sue compagne di serie non sono ancora state scoperte, questo perché il dosso allungato dove è stata scavata, è lungo a tal punto che potrebbero esserci inserite altre 4 Tombe a sinistra e 4 a destra. Non ci sarebbe da stupirsi di trovare da queste parti un Dolmen, per noi è una cosa abbastanza normale, infatti da alcuni studi su questi tipi di Caverne sembrerebbe che ad abitarle non fossero stati umani della nostra statura, ma di un'altezza tra i 2,20 m e i 3 m.

Nella zona poco distante, denominata Belverde vennero ritrovati infatti dei resti di questi alti umani.

Abbiamo dato anche un nome a questi umanoidi, “Homus Rovus”, o Uomo dei Rovi, perché viveva fra i rovi delle zone allora aride e abbondanti di vegetazione spinosa, ed ortiche molto più pericolose di quelle di oggi. Abbiamo poi cercato di attribuire loro, un periodo di esistenza che va, sempre secondo noi, dal 6000 a.C. al 5500 a.C., saremmo felici di poter aggiungere questo particolare molto significativo nella storia, assieme a tutti gli altri dati che abbiamo accumulato durante la nostra lunga ricerca “storico scientifica”.

Il materiale tufaceo, da loro usato misto a lastroni di pietra, è della qualità migliore, preferita sia dagli Etruschi che da altri. Se si calcola che le tombe isolate, siano da considerarsi l'uno per cento solamente, mentre tutte le altre invece sono a Schiera o a Ventaglio, qui in questo punto devono esserci indiscutibilmente altre tombe ancora inviolate.

Addentrandosi ancor più nel bosco c'è un posto più in alto, roccioso e solido, dove esistono delle caverne o grotte, dalle forme regolari e levigate in alcuni punti, da far pensare che un tempo siano state abitate da  umani.

Entrando in una di queste caverne si scende verso il basso per alcuni metri, poi risalendo, la caverna si divide in due, la parte sinistra sbuca poco dopo all'esterno, la parte destra invece continua verso l'entroterra tracciando una semicurva, poi passa per un punto dove si vede l'esterno guardando in alto, infine continua ancora sotto terra. Qui ci siamo fermati perché occorrerebbe, per proseguire, una attrezzatura da speleologi.

Arrivati in cima al bosco il terreno comincia a ridiscendere verso Nord e poco più in basso ci sono delle tombe a Cavernetta, circa sette di piccola grandezza. La particolarità di essere rivolte a nord le qualifica come tombe molto povere.

 

 


TOMBA ETRUSCA RICHIUSA DOPO LA PROFANAZIONE

 

Molto rare in questa zona, queste tombe piccole venivano usate dagli Etruschi  per gente di poca importanza. C'è chi dice invece che le tombe rivolte a nord sarebbero state di Etruschi atei, che non riconoscevano gli dei adorati da tutti gli altri, e che quindi, non sarebbe stato concesso loro, dopo la morte, di vedere ne la nascita del sole, la luce, e ne il Mezzogiorno.

Da qui si vede Sarteano da una latitudine che ci permette di ammirarlo in quasi tutta la sua estensione, voltandosi dalla parte opposta invece c'è il monte Cetona, dà l'idea di una schiena d'asino, o di un cono rovesciato, molto bello a vedersi.

Poco sotto alla casa con piscina e campi da tennis, anni fa c'era una fontana di acqua potabile Fonte Manduleta, molto frequentata da gente del luogo, per la ottima qualità delle acque, cento metri a sud di questa sorgente, in un campo di ulivi, fra una scarpata e l'altra ci sono resti di muratura romana, se ne vedono chiaramente i resti, tipo pezzi di muratura a detriti rossastri in parecchi parti adiacenti al punto della vecchia fonte d'acqua.

Le tombe in questo punto sono dei tipo a Cassettone, cioè simili alle nostre fosse moderne, ma coperte con delle enormi lastre di pietra, piatte e molto pesanti, parecchie di loro infatti sono state individuate durante il passaggio di trattori, a causa dello sfondamento dei soffitto, appunto fatto di tegoloni.

Nel prato che va dalla zona della sorgente al punto dove c'era fino a poco tempo fa il lago artificiale, furono rotti molti Ziri sempre durante la lavorazione del terreno con aratri molto profondi, i quali venivano chiamati dai contadini aratri da scasso, noi personalmente li avremmo meglio chiamati "Aratri da Ziri", visto che non se ne salvavano molti al loro passaggio.

In questo prato si dice che sia facile trovare delle monetine Etrusche, ma per lo più romane, zona quindi questa, come si sol dire, da metaldetector.

Ad un chilometro circa da qui, spostandoci in direzione est, c'è il casolare denominato "la Chiusa 2". In questo podere si svolsero circa 60 anni fa dei fatti relativi alla famosa leggenda della "Chioccia d'oro coi pulcini", di cui si parla in vari libri riguardo la descrizione dei corredo del Re Porsenna.

Parecchi degli abitanti che hanno avuto l'occasione di abitare in questo casolare, hanno raccontato all'incirca la solita storia. Il fatto si è svolto sempre di notte,  nel primo racconto il contadino si era alzato ed andava a controllare la stalla dei buoi, in quanto aveva sentito dei lamenti, e pensava che una mucca si sentisse male, o addirittura stesse per partorire.

Quando ebbe finito di controllare la stalla mentre si apprestava ad attraversare l'aia (piazzale davanti ai Casolari, usato durante le trebbiature, e nel quale veniva allestito il pagliaio), fu in quel momento che si stropicciò bene gli occhi fermandosi di colpo, in quanto (sempre secondo il suo racconto), vide passeggiare per l'aia una chioccia con 8 pulcini, la cosa strana fu che questi animali erano di un giallo luminoso, praticamente sembrava fossero d'oro.

Quindi a questo punto, noi dovremmo pensare che un suo vicino gli avesse fatto una burla, verniciando magari una gallina e dei pulcini con della vernice dorata, per poi portarli lì a casa sua a quell'ora di notte.

Noi non crediamo che sia andata così, e Voi?

Un'altra storia è molto simile a questa, ma la persona era una donna, anche lei abitava qualche anno dopo nello stesso casolare. Questa donna una notte alle ore 12,30 circa uscì, e nello stesso punto dell'aia vide anche lei la famosa chioccia con i pulcini, d'oro.

Lei non si accontentò di vederli passeggiare, ma lì rincorse, e dopo averli raggiunti, racconta che si chinò per afferrare la chioccia con tutte e due le mani. Ma quell'immagine non aveva materia, come se fosse una proiezione e non riuscì a toccare la gallina.

Si spaventò a tal punto che correndo per le scale di casa, cadde e si ruppe una gamba in due punti, subito dopo il marito che aveva udito le sue grida scese correndo e cadde rompendosi anche lui un braccio.

 

 


TOMBA PROFANATA E RIEMPITA DI SASSI

 

Fu da quel momento in poi che incominciarono a dire che quel casolare era stregato, o maledetto, anche perché dopo di loro un componente di un'altra famiglia si suicidò, dopo essere diventato pazzo a causa di alcuni rumori insopportabili che sentiva la notte sotto il pavimento della sua camera da letto.

I casi di avvistamento di chiocce d'oro, da un'indagine accurata risultano circa 30, e tutti quanti coincidono come descrizione agli altri, benché tutti i racconti, per la maggiore sono stati fatti da persone che non si conoscevano tra di loro.

Attraverso diverse ricostruzioni dei fatti siamo riusciti a ricostruire il tragitto che percorrevano questi animali, cioè apparivano da dentro la cantina sotto la casa, poi arrivavano fino ad un punto ben preciso. Attraversato il piazzale davanti la casa, scomparivano nel campo coltivato, andando in direzione Podere Le Pianacce.

Queste apparizioni potrebbero anche essere state alcune "presenze" di guardiani della Tomba del Re che, apparendo sotto forma di diversi animali, tenevano lontano gli eventuali malfattori dal punto della sepoltura, questa, naturalmente è solo una nostra supposizione.

Questa tesi assieme a noi la sostengono però anche altre persone, che sono al corrente di certi argomenti, ma la verità, si sa, è sempre difficile da scoprirsi. In casi del genere poi è più difficile che mai, quando cioè si parla di presenze, apparizioni, energia fotocinetica, spiriti, fantasmi ed altro.

Bisogna riconoscere che nelle nostre zone esistono anche molti luoghi e castelli con al loro interno dei fantasmi, parecchi di questi sono famosi, e se ne è parlato anche in tv, alla Rai ed in altri servizi fatti alcuni anni fa da Canale 5.

Quindi non c'è da stupirsi di niente, nemmeno se la notte vi succedesse quello che è accaduto ad un abitante di Sarteano, che ha addirittura parlato con un parente di Muzio Scevola, vestito da romano e con abiti a colori.

Questo avvenimento di circa 30 anni fa, è molto interessante, ed è accaduto in un piccolo Casolare a circa 700 m dal Podere le Pianacce.

La persona in questione era un vecchio contadino, non aveva fatto nemmeno le scuole elementari, per mancanza di soldi da parte della famiglia, di certo quest'uomo non conosceva la storia, né tanto meno Muzio Scevola, ma nel suo racconto dice di aver visto questo individuo e ne sapeva il nome, si ricorda i particolari, e afferma di aver parlato con lui.

Il colloquio fu breve, il signore romano disse al vecchio contadino: "Sono il cugino di Muzio Scevola, vengo per riprendermi l'oro, che ha perso in battaglia morendo qui vicino, tu sapresti indicarmi il cammino per la Castolaiole”?.

Il vecchio gli indicò la strada più breve per arrivare al podere le Castolaie, e poi la figura sparì nel nulla senza lasciare traccia.

Questa storia è da considerarsi quasi reale, visto che questo vecchio non era un bevitore, ed era sanissimo di mente. Anche se molti di questi casi di apparizioni, visioni, ecc., facessero parte di allucinazioni o effetti ottici, almeno il 10 per cento di essi, potrebbero essere autentici.

 

 

 

 

 

 

Capitolo 10

 

Salve avete notato che questa sera la notte è più buia, disse la Donna salutandoci , la Citta le disse subito dopo i saluti: "Vedi siamo nella località "La Cava" . Ci sedemmo a circolo su una piccola altura, mentre il cielo sembrava attento ai nostri discorsi, ma le stelle e la luna si facevano vedere a tratti tra le nubi nere che si spostavano veloci, sembrava che anche loro volessero ascoltare , ma senza esser visti. Io e la Citta ascoltavamo in silenzio la Donna che diceva: "Non so quale fosse il tuo Dio , ma tutti ne anno uno, ed il tuo ha deciso di farti passare la tua vita qui , quindi cerca di godertela". Tu Citta non ti puoi legare troppo a me, anche se so che ti sei entusiasmata a tutto questo, perché devi sapere che a farci incontrare noi tre è stato il nostro Dio, e ha fatto anche sì che il Citto capitasse da queste parti. Tutto questo per farci scoprire e ripercorrere Via Inferi, che tutt'oggi ancora nessuno era mai riuscito a ricomporre e rintracciare nel suo completo tragitto. Solo noi abbiamo percorso dieci delle sue tappe, che abbiamo chiamate località , ma io ancora non ho risolto del tutto il mio problema. Io sono la Regina e ti posso dire che sotto queste terre che sembrano normali, ancora esistono canali e costruzioni antichissime, costruite dal mio popolo quando voi ancora non eravate esistenti. Per dimostrarti che ti stai sbagliando e che devi riflettere molto sulla tua situazione ti voglio portare un esempio: so che tu conosci la località del prossimo nostro appuntamento , adesso dilla tu , senza che nessuno te la suggerisca! Poi con una nuvola di fumo bianco la Donna sparì . Io e la Citta dopo un attimo di sbigottimento ci guardammo negli occhi , poi lo sguardo cadde su dei fogli di carta che erano li al posto della Donna, su questi vi era scritto: "Località La Cava appunti di ricerca". Per la strada del ritorno domandai alla Citta che cosa avesse voluto dire la Donna, la Citta mi rispose che la Donna scomparendo con una nuvoletta di fumo ci aveva voluto dire : "Arrivederci alla prossima tappa: "Località Beccafumo"". E continuammo a leggere quei suoi appunti…………………………

 

 

 

Zona “10”

 

 

Località La Cava

 

La Cava si trova lungo la strada di Radicofani, chiamata così dagli abitanti perché porta da Sarteano fino al paese di Radicofani. A circa tre chilometri sulla destra proprio davanti al cancello del recinto che delimita la cava del ghiaione, si vedono molto bene due tombe etrusche, rivolte a sud, del tipo classico, ma con Dromos corto, a parete, e tappatura in pietra dura.

Questa zona è meglio denominata Sferracavalli, a causa del suo pendio: un tempo sicuramente i cavalli di passaggio perdevano i ferri, e quindi da lì il nome della antica strada che conduceva a Vulci, punto di passaggio molto importante, sia per il commercio di allora, che per i collegamenti. Qui poco distante, nel 1975 il Bargagli rinvenne una necropoli con tombe a Ziro e a pozzetto, circa 150 tombe, di cui la maggior parte Villanoviane. All'interno

 


PIETRE TAGLIATE IN EPOCA ETRUSCA

 

l’ornamentario era costituito da un'Olla d'impasto e gli elementi di corredo erano tutti dentro e intorno ad essa.

Vennero ritrovate numerose fibule in bronzo ed in ferro, un drago, una navetta, e 13 rasoi semilunati,  per lo più della tarda età del ferro.

All'interno sono ben fatte ma non troppo spaziose, scavate in un tufo molto duro, la gente del posto dice che queste tombe fossero molto ricche, ossia contenessero reperti quasi esclusivamente in oro.

Più in alto, ce ne siamo accorti guardando, si nota una scarpata che nasconde altre tombe, del tipo a schiera, molto simili a quelle della località Solaia, una in particolare è quasi visibile ed ancora inviolata.

Alcuni Sarteanesi sostengono che, anche nella cava esistono alcune tombe etrusche, magari rotte durante qualche esplosione, servita a spaccare la montagna per raccogliere il prezioso materiale che viene poi usato per fare strade, e costruire muri di recinzione a ville, case ecc.

Oltrepassata la cava per tutta la sua lunghezza, sulla destra c'è l'ingresso alla tenuta Aiuola, anche all'interno di questa ci sono delle cose da vedere, ma essendo proprietà privata e (chiusa), non abbiamo potuto accedervi.

Più avanti, continuando per la strada principale, c'è una via sterrata sulla sinistra, che porta ad un vecchio casolare di nome “I Pozzi”, prima di arrivare al podere si notano sparse lungo i lati della strada delle strane fosse scavate nel terreno di forma circolare. Un anziano signore che conosce queste zone fin da piccolo, ci ha spiegato che queste fosse fungevano da fornaci di cottura, per vasellami etruschi, e che venivano colmate di legna, per poi dar loro fuoco, poi  sull'orlo di esse, sopra delle grate metalliche, venivano messi a scaldare i mattoni di materiale refrattario, formando dei castelletti tra di loro, all'interno dei quali venivano posti i vasi per la cottura.

Tra il Casolare “I Pozzi”, e le vicinanze del Podere “Il Troscione”, c'è una zona con terreni di origine vulcanica, un misto di cenere e sassolini di colore grigio, inoltre il materiale è composto per una minima percentuale da Carbonio, e Magnesio.

In questo punto abbiamo rinvenuto dei piccoli cristalli dalla forma di diamante, pietre molto dure, forse più del quarzo tradizionale, sicuramente di poco valore, in quanto, data la massiccia presenza di queste pietre, se avessero avuto molto valore la gente del paese se ne sarebbe certamente appropriata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 11

 

Eravamo tutti e due intenti ad ascoltare i risultati della giornata di ricerche Donna mi domando a quel punto, perché fosse stato sempre presente dentro di me il presagio, e strano che tu che fai un altro mestiere ti appassioni anche di Archeologia e di ricerche sugli Etruschi, perché tu che hai altre cose più interessanti ti appassioni così tanto a queste ricerche, e ti piace una che , anche se molto bella , sai che è venuta dal nulla e nel nulla prima o pio tornerà.  La Donna continuò il suo racconto , e quando finì di leggere ci face una domanda: "Sentite Citti siamo ormai arrivati alla undicesima tappa , e non abbiamo trovato ancora quello che stavo cercando". Dopo alcuni minuti di silenzio io le risposi dicendole :"Tu donna sei venuta dal nulla fra di noi, incontrando due Citti che incontrandosi di nascosto anno contribuito a fare le tue ricerche così che poi tutti e tre insieme abbiamo scoperto un cimitero". Questo cimitero tu Donna già lo conoscevi, ma durante la tua epoca, perché adesso non lo riconosci più , perché con il passar del tempo la necropoli. Anzi l'ultima Necropoli Etrusca , ormai nascosta dalla vegetazione e dai cambiamenti geologici. Tu sei riuscita fino ad ora a ricostruire undici delle tappe segnate sulla carta, hai ricomposto e riunito le Necropoli nei loro punti più importanti, hai scoperto dove sono le ultime Tombe ed i Campi più ricchi , hai anche ricostruito la strada che tu facevi da viva per accompagnare i tuoi cari nelle loro tombe , e questa via tu la chiami Inferi. La Donna come di scatto prese la parola lei e disse, che forse la soluzione l'avremmo potuta trovare avendo segnato sulla cartina tutte le località , ma ancora ne dovrebbero mancare altre, quindi il lavoro non è finito. Quindi leggemmo bene gli appunti su quella località…………….

 

 

 

 

 

Zona “11”

 

 

 

Località Beccafumo

 

Beccafumo non è molto lontano dalla località Cava, sempre sulla strada che porta a Radicofani, svoltando a destra 800 m dopo aver passato il cancello d'ingresso alla tenuta Aiuola, dopo aver fatto pochi metri lungo il viottolo in direzione ovest, si vede il Podere, che dà il nome a questa località.

In questo luogo a pochi metri da un laghetto artificiale, di 18 m di diametro, fatto per l'abbeveraggio delle mucche, addentrandoci nel bosco abbiamo scoperto una caverna artificiale, di notevole grandezza. La volta del soffitto è semipiatta, altezza circa 1,50 m e larghezza 2 m, passando sotto una strada di campagna arriva fin sotto la montagna della pineta, ad un certo punto però non si può proseguire perché la caverna è come tappata da sabbia gialla pura e talmente fine, che di questa qualità,  non se ne trova nemmeno a comperarla.

La sabbia riempie tutta la caverna Fino al soffitto e, visto che la grotta è scavata nella pietra, questo fa supporre che sia stata messa e poi pressata con forza fino all'esterno, per tappare questa specie di tunnel.

In fondo dove finisce lo spazio libero e comincia la tappatura di sabbia, un istrice ha ben pensato di costruirsi la tana scavando un buco notevole e molto lungo, che anche puntandovi dentro la luce di una torcia, non se ne vede la fine. Tutto questo fa pensare che il tunnel sia ancora molto più lungo, ma lo si potrebbe sapere solamente togliendo tutta la sabbia, scoprendo così dove porti questo strano tragitto sotterraneo.

I prati da queste parti sono cosparsi di piccoli detriti rossi, tutti residui di mattone etrusco, e di vasetti spezzettati durante le lavorazioni dei campi.

Scendendo a sud un po' in basso i detriti aumentano, e si incominciano a trovare moltissime tegole frantumate etrusche, alcune addirittura intere. Infatti qui le tombe erano del tipo “a cassonetto o cassettone”, cioè delle fosse di due metri e mezzo per 90 cm., e profonde circa 1,50 m., coperte con dei tegoli etruschi, ed a volte le pareti interne rivestite a mattoni piatti e scuri al centro, messi in posizione orizzontale.

Da qui ci siamo allontanati un po', per visitare una parte molto bella di questa zona: in cima ad una collina ci sono delle rovine, o meglio le vecchie fondamenta di un antico castello, il castello "Delle Moiane", zona molto boscosa e con molta vegetazione. Non si conosce bene l'epoca di questo castello, del quale sono rimaste solo, con venti centimetri di sporgenza dal terreno, le antiche mura.

Abbiamo sentito dire che sono state trovate qui, alcune monetine, ma non siamo riusciti a rintracciarne nemmeno una, altrimenti sarebbe stato facile risalire all'epoca cercando di scoprire la data della loro fabbricazione.

Il posto non c'entra molto con la parte etrusca del nostro racconto, ma sarebbe molto interessante cercare di scoprire se questo castello, abbia avuto i sotterranei, per visitarli e chissà forse trovare anche un tesoro.

In località Spineta, non molto distante da qui, dei lavoratori agricoli rinvennero casualmente una tomba a nicchie, costituita da un lungo Dromos, con 21 Nicchie sui lati, ed una in fondo al Dromos.

All'interno furono rinvenuti frammenti di uno specchietto in bronzo, di epoca ellenistica, ed anche un frammento di Tegolo con iscrizione.

In località Aiola, sempre qui vicino, ma un po' più a nord, nell'agosto del 1957 il Prof. Maetzke rinvenne una grossa fondazione a squadra, e numerosi frammenti di embrici in ceramica grezza e a vernice nera, alcuni embrici grigiastri, di colore giallo all'interno e di spessore di circa 2 centimetri.

Da questo punto spostandosi ad ovest si arriva in una località chiamata dalla gente dei posto Strascico della Regina, il nome le è stato dato perché c'è

 


MULATTIERA CHE PORTA ALLO “STRASCICO DELLA REGINA”

 

sul luogo un viottolo in pietra, dove si dice non sia più cresciuta l'erba dopo che la regina del castello, passando con il suo manto lungo, che strisciava sul terreno tracciò questo percorso, per giungere fino al Pozzo del Diavolo, un pozzo naturale del quale nessuno ha mai scoperto di quale natura fosse. Il pozzo, (così si dice), non ha fine, lo hanno dedotto alcuni speleologi, i quali calando un peso legato a delle funi, e facendolo scendere giù nel pozzo, con l'intento di calcolarne la profondità, non riuscirono nel loro intento, in quanto le funi finirono, e portatene delle altre, finirono ancora. Raccontano poi, che queste persone decisero di rinunciare al loro intento perché non era possibile avere altre funi, e si convinsero che quella voragine non aveva fine.

Questo è un posto ricco di leggende e storie, dicono che, venendo qui di notte, e rimanendo in silenzio, con un po' di fortuna si può sentire il rumore dello strascico del vestito della Regina ed i suoi passi che ripercorrono il tragitto da lei fatto tanti anni fa. Qualcuno invece afferma che il Pozzo dei Diavolo sia l'unico accesso alle viscere della terra, dove appunto dovrebbe trovarsi il Diavolo, e che nell'antichità i cattivi ed i ladri venivano gettati in questa voragine per punizione, convinti che così sarebbero Finiti direttamente nel posto più idoneo a loro, appunto all'inferno...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 12

 

Quella notte la Donna era troppo nervosa, le si leggeva in viso. Inizia come sempre ma con tono di voce un po' più duro il suo racconto, dicendoci, Citti avete visto come è crudele la gente, che cerca di profanare le Tombe di quello che era una volta il mio popolo, al solo scopo di trovare dei tesori e per pio venderli chissà dove. Quelle piccole cose sono personali, appartenevano al defunto, q quel punto la Citta la interrompe e rivolgendosi a me mi domanda :"Ti ricordi che l'ultima volta che ci siamo visti io ti ho fatto una domanda"? Prima do uno sguardo alla Donna , poi con voce tranquilla e calda inizio a dirle: "Vedi Citta io sono una persona che non si ferma mai e nelle grandi città noi non saremmo che un numero , invece qui tu hai una bella famiglia ed un paese che ti conosce, ti consiglio quindi di riflettere bene sull'argomento". La Donna ci ascoltava mentre io vedevo sul suo volto tornare il sereno. Seguitando le dissi poi che avrebbe dovuto seguire il suo cammino , prendere marito e avere una sua vita , tutto questo restando sulla sua terra nativa. La Citta mi si avvicina e con un bacio mi tappò la bocca, un bacio di quelli che piacciono a lei, così lungo che sono riuscito appena a vedere la Donna che con passo lento se ne andava, salutandoci con una mano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ZONA “12”

 

 

Località Fonte Galgana

 

A 677 metri d'altezza, salendo da Sarteano in direzione Castiglioncello sul Trinoro, dopo due chilometri circa si trova sulla sinistra un casolare in basso, poco sotto la strada, molto rifinito, e dall'aria signorile.

La strada che porta fin qui è un po' stretta, ma molto agevole, davanti al casolare dalla parte opposta dell'autostrada, c'è una fonte d'acqua, da qui il nome Fonte Galgana, anche se stranamente, il podere porta il nome di Molin Canale.

La zona in questione è poco più avanti sulla destra, la prima parte (quella più vicino alla strada) è un bosco scosceso con pineta, salendo invece più in alto diventa bosco con querce.

Le due curve che separano Fonte Galgana o Molin Canale dalla zona della necropoli, un tempo non esistevano, il passaggio avveniva lungo una antica strada ormai non più usata da nessuno.

 


SULLA SINISTRA LA SCARPATA TUFACEA DOVE SI TROVANO LE TOMBE ETRUSCHE

 

In questa zona nel 1953 venne scoperta una tomba di età ellenistica, con una piccola camera, e tre nicchie a loculo, dentro le quali c'era il corredo funebre, ovvero, una umetta fittile, due coppe a vernice nera, ed altri frammenti di vario tipo.

Molto vicino a questa, il 15 Gennaio del 1948 venne rinvenuta un'altra tomba a Ziro, ampia circa 2 metri, e profonda 2,5 metri, contenente oggetti in bronzo, ferro e osso, vari frammenti di buccheri di vaso con decorazione a cilindretti, un calice, un'anfora, una coppa fruttiera in bronzo, una brocchetta con manico, alcune fibule e due grattugie, inoltre dentro vi erano anche due armille di ferro, un alare, una molla, una lancia, un dado con solo il numero 5 ed il 6, e due piastrine rettangolari numerate da 1 a 4.

In effetti c'è ancora oggi la vecchia strada antica che collegava queste due curve una delle quali a tornante. Percorrendola, si passa in mezzo alle necropoli, una parte di esse è sulla pineta a destra, sulla sinistra invece a circa venti metri dalla vecchia strada, si può vedere la prima fila di tombe, una accanto all'altra, a distanza di circa tre metri.

Salendo verso l'alto a nord, s'intoppa sulla seconda Fila di tombe.

La geometria strutturale in questa zona la si può facilmente capire vedendo come sono disposte le tombe la direzione dei Dromos a sud, le file di tombe sono state costruite in modo che le camere della prima Fila non fossero troppo vicine a quelle della seconda, quindi si ha una struttura a pettine; in sostanza, prendendo in considerazione due file, avremo uno "zigzag".

Una in basso e l'altra in alto, con più distanza ai lati per quelle pluricamera, che presentano lungo il Dromos, due camere laterali ed una centrale in fondo. Questi scavi sono rimasti in parte scoperti e ben in vista, si possono vedere tranquillamente anche nei loro particolari, senza sporcarsi troppo, o dover addentrarsi fra rovi e piante spinate.

C'è da notare che le tombe in basso a destra nella pineta, sono senz'ordine geometrico, mentre invece, salendo alla nostra sinistra, si hanno le file a pettine, infine, salendo ancora, si vanno diradando.

Ancora più in alto, ed ancora più a nord si trovano altri gruppi di tombe, senza ordine di riga, né sequenza metrica, ma molto più profonde ed anche con un Dromos di larghezza superiore alle altre, mentre in questo punto, tendono a scomparire le tombe con più camere, infatti hanno di solito una sola camera più grande ed al centro, in posizione fine Dromos.

Le nicchie ai lati dei Dromos, invece sono molto più numerose in questa zona, alcune ne hanno addirittura 8, e spesso una delle file di nicchie è alta ed una bassa, al livello del pavimento.

Analizzando una delle tombe appartenenti alla lunga schiera, abbiamo notato che alcune sono state usate in più epoche, lo si può capire dal diverso materiale di riempimento: a volte muratura, dura e consistente e a volte invece di riempimento pietrisco e tufo in polvere, inoltre le nicchie lungo il Dromos non sono tutte uguali, ma dallo stile diverso, con la tegola di tappatura di un altro colore. Alcune invece sono a due piani, in pratica la prima sepoltura, in epoca più remota, fu costruita sotto al livello di quello che adesso è il pavimento; la seconda sopra il Dromos riempito della prima, costruita in un tempo più recente, con un'altra serie di nicchie, diverse da quelle del piano sottostante. Per questo motivo non si può stabilire alcune volte, un'età precisa di queste opere, anche se approssimativamente le lavorazioni sembrano essere d'epoca etrusca .

In alcuni punti tra uno scavo a l'altro, a distanza di tre metri, non vi è una tomba come le altre ma un Nicchiaio, Dromos un po' più lungo dei solito, ma poco profondo, con sole nicchie sia a destra sia a sinistra, a volte anche di distanza un metro l'una dall'altra, ma nessuna camera di tomba.

 

Tutto intorno, rispettando una geometria casuale ci sono dei saggi scavi di ricerca per tombe, alcuni sono di un metro per due, profondi anche tre metri, forse questi punti sono indicati agli scavatori clandestini dai famosi Pendolisti, persone convinte di riuscire ad individuare i vuoti e le cavità sotterranee attraverso l'uso di un pendolo recante all'interno dei materiali per "ricerca specifica, o come li chiamano loro "i testimoni".

Forse questi saggi sono stati fatti ad intuito o con dei calcoli in base alle distanze e teorie sulle geometrie usate dagli etruschi nel costruire tombe.

Rimane il fatto che, le persone del posto possono confermarlo, se si viene qui una volta al mese e si ha una buona padronanza delle zone, si potrà notare che ogni volta c'è qualche saggio in più. Ci s'accorge subito di certi saggi, perché si nota bene, da lontano nel bosco la terra scavata e rimossa di recente, poi si vede che a terra vi sono bottiglie vuote e pacchetti di sigarette; resti di un duro e faticoso lavoro di scavo notturno.

Ci hanno raccontato, che in questa zona è usato un altro metodo di ricerca, per individuare i Dromos delle tombe eventualmente scampate ai picconi dei vari gruppi di scavatori clandestini; è usato un attrezzo chiamato "spillone", in sostanza uno stilo di ferro con un manico rotondo tipo manubrio all’estremità superiore montato perpendicolarmente all'asta.

Quest'attrezzo si conficca nel terreno fino a raggiungere lo strato di tufo, che si trova a circa 40/60 centimetri sotto terra.

Di solito si fanno delle punture al terreno, perpendicolarmente a dove si pensa che passi il Dromos, e facendo un buco ogni dieci centimetri circa, si potrà stabilire, calcolando la differenza tra quando va troppo giù e quando la profondità ritorna normale, il punto preciso dove il Dromos si trova sotto terra, ed anche la sua larghezza, e profondità. I ricercatori moderni invece si sono attrezzati bene, la tecnica di ricerca è cambiata molto con il progresso dell'elettronica moderna. Il "Georadar" per esempio è un apparecchio in grado di visualizzare il sottosuolo fino ad una profondità di circa due metri e cinquanta, con un massimo di 6 metri per quelli più costosi, con Microprocessore Pentium Disco Rigido da 10 Gb per la memorizzazione del passaggio dei dati sequenziale. Poi attraverso un convertitore analogico digitale vengono convertite delle microonde di rimbalzo, che tornano indietro rimbalzando dal sottosuolo, con più o meno velocità e consistenza, in relazione al punto su cui sono rimbalzate. La conversione dei dati in impulsi digitali viene poi impostata a valore variabile binario, che va tra lo 0 ed il 255.

Ognuno di questi numeri proviene da un punto preciso della sonda di scandaglio o "Antenna Ricetrasmittente", viene poi riportato su un monitor sotto forma di un puntino "Pixel" più o meno luminoso in base al valore del numero variabile di cui parlavo prima (da zero a 255). La velocità dei dati, ed il completo spennellamento dei monitor, da parte del Pennello Elettronico che si trova dentro il Tubo Catodico, darà poi forma visiva del punto sul quale ci si trova con la sonda in quel momento, fornendo anche l'immagine in movimento, e con la possibilità di memorizzare il piccolo filmato digitalmente.

Ma torniamo a descrivere la zona. C'è un Dromos di questi molto strano, uno degli ultimi della seconda fila partendo dal piano della Strada Antica, il quale non è come gli altri.

In basso dove ha inizio il Dromos, ci troviamo ad un livello più basso di quello della fine Dromos, dove c'è la tomba centrale frontale.

In 99 casi su 100, i Dromos scorrono in piano, o magari tendono un po' a scendere verso il basso, e l'ingresso della tomba centrale è sempre al livello dell'inizio del Dromos, diversamente, la camera della tomba potrà essere di livello più basso rispetto a quello del Dromos, ma mai più alto.

Quindi ci troviamo di fronte ad una struttura insolita e diversa dalle altre,

 


SCARPATA DI PIETRA CON ALCUNE TOMBE RUPESTRI

 

con la camera centrale più in alto del pavimento di circa un metro e ventidue centimetri, mentre a metà strada fra l'inizio Dromos ed il frontale, c'è un repentino rialzo di circa 80 cm, al livello del quale si possono notare alcune nicchie laterali basse e piccole, mantenendo l'altezza dei Dromos, anch'esse di circa 80 cm.

Pensiamo che questa differenza di livello non sia altro che una tomba costruita sopra un'altra già esistente, con un riempimento fino al livello di copertura di tutte le volte degli ingressi sottostanti di nicchie ed eventuali camere. Poi è stata costruita l'altra tomba sopra il primo riporto. Quindi, a parer nostro, si tratta di una tomba a due piani, con la parte dei piano inferiore ancora da scoprire, ma tappata con una muratura ben più dura del nostro moderno cemento, un materiale che è un insieme di detriti di mattone rosso, tufo fino ed un elemento ricavato dalle piante, che. unendosi chimicamente al calcare delle acque, ha formato un materiale durissimo.

Un altro punto che non ci convince è un po' più a sinistra dove sembra mancare una tomba perché tra le due non ci sono i soliti tre metri di distanza come tra le altre tombe di tutta la fila, ma circa sei metri. Eppure nel centro di questo metraggio non ci sono segni di Dromos, ed in questo punto c'è della pietra, quindi si vedrebbero chiaramente le tagliature dei suo inizio.

Chissà, può essere che per qualche motivo, all'ultimo momento abbiamo deciso che in questo punto il materiale non fosse idoneo, e quindi abbiamo optato per non costruire questa tomba, o forse esistono altri tipi di coperture, o di riempimenti di cui non conosciamo l'esistenza.

Ad esempio, se avessero riciclato lo stesso materiale dello scavo, per ricoprire il Dromos, con il passare dei tempo si sarebbe indurito, e ricomposto bene al punto da far sembrare il piano tutto unito e della stessa pasta.

Ma le cose strane qui non finiscono mai anche perché la zona è vasta e con tanto bosco, da far sì che non si riesca ad orientarsi bene se non si è esperti della zona, quindi molte cose non si vedono nemmeno passandoci ad un metro di distanza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 13

 

E' tutta una foresta questo posto, dissi io e la donna rispose: "E' una foresta adesso , ma ai miei tempi la zona era coltivata e polita, senza rovi o erbacce". Il panorama era stupendo, da qui si vede il lago di Chiusi, quello Trasimeno, e tutta la vallata compresa fra il nord ed il sud, passando per un centro immaginario che è l'est. Ma vi dirò di più aggiunse la Donna , noi eravamo molto fieri delle nostre Necropoli. Come saprete noi eravamo un grande popolo, e abitavano per la stragrande maggioranza qui nel centro Italia, l'ultimo dei nostri Cimiteri Etruschi lo pianificammo proprio qui dove siamo noi adesso. Le nostre camere funebri le facevamo con ingegno ed astuzia, per far capire ai popoli che sarebbero venuti dopo quanto eravamo bravi, in oltre i nostri scavi erano una volta molto nascosti e protetti da eventuali profanatori. La Citta mentre la Donna parlava si era avvicinata a me sempre di più . al punto che sembrava un francobollo appiccicato ad una lettera. Noi ascoltavamo attenti ed in silenzio , ed i nostri corpi in breve tempo furono nudi, e le mostre menti finirono per non seguire più quello che lei ci stava dicendo. La donna a questo punto , essendo un po' stanca dalle ricerche effettuate durante il giorno, ed un po' delusa perché non aveva ancora scoperto molto si allontano lasciandoci continuare le nostre effusione , in silenzio senza salutarci, ma sussurrando qualcosa........

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ZONA “13”

 

 

 

Località Solaia Bassa

 

 

 

 

La Solaia come già si può intuire dal nome, è una zona di sole e solitaria, molto in alto, circa 700 metri un panorama che ci offre la veduta di Radicofani, il Monte Amiata e ad est i laghi: il Trasimeno, quello di Chiusi e quello di Castiglione dei Lago, ed in mancanza di foschia si vedono anche gli Appennini centrali.

Ci troviamo in una zona boscosa, le tombe sono disposte apparentemente senza alcun ordine geometrico, i Dromos naturalmente sempre rivolti a sud, e le strutture interne diverse l'una dall'altra.

Il sottosuolo in questo punto è molto roccioso ed il tufo più duro di quello della zona precedente, poco più in basso di qui. I Dromos non sono tanto lunghi, di circa due, tre metri, le nicchie si vedono molto raramente, nei Dromos vi sono di solito due tombe laterali grandi, ed una centrale principale.

 


GIANCARLO LUNGO IL VIALE CHE PORTA ALLA NECROPOLI

 

Alcune di queste hanno una sola camera centrale molto ampia, all'interno sono solite essere di forma rettangolare e non più rotondeggiante come quelle analizzate fino ad ora.

Gli etruschi in questa zona hanno sfruttato per le loro tombe anche il cordolo sottostante la vecchia strada, la quale sale all'interno della bassa Solaia, infatti alcune tombe piccole, ad una sola camera di forma rettangolare, con piccolo Dromos, sono disposte al disotto della strada, ben visibili passando per il prato sottostante la piccola strada sterrata. Sono di solito a serie di tre.

Sotto questo piano, a circa venti metri c'è la strada Sarteano Castiglioncello, in alcuni punti questa è stata costruita scavando in profondità, tre metri di tufo per sei di larghezza.

Durante la costruzione della carreggiata, in quel periodo furono scoperte alcune tombe di quelle un po' più profonde, percorrendo la strada in questo punto, si vedono infatti ancora oggi sul ciglio destro, salendo verso Castiglioncello alcune tombe. La loro camera centrale infatti è stata aperta sulla parete ovest, se ne può vedere bene l'interno senza doversi addentrare troppo nei boschi o nella campagna.

Da queste parti, i curiosi appena finito un temporale, usano fare una gita lungo questa strada Sarteano‑Castiglioncello, molto lentamente e soprattutto scrutando bene le banchine di tufo della strada statale; piovendo, infatti, l'acqua porta via da queste pareti due o tre centimetri di materiale dando così luogo spesso, allo scoprirsi di qualche camera, la quale era quasi in superficie e sono bastati quei pochi centimetri di terra tolta dalle acque, per portarla alla luce.

Infatti in moltissimi punti, sempre durante la costruzione della strada, sono arrivati a consumare il tufo, fino a pochissimi centimetri da qualche camera di tomba etrusca. Qui vicino a pochi metri ci sono i resti, ormai solo le fondamenta, di un vecchio podere una volta abitato, Il Fitto, casolare posto al centro di una valle pianeggiante dove si trovano, forse ancora intatte alcune necropoli. Ad est, sotto questa zona, c'è il Podere 1 Cappuccini, con una Chiesa che una volta era una Frateria, poi, ancor più conosciute le Celle di S. Francesco. Da qui conoscendo bene i viottoli lungo i boschi ci si può arrivare a piedi in dieci minuti.

Per finire, Solaia Bassa possiede un punto dove il pavimento è un lastricato unito in pietra, dove ci sono molte tombe a Dromos corto, in pietra, e con camera piccola, in questo piano di pietra si vedono su di esso anche delle staccature. Analizzando bene da vicino, ci si rende conto che si tratta molto probabilmente di Ziri del tipo scavati in pietra e coperti a lastrone.

Se queste piccole fessure risultassero essere “tappi di Ziro”, in questo piano dovrebbero essercene una quarantina, messi alla rinfusa, praticamente senza che si rispetti un ordine geometrico ben preciso. Abbiamo raccolto su questo punto una storia di un ex scavatore clandestino, che, quando era più giovane, assieme ad un suo amico venne qui e, individuato un Dromos sotto la strada sterrata, incominciò a scavare.

1 due faticarono per quasi tutta la notte, ed alla fine riuscirono ad arrivare al tappo della camera centrale.

Alle cinque di mattina finalmente, facendo bene leva tolsero il tappo, ma la sorpresa fu grande, la camera della tomba era vuota, il pavimento sembrava appena spazzato, e non vi era traccia di nessun oggetto.

Chiedemmo: "Ed il soffitto della camera quanto era alto?" Poco più di mezzo metro" risposero. Questo dettaglio ci sembrò strano.

Parlando ancora con quell'uomo gli facemmo poi capire, che in alcuni punti particolari, dove l'infiltrazione delle acque è abbondante, succede questo: l'acqua gocciolando dal soffitto porta con sé dei piccoli detriti dello stesso e con il passar dei secoli si viene a creare un sedimento calcareo o arenario, a volte anche di 1 metro di spessore sopra quello che era il pavimento effettivo della Camera.

"Quindi voi praticamente avete aperto una camera non di quelle già profanate, ma "inviolata", e gli oggetti erano tutti lì, al loro posto, l'unico problema era che non si vedevano, in quanto coperti da uno strato di deposito sedimentario."

 


ROCCIA A CHIUSURA DI UN TUNNEL CON INCISONE

 

La strada piccola e sterrata in questione, a pochi metri dall'incrocio "Macchia Piana" è molto importante, perché reca sulla sua sinistra, salendo, un piccolo arco che si intravede appena, chiaro segno di una

 


L’INCISIONE SULLA PIETRA ESTRAPOLATA

 

tomba etrusca, con il Dromos che attraversa tutta la strada, e la

camera sicuramente coincidente con la panchina sinistra.

In questo punto anche un occhio non esperto potrebbe individuare che c'è una tomba con sicurezza, addirittura guardando bene, sembrerebbe una tomba doppia, con due camere vicine, divise forse da una piccola intercapedine.

Esistono inoltre due avvallamenti sospetti, sembra che lungo questa piccola strada ci siano altre due tombe e sicuramente, con lo scorrere delle acque, prima o poi se ne potranno vedere i tagli dei Dromos ed anche i frontali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 14

 

Io e la Citta guardavamo la Donna ed attendevamo che ci parlasse delle sue ricerche giornaliere, ma lei restava li a guardarci in silenzio. Quella notte non si sentivano i soliti rumori della campagna, si sentiva soltanto una voce , il silenzio della notte. Ad interrompere quel silenzio fu la donna , che ci disse: "Citti questa è l'ultima tappa delle mie ricerche , sono delusa , ma per farvi capire tutto quello che vi ho detto fino ad ora , vi pregherei di accompagnarmi fino al posto dove si trova la mia  Tomba. Io e la Citta senza esitare troppo la seguimmo tenendoci per mano, mentre lei andava con passo lento verso il suo ultimo funerale. Il nostro cammino fu lungo e tortuoso, nel silenzio c'era anche la mancanza del profumo della notte, dormiva anche lui, poi la donna senza voltarsi si fermo davanti ad una rupe, che a me sembrava una parete di tufo. Ci fermammo anche noi in quel punto, e mentre stavamo guardando tutti e tre la parete di tufo, la terra come se fosse un fiume comincio a scorrere , ma in senza contrario , aprendoci un buco di circa due metri per due, la terra continuava a muoversi aprendo la strada e creando dei piccolo mucchietti ai nostri fianchi. La terra continuava ad uscire a tal punto che io pensavo che potrebbero essere stati circa cinque camion di materiale. La luna era di colore rosso in quei momenti, le nuvole correvano velocissime verso l'infinito, sembravano dei miti cavalieri con cavalli bianchi e grigi che andavano in luoghi di guerra. Entrammo in fine in questo ormai tunnel , che discendeva sotto terra ad un dislivello di circa otto metri, ed era di lunghezza circa ottanta metri. Il tunnel ci portò dentro una stanza talmente grande che io pesai ci sarebbero state dentro almeno trenta automobili, . La Donna continuava nel suo cammino , mentre noi due come due bambini in un supermercato ci lasciammo le mani e cominciammo a correre di qua e di là , in questa grande stanza. Può darsi che non riuscirò mai a descrivere tutto quello che c'era li dentro, praticamente; lance con la punta d'oro,  Tombe ed i Sarcofagi contornati da cornici dorate, sculture , e i dipinti  a muro,  terrecotte raffiguranti animali dipinte, ed altri oggetti in qua e in là in oro argento e bronzo, casse di orecchini colorati in metalli preziosi , mischiati a bracciali Etruschi di valore incalcolabile, la Citta si mise a prendere in mano ed ammirare con cura un po' di tutto quello che vedeva, ma poi rimetteva subito tutto al suo posto, perché andando più avanti trovava sempre qualcosa di meglio . A me interessavano invece le sculture e le pitture sui mori , che a vederle mi facevano pensare a ricette o a degli studi fatti sulle medicine o sulle piante, forme che davano l'idea di studi sulle persone , ed altre che sembravano parlare di astrologia galattica, vedevi sui muri in quei disegni, anche la guerra , la botanica, la chimica, e lo studio sui corsi delle acque. Ma non potevamo soffermarci allungo , perché le cose da vedere erano talmente tante che non saremmo  mai riusciti a vederle tutte. Le Citte erano ormai arrivate infondo a questo museo dei musei più grande di tutti quelli esistenti messi insieme, questo enorme posto si immetteva poi in un tunnel grande circa otto metri per otto , la Citta era rimasta un po' indietro , causa la sua voglia di provare tutto quello che vedeva, si era anche messa in testa una corona d'oro. Man mano che si andava avanti gli oggetti erano sempre più belli ed in oro più pesante, e le lavorazioni magnifiche contornate da diamanti , perle e zaffiri di vari tagli e grandezza. La nostra gioia era immensa, poi ci siamo accorti che dentro questo grande tunnel ad un certo punto c'era una palla di materiale difficilmente riconoscibile, era talmente rotonda e precisa che mi soffermai a guardarla , e mi sembrava la forma della terra, oppure della luna , o del sole, ma una cosa era certa: aveva un diametro di trecento cinquanta centimetri. Superata la palla di pietra il tunnel in quel punto era pieno di tombe laterali , e di armature in bronzo che sembravano li a fare da guardia. In fine ci trovammo in un'altra stanza , più grande e più bella della prima, piena di enormi sarcofagi e con altre tombe tutte intorno. Io e la Citta ci soffermammo un po' mentre la Donna continuava nel suo cammino, fino a che si sdraiò in un sarcofago , noi ci incamminammo piano piano la infondo dove erano quei due grandi sarcofagi, con stupore a quel punto vedemmo che per terra sul pavimento oltre che alle bellissime cose in oro e vasami vari , c'erano anche delle forma a grandezza naturale di animali vari ,come cani , pesci , uccelli ecc. ecc. Con voce premurosa per non svegliare i morti la Citta esclamò: "Guarda queste uova, questi pulcini d'oro , e queste galline" , sono come nel sogno che ho fatto quella volta. Arrivammo così in fondo alla stanza e guardammo i due sarcofagi, ma la Donna era sparita, c'erano soltanto due grosse pietre rettangolari con tante sculture intorno, e sopra in una c'era scolpita una Regina, mentre nell'altra la scultura raffigurava un Re con in mano una pietra che a me sembrava un Mosè. Il mio presagio era sparito, durante il ritorno , quando fummo nel punto zero del primo tunnel, ci accorgemmo che tutta la grande quantità di terra stava scorrendo come un fiume , in senso opposto a quello durante il nostro ingresso, scorreva fino a coprire il buco da dove eravamo appena usciti. In quel posto non rimase traccia alcuna di nulla, solo l'erba verde e fresca sfiorata da un vento dolce del mattino , che assieme al canto degli uccellini ci davano il buongiorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ZONA “14”

 

 

 

 

Località Poggio il Gallo

 

Meglio conosciuta dagli abitanti anche come "Romitori", a 790 metri sul livello del mare, confinante con la Solaia, e con Poggio Pietra Porciana, questa zona si trova a metà strada tra la Solaia alta ed il podere Poggio Bianco.

Il nome di questa località è dato da una storia, che avrete modo di leggere nelle prossime righe.

Poggio il Gallo o "Romitori", come si può ben capire dal nome, è un poggio, non tanto grande, ma abbastanza da far sì che gli etruschi costruissero anche qui delle tombe, e chissà poi cos'altro.

Queste tombe sono diverse da quelle della Solaia, anche se i luoghi sono molto vicini, si tratta per la maggior parte di Tombe a Cassettone particolari tombe senza Dromos a pochi metri di profondità e che hanno come soffitto dei tegoloni, simili a quelle d'epoca romana che si possono vedere a

Sarteano in zone come S. Apollinare, Podere Colombara, dalle parti della Cartiera, e nella Necropoli da noi scoperta di Beccafumo, nella quale zona, in particolare, ve ne sono molte ancora vergini.

Ma questo posto non è interessante solo per le Tombe Etrusche, bensì per una storia tramandata di padre in figlio per migliaia di anni, una delle più strane storie legate a questi posti e che si possono sentire raccontare solo da pochissime persone di Sarteano.

Andando da Poggio il Gallo in direzione Solaia, per i viottoli esistenti da migliaia d'anni, si passa per un punto dove c'è un enorme blocco di pietra pesante migliaia di tonnellate, che sembra appoggiato lì sul terreno, senza però farne parte, infatti è distaccata da esso nella parte a contatto.

Su questa pietra, nella facciata a sud‑est, c'è un'enorme strisciata come incisa da qualcosa, la gente chiama questa profonda striatura della pietra "la codata dei diavolo".

La storia dice che centinaia d'anni fa il diavolo venne fatto arrabbiare da qualcuno e lui, preso da tutte le furie, con una codata ed un giro su se stesso riuscì a staccare un pezzo enorme dalla parete nord‑est della Solaia, e scaraventarlo fino a qui.

Fu così che lasciò sulla pietra questa strisciata molto evidente, curvata al punto che sembra, guardandola bene, proprio una coda enorme e lunga.

Abbiamo voluto parlare di questo luogo anche per un altro motivo. Qui, a poche centinaia di metri, c'è il posto dove diceva d'essersi nascosto l'uomo del racconto precedente, in sostanza l'ingresso sotterraneo al lago e alle caverne con diramazione stellare.

Poco distante c'è una zona chiamata Le Crocette, con un piccolo parco boschivo, delle panchine in legno ed un braciere.

Dalle Crocette, salendo per un sentiero di circa 1 Km. si arriva, passando accanto ad una favolosa faggeta, in una località chiamata "Pietra Porciana"

 


GRAFICA DELLE TOMBE A SCHIERA AI “ROMITORI”

 


NICCHIA RUPESTRE  SOPRA LA SCALINATA

 

zona molto in alto, il panorama è stupendo in tutte le direzioni, tanto bello che dà l'idea di essere sulle nuvole e guardare dall'alto i piccoli paesi che si vedono, come nelle foto satellitari.

Qui in alto vi sono chiare tracce di insediamento dell'epoca Paleolitica inferiore. Nel 1965 vennero recuperati dei resti di ceramica d'impasto provenienti da una grotta di epoca della fine dell'età del bronzo, meglio classificabili come di fine del neolitico, inizio dell'età del ferro.

Si notano subito scendendo verso sud alcune tombe scavate in pietra, naturalmente già aperte, formano una schiera di tre file, la prima fila è composta da 7 tombe aperte visibili, a distanza calcolata come se fossero tutte visibili, di 5 metri l'una dall'altra, la fila sottostante invece mostra soltanto due tombe aperte, l'ultima fila infine, ancora più in basso, è composta da una sola tomba aperta visibile.

Lo spazio che divide le file di tombe è di 5 metri, abbiamo lavorato sodo per ricostruire un tracciato della schiera completa, in fine siamo riusciti ad individuare le altre eventuali tombe mancanti all'appello, per poter così completare l'intera mappatura geometrica della valle a sud.

Ci sono inoltre altre tombe, all'interno della Faggeta, orientate a Nord‑est, tombe cosiddette povere, a parete, da giudicarsi eventualmente del tipo rupestre. Con camera molto piccola, queste tombe hanno un volume di circa 4 metri cubi, leggermente stondate all'interno, e con il tappo in materiale tufaceo.

La zona è molto vasta, al di sotto nella faggeta, ed andrebbe analizzata più a fondo, si pensa comunque che siano rimaste inviolate in questo punto circa 10 tombe dello stesso tipo di quelle visibili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 15

 

La notte era calda e serena, io e la Citta vestiti a festa eravamo sopra uno di quei tanti ponti che attraversano l'autostrada del sole, era notte e guardavamo le grosse moto, le auto, i camion, ed i pullman, correre sia a sud che a nord, ma dove saranno mai corsi? Eravamo li immobili a guardare tutte quelle luci correre veloci sotto di noi, da una parte avevamo la città di Chiusi Etrusca, dall'altra la città di SARTEANO con tutta la sua grandezza in fatto di Necropoli Etrusche , e zone archeologiche, da noi scritte , e tuttora celate dalla terra, e noi, li a dire e commentare. Quando il giorni scacciava la notte ci trovammo li sdraiati, ad aspettare che di nuovo che arrivasse il riposo di una nuova notte, notte di lussuria, come questa passata e consumata qui sul pavimento di questo ponte di campagna che scavalca l'autostrada , piena di traffico e rumore di macchine che corrono ma chissà poi dove. Lasciando tutto quel tesoro alle nostre spalla ci incamminammo poi ognuno per la nostra strada, ma con un dovere verso la Donna, in onore del suo popolo, quello di far conoscere e di scrivere molte lettere alle autorità , agli addetti ai lavori, e tramite tutti i mezzi di informazione , affinché tutto il mondo possa così conoscere quale è stato l'ultimo cimitero del grande popolo Etrusco , e della tomba della sua Regina ed il suo RE di nome PORSENNA . Questo è il minimo che noi possiamo fare "io Citto tu Citta", per la Donna , e verso l'umanità , impedendo così di far disperdere e deturpare quello che è il tesoro di tutto noi lasciatoci in eredità , nascosto in quelle ombre della notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“In conclusione noi saremmo molto felici, un giorno, finalmente di vedere le strutture da noi scoperte ed individuate, portate alla luce, potendo finalmente ammirare, tante altre bellezze del passato, le quali arricchiranno ancor più il nostro magnifico ed unico Patrimonio Artistico Nazionale.

Abbiamo fatto tutto questo per passione, e per gli altri, a noi come ricompensa, basterà semplicemente il fatto di esserci riusciti.”

 

Hanno collaborato:

 

Stefano Romagnoli   (scrittore ricercatore ed esperto del luogo)

 

Vito De Ieso  (scrittore arrangiatore organizzatore e supporto)

 

Giancarlo Pellegrini  (scrittore promotore di azioni e fiduciario)

 

Monaci Marino  (fotografo)