IL Re Porsenna:

(1) IPOTESI SUL LABIRINTO "MAUSOLEO O TEMPIO"

Possiamo perfino chiederci se esistesse ancora qualche cosa ai tempi di Varrone: è vero che il tratto citato è scritto al presente, ma la notizia rimanne incompleta, secondo Plinio, perché Varrone ripugnò - puduit – ad indicare l’altezza delle piramidi più elevate, come se seguisse fonti di cui non si sarebbe veramente fidato, senza possibilità di verificare sul posto.
E Plinio ricorda fabulae Etruscae per trovare la precisazione sulla quale conclude la descrizione del monumento, di cui affermava sin dall’inizio la fabulositas.
Lo scetticismo dei due antiquari è abbastanza giustificato dalla sparizione di una costruzione alla quale la tradizione attribuiva dimensioni considerevoli: una base quadrata di 300 piedi di lato per un’altezza totale di 600 piedi, cioè in misure moderne: 88,8 m su 177,6 m^- cifre che sembranotroppo elevate per i mezzi tecnici dell’epoca.
Inoltre, queste stesse cifre, che suppongono un modulo di 5 piedi e dei rapporti precisi fra tutte le parti del monumento indicano in qualche modo un’opera ideale, qualcosa come un esercizio scolastico, perfino un modello teorico che non sarebbe stato effettivamente costruito.
Rimane comunque un punto della descrizione del monumento che sembra importante, mentre è piu’ o meno trascurato dai “ricostruttori”: tutti si sforzano di ritrovare la disposizione delle piramidi su parecchi livelli, con piattaforme che le collegano e gli accessori, dischi o gugliette, che le sormontano, ma ben pochi si preoccupano dell’ interiore della base stessa del monumento, del cosiddetto labirinto che avrebbe contenuto e che giustificherebbe il nome dato all’insieme.
E’ vero che la parola   sembra a volte indicare un monumento omportante di pietra, senza che ci fosse necessariamente dentro un percorso labirintico nel senso stretto che diamo oggi a questo termine.
Perfino nell’elenco dei quattro labirinti che da’ Plinio, è chiaro che almeno uno, quello che si colooca a Lemno – ma che doveva trovarsi piuttosto a Samo non comportava nessun percorso completo, ma solo un insieme di cento cinquanta colonne perfettamente equilibrate: Eppure nel caso del monumento di Chiusi Varrone insiste sulla presenza di un vero labirinto inextricabilis, che si ritrova in un Virgilio, nella descrizione del labirinto cretese figurato sulle porte del tempio di Apollo a Cuma; poi parla della necessità di utilizzare un filo per dirigersi dentro, ciò che non può non far pensare al filo dato da Arianna a Teseo.
Questo labirinto è un labirinto quadrato. Sappiamo che le monete di Cnoso rappresentano quello che sembra essere la pianta del labirinto cretese, il più spesso sotto la forma di un disegno quadrato, ma almeno una volta sotto la forma di un disegno rotondo.
Nella stessa Etruria, l’oinochoe di Tragliatello, presenta un labirinto di forma rotonda, abbastanza grossolano.
In quanto alla ricercasul territorio, si è potuto credere un tempo che la sepoltura del re etrusco fosse stata ritrovata nel tumulo di Poggio Gaiella , esplorato nel 1841, poi è stato capito che i corridoi sotterranei che collegano le diverse camere funerarie fossero probabilmente opera di tombaroli e non potessero dunque  rappresentare i passaggi di un labirinto antico.
E’ certo possibile supporre che codesto tumulo sopportasse la costruzione descritta da Varrone, ma l’ipotesi e perfettamente gratuita.
In realtà il problema della localizzazione esatta del labirinto toscano si poneva già a Plinio, poiché non c’èra più nessuna traccia nel suo tempo, come per il labirinto cretese.
Si dice che Papa Pio II, recandosi al congresso di Modena nel 1459, e passando per Chiusi, cercò il labirinto che Porsenna, re leggendario della città, avrebbe fatto costruire come sepoltura: l’interesse archeologico per questo monumento non è dunque cosa nuova!
Ma di questo sepolcro sappiamo solo quello che ci fornisce una testimonianza indirette di Varrone, trasmessa da Plinio, che l’ha completata con dati presi, secondo le sue parole, dalle fabulae Etruscae.

 

(2) Parole di Porsenna junior :

Uscii dalla Città e scesi nella valle lungo il sentiero da cui un tempo ero venuto. Io non scelsi la strada facile, che conduce alla montagna sacra, quella usata dai tagliapietre, bensì la Scala Santa fiancheggiata dai pilastri di legno dipinti… In silenzio oltrepassai l’ingresso alle tombe segnate dai tumuli di pietra e prima di toccare la vetta, mi imbattei anche nella Tomba di mio Padre.
Dinnanzi a me, in ogni senso, si stendeva vasta la mia terra con le sue fertili vallate e le sue boscose colline.
A settentrione luccicavano le acque azzurro cupo del mio lago, a occidente si levava il cono tranquillo ch’è la montagna della dea, dirimpetto si stendevano le dimore eterne dei trapassati.
A parlare così è il protagonista: Turms. Figlio di Porsenna. La terra descritta sembra essere esattamente la zona compresa tra Chiusi e Sarteano.
Il lago a nord, il cono tranquillo che è la montagna di Cetona ad ovest; le strade usate dai tagliapietre, e cioè le vie cupe, “Via Inferi” che portavano dalla cava di travertino di Sarteano “Pianacce”, a Chiusi; la valle con le tombe dei trapassati, “Costolaie San Giuseppino”.
Il figlio di Porsenna dice di essersi imbattuto nella tomba del padre, che evidentemente non era cosi’ imponente.
Ma si trovava li tra la montagna sacra e la sua città “Chiusi”.
Anche Turms si fa poi seppellire nello stesso luogo.
Questa sarà la mia sepoltura, scavatela nella montagna e ornatela come si addice al mio stato.

 

(3) Il Tesoro Di Porsenna:

II tesoro nascosto più antico d’Italia è certamente quello del re etrusco Porsenna, che risale al V secolo a. C. «Non c’è popolo europeo ha scritto Werner Keller, autore fra l’altro del famosissimo La Bibbia aveva ragione  che sia stato maltrattato quanto gli etruschi, ne popolo la cui eredità sia stata così sistematicamente distrutta. Come se la posterità si fosse ripromessa di spegnere ogni traccia del ricordo di una nazione che un tempo scrisse con la sua azione pionieristica il primo grande capitolo della storia dell’Occidente».
Questo antichissimo popolo italico si e lasciato dietro un alone di mistero e una fama poco invidiabile. Venuti non si sa da dove e nascosti dietro una lingua indecifrabile, gli etruschi sono stati presentati per secoli attraversò tutta l’età classica come una razza di pirati crudeli, adoratori di dei infernali, superstiziosi cultori di un’arte divinatoria spinta sino al limite della follia, e incalliti libertini dediti ai piaceri più smodati.
Solo negli ultimi decenni questo quadro è stato smontato pezzo per pezzo egli etruschi, provenienti con ogni probabilità dall’Asia Minore, hanno riassunto il loro vero volto di popolo civilissimo, dedito ai commerci marittimi ne più ne meno dei fenici e dei greci; inclini ai presagi offerti dai fenomeni naturali come tutti i popoli antichi; e colpevoli del solo reato contro la morale di ammettere ai loro conviti anche le donne, contrariamente ai pregiudizi misogini del mondo ellenico.
Anche il mito della lingua misteriosa si è andato sfaldando seppure a fatica per lasciare il posto a testimonianze non tanto indecifrabili, quanto indecifrate, e soprattutto difficili da interpretare ai fini di un’esatta comprensione di quell’antica cultura. Una cosa però è quasi certa: Roma nasce etrusca, fondata non dal suo eponimo Remolo ma dal terzo dei suoi mitici re, Tarquinio Prisco, un etrusco poi seguito da altri due sovrani della stessa origine, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. L’ultimo re di Roma il Superbo, appunto viene cacciato attorno al 500 a. C. e significativamente va a cercar rifugio proprio presso quel popolo che amava chiamarsi Rasena ma che i greci avevano ribattezzato Tyrsenoi, o Tyrrenoi; e i latini Tusci, o Etrusci. Ed è a questo punto che entra in scena il nobile (/ora) Porsenna.
L’Etruria si stendeva dall’attuale Lazio settentrionale a tutta la Toscana e parte dell’Emilia Romagna. Non aveva una struttura centralizzata, ma si basava su una serie di città-stato rette da re sacerdoti, detti lucumoni, e confederate nella cosiddetta Lega dei 12 popoli. Uno dei centri principali era Clausium, cioè Chiusi, il cui lucumone Porsenna non si limita ad accogliere il re fuggiasco, ma decide di muovere guerra a Roma.
La leggenda pone sulla strada del re etrusco due eroi destinati a fama imperitura: Muzio Scevola, che dopo aver fallito un attentato contro la vita del lucumone decide di castigarsi da solo stendendo la mano su un braciere ardente; e Orazio Coclite, l’orbo impavido che da solo riesce a bloccare l’esercito nemico nel mezzo di un ponte sul Tevere. Gloriosi episodi individuali che, come spesso avviene, serviranno agli storici della Roma imperiale per abbellire la sgradevole realtà di un’occupazione manu militari della Città Eterna.
Ma Porsenna, una volta padrone di Roma, non rimette sul trono Tarquinio il Superbo; e cosi gli etruschi dopo aver fondato l’Orbe diventano anche i padrini di quella Repubblica che poco a poco diventerà la massima potenza del Mediterraneo per oltre quattro secoli prima di cedere il passo all’Impero dei Cesari: un nuovo astro sorge, mentre il predominio etrusco s’avvia al tramonto; e fora Porsenna, saggiamente, opta ben presto per far ritorno a Chiusi dove morirà poco più tardi.
La tomba del lucumone è imponente, come si addice a un personaggio di tanta rilevanza storica e leggendaria. Scrive Plinio il Vecchio nel I sec. a. C., citando Varrone: «II re Porsenna giace sepolto nel sottosuolo della città di Clusium, sotto un monumento di pietre squadrate, largo 300 piedi e alto 50. Le fondamenta rettangolari e uniformi celano un intricato labirinto dal quale nessuno può trovare uscita senza un filo d’Arianna. Su queste fondamenta si alzano cinque piramidi, quattro agli angoli e una al centro. Sulla cima, ognuna reca un disco di bronzo da cui pendono campanelle appese a catene che lungamente risuonano a ogni alito di vento».
Plinio non parla del tesoro, ma è noto che gli etruschi con il loro culto della vita nell’oltretomba usavano riempire le estreme dimore dei personaggi più importanti di preziosa oreficeria, come è dimostrato dai vari ritrovamenti succedutisi nel tempo: lamine d’oro a Pyrgi, collane e fibule a Vulci, monete d’oro e d’argento a Populonia; e poi scarabei di pietre dure, bronzetti votivi, anfore, ceramiche, canopi dalla testa d’animale.
Nel corso dei secoli la caccia al tesoro etrusco è sempre stata di moda. A cominciare dal re ostrogoto Teodorico che nel V secolo d. C. statuiva: «È conforme all’uso tradizionale restituire all’utilizzazione umana i tesori che giacciono sotto terra e non lasciare ai morti ciò che può ancora servire ai vivi. Onde noi ordiniamo di iniziare ricerche affinché l’oro e l’argento vengano portati alla luce del sole, rispettando solo ciò che serve ai morti, come le ceneri custodite nei mausolei e le colonne che ornano le tombe, mentre non è disdicevole sottrarre l’oro che non ha più padrone...»
Da allora attraverso i secoli bui, il Medio Evo e il Rinascimento il saccheggio delle tombe etrusche è continuato senza interruzione, restituendo all’utilizzazione umana, come pudicamente si esprimeva Teodorico vere e proprie montagne di oro lavorato e di gioielli.
La ricerca diventa sistematica nell’800, a opera soprattutto dei principi Torlonia, proprietari di vasti domini presso Vulci, che si circondano di archeologi ed esperti, come [’incisore francese Alphonse Francois dotato di un fiuto straordinario e destinato a diventare famoso per la scoperta presso Chiusi, nel 1845, del vaso che ancor oggi porta il suo nome. Ma neanche il ‘naso’ di Francois è sufficiente per rintracciare la famosa ‘tomba di Porsenna e il mitico tesoro Che secondo le leggende, vi sarebbe contenuto.
Certo, le imponenti cinque piramidi di cui parlava Varrone — con i dischi di bronzo e le campanelle che tintinnano al minimo soffio di vento — non ci sono più: ma Chiusi, l’antica Clausium, deve pur ospitare da qualche parte il rifugio ipogeo del suo lucumone più famoso.
Per molto tempo le speranze si sono volte verso il Poggio della Gaiella, 6 chilometri a nord di Chiusi, dove era stato scoperto un immenso tumulo con una circonferenza di 250 metri, subito euforicamente battezzato la ‘tomba di Porsenna. Sotto si apre un vero e proprio labirinto con cunicoli e loculi disposti su tre piani, che hanno fatto naturalmente pensare alla descrizione di Plinio il Vecchio. Oltre cent’anni di scavi, però, non sono serviti a riportare alla luce alcun elemento che potesse confermare la speranza di aver finalmente messo le mani sull’estrema dimora del lars dopo ben venticinque secoli: e si è scoperto invece che il sottosuolo dell’odierna Chiusi e tutto una ragnatela di gallerie, in parte franate, di epoca pre-romana.
Un’altra vampata di entusiasmo si è accesa alcuni anni fa, quando proprio nel centro storico, sotto la piazza del Duomo, è stato scoperto un grande vano, sorretto da un pilastro e con le pareti ricoperte di travertino. La ‘tomba di Porsenna ? La sala ha però condotto soltanto a un nuovo labirinto che si è rivelato deludente quanto quello di Poggio della Gaiella.
Il cosiddetto ‘mistero etrusco  ha anche eccitato la fantasia di gruppi esoterici che a decine si sono dedicati all’impresa di stabilire un contatto, più o meno astrale, con gli spiriti.

 

(4) Il Re e i fulmini:

Questa è una delle leggende etrusche di cui si è conservata memoria. Plinio il Vecchio narrando del comportamento dei fulmini, riporta una storia etrusca secondo la quale un fulmine fu evocato dal re Porsenna per distruggere il mostro Olta che minacciava la città di Volsinii. Qui un animale mostruoso dalla testa di lupo viene spinto dentro un puteale, cioè una struttura simile ad un pozzo, che veniva costruita attorno ai luoghi colpiti dalle saette: erano delle vere e proprie <tombe> dei fulmini.

(5) IPOTESI:

Scoperto il mausoleo di re Porsenna?

Ciò che rimane della tomba del re etrusco Porsenna, il lucumone (o. magistrato con supremo potere civile, militare, religioso) vissuto nel VI secolo avanti Cristo e che riuscì anche a espugnare Roma, si troverebbe in un pianoro di ventisei ettari a est di Sarteano, nel cuore dell’Etruria, e non a Chiusi (dove il sovrano nacque), come ritenuto in prevalenza dall’archeologia ufficiale e soprattutto dallo storico latino Varrone. A sostenerlo è l’architetto Angelo Vittorio Mira Bonomi dice in un volume di oltre centoquaranta pagine corredato di foto, schemi e disegni, spiega come il monumento non sarebbe una semplice tomba, ma un santuario-mausoleo ben più grande, che per dimensioni e caratteristiche non poteva assolutamente poggiare sul terreno sedimentario di Chiusi, ma soltanto su un basamento roccioso come appunto è il pianoro.
Secondo Mira Bonomi, il mausoleo sarebbe stato composto da un blocco quadrato di quasi ottantanove metri per lato, sormontato da cinque piramidi, quattro ai lati e una al centro, alte ciascuna circa quattro metri. Sarebbe stato costruito in travertino locale, legno e bronzo e per portare a termine l’opera, una costruzione del tutto degna delle piramidi egiziane, gli operai avrebbero impiegato, secondo le ipotesi dell’architetto, ben undici milioni di ore lavorative.
E certo comunque che la tomba di Porsenna è da secoli al centro dei pensieri e delle fantasie degli studiosi di tutto il mondo, ma in realtà non è mai stata nemmeno lontanamente individuata. Nel cuore del mausoleo, secondo gli scritti di Var-rone e di Plinio il Vecchio, sarebbe anche nascosto un grande tesoro ed è proprio questo particolare a destare maggiori preoccupazioni: si teme infatti che alla caccia “ufficiale” al monumento si affianchi anche quella  illegale dei “tombaroli”.

 

(6) Fiere parole Da Gaio Muzzio Al Re Porsenna:

Mentre se ne andava di lì, facendosi largo da dove  egli stesso si era aperto un varco con la spada  insanguinata attraverso la folla impaurita, poiché, accorsa la gente al rumore, le guardie del re lo avevano arrestato, bloccato, lo portarono (lett. condotto) davanti al seggio del re, perfino allora temibile più che timoroso, in mezzo a così grandi minacce della sorte, disse: “Sono cittadino romano; mi chiamano Gaio Muzio.
Nemico, ho voluto uccidere un nemico, e di fronte alla morte non ho minor coraggio di quanto ne ebbi di fronte all’uccisione; tanto compiere quanto subire azioni valorose è degno di Romani. Né io solo ho concepito questi sentimenti nei tuoi confronti; dopo di me c’è una lunga fila di nomi che aspirano allo stesso onore. Perciò preparati a questa prova, se ti piace: a lottare ogni ora del giorno per la tua vita, e ad avere un pugnale nemico nell’atrio della reggia. Questa (è) la guerra che noi gioventù romana, ti dichiariamo (lett. Questa guerra la gioventù romana dichiariamo).
Non temere nessun esercito, nessuna battaglia: la cosa si deciderà fra te solo e ciascuno di noi.”